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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Higuita, da La Catedral al San PaoloTUTTO mercato WEB
lunedì 6 aprile 2020, 01:05Serie A
di Andrea Losapio

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Higuita, da La Catedral al San Paolo

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: René Higuita, scapigliato della porta
Nel corso della famosissima serie Narcos ci sono alcuni riferimenti al futbol. Perché Pablo Escobar, il re del narcotraffico degli anni ottanta, era anche proprietario dell'Atletico Nacional di Medellin. O meglio, forse munifico elargitore di mance di altissimo livello per quello che era uno stipendio medio della Colombia. In questo contesto si inserisce anche la prima vittoria della Copa Libertadores da parte di un'équipe cafetera: era il 31 maggio del 1989, partita di ritorno contro l'Olimpia Asuncion. I paraguaiani, iper conosciuti in Sudamerica come una delle migliori formazioni del globo, avevano vinto per 2-0 all'andata, al Manuel Ferreira. E non c'era nemmeno la possibilità di giocarsela all'Atanasio Girardot, stadio simbolo di Medellin - che viene diviso dall'Atletico con l'Independiente - ma con pochi posti a sedere. Così il ritorno venne giocato al Nemesio Camacho ‘El Campín' di Bogotá.

PUROS CRIOLLOS - La squadra di Escobar doveva essere anche un inno alla Colombia, al pueblo che veniva tanto esaltato dal narcotrafficante più conosciuto di sempre, salvo poi martoriarlo e uccidere i figli dello stato. Così nella rete del Nacional sono passati anche Tino Asprilla, che in Serie A ha lasciato grandissimi ricordi anche per la sua genialità da cavallo di razza. Mancava il tricoticamente ricco Carlos Valderrama, che era passato per il Deportivo Calì - altra squadra in mano ai narcos - ma non Andres Escobar, difensore di belle speranze che proprio nel 1989 lasciava l'Atletico per finire allo Young Boys. Passerà alla storia per il famoso autogol di USA 1994, quando la Colombia sembrava una delle favorite per vincere il Mondiale ma venne eliminata dai padroni di casa degli Stati Uniti e lui giustiziato qualche mese dopo. In porta, però, c'era René Higuita, l'alter ego capelluto di Valderrama, altrettanto estroverso e tecnico. Una sorta di Manuel Neuer, ma con meno disciplina - e meno fisico, va detto - per come interpretava il ruolo. Una sorta di libero aggiunto che farebbe comodo a molti allenatori di questi tempi.

I GOL - Come altri grandi portieri sudamericani, in primis Rogerio Ceni e Luis Chilavert, René Higuita è passato alla storia non tanto per le parate fatte, essendo estremamente talentuoso come molti altri. Bensì per le giocate con i piedi. Paradossalmente partire palla al piede, dalla propria porta, lo portava spesso a ricevere falli solo ben oltre la metà campo, magari da dietro, facendo ricevere agli avversari cartellini gialli. Una grandissima punizione è presente anche in rete, in una sfida di Libertadores, con la sfera sulla zolla per un mancino e lui, con il destro, a spedirla sotto l'incrocio. C'è un altro grande attestato di stima, nella partita del 1989, quella contro l'Olimpia Asunçion: il quinto rigorista dei colombiani - quello del dentro (ancora) o fuori subito - era proprio René Higuita che, al quinto rigore, portò la gara a oltranza.


LA CATEDRAL - Però Higuita era un grande amico del Patron Pablo. In un'intervista recente alla rivista Bocas lo ha spiegato più volte. "Tornerei a fargli visita in prigione oggi, domani e per sempre. Volevano cacciarmi dalla nazionale, ma tutti volevano essere amici miei perché ero amico di Escobar. Quando è finito in galera non lo conosceva più nessuno, non era un politico ma solo uno spacciatore, nessuo doveva avere a che fare con lui. Io ho pensato a come la prigione possa far sentire soli". La realtà è che La Catedral era una sorta di resort per Escobar, tanto che Higuita, con altri giocatori, fecero visita alla prigione dei Narcos per una partita che giocò anche Diego Maradona. "Ho incontrato molti amici e molti sono stati trafficanti. Vivo in pace perché sono amico di tutti". E di Escobar è stato un grande amico, perché aveva libero accesso al Castillo, la villa, entrando senza scorta. Qualcuno tentò anche di utilizzare episodi controversi per riuscire ad arrivare al grande nemico Escobar, prospettando anni e anni di carcere a René, personaggio che sarebbe abilmente descritto in una pellicola di Tarantino.

L'ARRESTO E IL DECLINO - Lo portarono a Bogotà ammanettato, con elicotteri, come fosse un delinquente e un rapitore. Questo perché si presto a liberare "disinteressatamente" - disse lui - la figlia di un amico, rapita dalla malavita: la banda chiedeva 300 mila dollari, lui favorì la transazione e gli versarono 60 mila dollari di commissione. Come un procuratore. "Senza che avessi chiesto nulla", assicura lui, ma non fu creduto da nessuno. Da portiere della Nazionale diventò, di fatto, un emarginato della società. Fuori dalla selezione cafetera, la popolazione era contro di lui, Higuita si fece sei mesi in carcere invece degli anni paventati, salvo poi rifugiarsi - al termine della sua carriera - in alcol e cocaina, finendo per essere sospeso per doping nel 2004. Così dopo finisce in televisione, litiga con i giornalisti, partecipa ai reality show, si fa pagare le interviste esclusive. Finisce di giocare a calcio nel 2010, dicendosi non proprio orgoglioso di quello che ha fatto, non del tutto almeno.

DAL SAN PAOLO ALLO SCORPIONE - Il 23 di giugno 1990, al San Paolo di Napoli, Higuita gioca contro il Camerun di Roger Milla. Nei supplementari prima subisce un super gol dall'attaccante. Poi, però, pecca in esuberanza con il pallone tra i piedi. Il centravanti lo uccella, rubandogli il pallone - anche per un attimo di indecisione del portierone - e poi deposita in rete, andando alla bandierina a esultare. Sembrava la pietra tombale su una grande carriera che, però, è passata alla storia con una parata in amichevole. Cioè la mossa dello Scorpione di Wembley, nel 1995, quando un tiro cross di Redknapp fu respinto con i piedi, ma con le gambe all'indietro e in una sorta di rovesciata. Si potrebbe discutere il fatto che fosse "solamente" un'amichevole fra Colombia e Inghilterra, ma fu un gesto rivoluzionario. Marchesin, qualche anno fa, provò a imitarlo, all'Azteca. "Sì, però non mi appoggiai con le mani". Il portiere, attualmente al Porto, avrà ancora tempo per migliorare.