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Tutto attorno a Ibra: come il 4-2-3-1 di Pioli ha reso il Milan di nuovo grande
Altro che chiesa. Se hai Zlatan Ibrahimovic, metti lui al centro del villaggio. E ti diverti. È quello che ha fatto e sta facendo Stefano Pioli. Il normal one che forse sta diventando speciale, e che sullo svedese ha costruito la rinascita del Milan. Forse davvero convincente per la prima volta da anni, grazie al gigante di Malmoe e al 4-2-3-1 che gli gravita attorno.
Tutto era partito dal 4-3-3. E poi dal 4-4-2. Subentrato a Giampaolo, che già nella sua ultima gara aveva accantonato il rombo, il tecnico emiliano ha definitivamente mandato in pensione il 4-3-1-2. Il primo esperimento è stato nel segno del tridente, con Suso-Leao-Calhanoglu. Risultati così così. Poi, a gennaio, la svolta. L’arrivo di Ibrahimovic: Pioli passa al 4-4-2. La prima volta è un 2-0 a Cagliari, lo svedese e Leao in attacco. Arrivano le vittorie, ma non tutto gira alla perfezione. E la mutazione è per certi versi fisiologica: Ibra accentra il gioco, logico farne l’unico terminale offensivo. Leao è discontinuo, Rebic cresce, Calhanoglu esplode come trequarti centrale. Ecco il 4-2-3-1, con Bennacer-Kessié in mezzo, l’esterno di destra più votato al sacrificio e quello di sinistra più offensivo, il tedesco-turco con Ibra a creare gioco e segnare.
Non si cambia più. Trovata la formula magica, perché farlo? Dopo un post lockdown da incorniciare, i rossoneri hanno iniziato a mille e sono attualmente primi in classifica. Con questo vestito e Ibrahimovic a fare da splendido leader, di gol e di geometrie. I limiti? Se Brahim Diaz come elemento di fantasia può essere una valida alternativa a Calha, non altrettanto può dirsi di qualsiasi altro giocatore rispetto a Ibrahimovic. Dovesse mancare lui, potrebbe venire meno il castello. Ma non ditelo a Pioli. Per ora ci si diverte.
Tutto era partito dal 4-3-3. E poi dal 4-4-2. Subentrato a Giampaolo, che già nella sua ultima gara aveva accantonato il rombo, il tecnico emiliano ha definitivamente mandato in pensione il 4-3-1-2. Il primo esperimento è stato nel segno del tridente, con Suso-Leao-Calhanoglu. Risultati così così. Poi, a gennaio, la svolta. L’arrivo di Ibrahimovic: Pioli passa al 4-4-2. La prima volta è un 2-0 a Cagliari, lo svedese e Leao in attacco. Arrivano le vittorie, ma non tutto gira alla perfezione. E la mutazione è per certi versi fisiologica: Ibra accentra il gioco, logico farne l’unico terminale offensivo. Leao è discontinuo, Rebic cresce, Calhanoglu esplode come trequarti centrale. Ecco il 4-2-3-1, con Bennacer-Kessié in mezzo, l’esterno di destra più votato al sacrificio e quello di sinistra più offensivo, il tedesco-turco con Ibra a creare gioco e segnare.
Non si cambia più. Trovata la formula magica, perché farlo? Dopo un post lockdown da incorniciare, i rossoneri hanno iniziato a mille e sono attualmente primi in classifica. Con questo vestito e Ibrahimovic a fare da splendido leader, di gol e di geometrie. I limiti? Se Brahim Diaz come elemento di fantasia può essere una valida alternativa a Calha, non altrettanto può dirsi di qualsiasi altro giocatore rispetto a Ibrahimovic. Dovesse mancare lui, potrebbe venire meno il castello. Ma non ditelo a Pioli. Per ora ci si diverte.
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