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GIANCARLO MATTUCCI: 80 anni da molosso
lunedì 18 giugno 2018, 00:00Storia
di Redazione Tn
per Tuttonocerina.com

GIANCARLO MATTUCCI: 80 anni da molosso

Compie 80 anni Giancarlo Mattucci, bandiera della Nocerina, istruttore di tante generazioni di calciatori cittadini, uomo vero. Lo ricordiamo con l'intervista a Gerardo Adinolfi di qualche anno fa.

“Oh Madonna”, sono state le prime parole di Giancarlo Mattucci non appena ha saputo di essere stato ceduto ad una squadra che non aveva mai sentito nominare prima. La Nocerina. Era il 1963, e quella che poi è diventata una bandiera rossonera, con 197 presenze e 42 goal (record assoluto di marcature per un giocatore in rossonero) era disperato all’idea di lasciare la sua Pescara (“volevo finire gli studi lì") per andare in una città, che non sapeva neanche collocare sulla cartina geografica. Quella città, Nocera, Mattucci però non l’ha mai più lasciata. “Mi è subito entrata nel cuore, poi ho conosciuto la mia attuale moglie, qui sono nati i miei figli - dice commosso l’ex bomber rossonero - ed ho capito che è qui che avrei passato il resto della mia vita”. Sette anni di Nocerina( con la parentesi di un anno, nel 1969, a Marsala), prima solo Pescara e un anno a Treviso (“per il servizio militare”) poi Cavese, Palmese, Angri e in promozione, Maragliano. Poi la carriera da allenatore nei dilettanti e a contatto con i giovani. E’ stata una lunga chiacchierata, quella con Mattucci, con momenti di commozione e di “brividi lungo la schiena”, testimonianza di quei valori di attaccamento alla maglia (“in campo giocavo per i tifosi, sentivo la loro tensione, sentivo che credevano in me e segnavo sospinto dalla voglia di fare qualcosa per cambiare la partita”, dirà) che solo i grandi uomini sanno avere. Tuttonocerina.com lo ha intervistato in esclusiva.

Giochiamo per vincere ma la sconfitta non ci mortifica”. Se la ricorda questa frase?

“(Sorride cfr) Certo, l’ho coniata io quando allenavo i ragazzi. Volevo insegnargli che il gioco del calcio è questo, si cerca di vincere ma si può perdere. Ma la mortificazione non deve esistere, non bisogna abbandonare la nave”.

E lei non l’ha mai abbandonata...


“Ho giocato fino a 38 anni, fino a quando me l’hanno permesso perché amo il calcio anche se ora è cambiato. Prima c’erano rapporti più veri, ora comandano i soldi, gli sponsor che possono decidere il futuro di una società”.

Lei rappresenta invece il passato della Nocerina, una bandiera...l’uomo dei record che con 42 goal è intesta ai bomber rossoneri di tutti i tempi....

“Sa perché ho fatti così tanti goal?”

La ascolto...

“Quando giocavo sentivo ciò che provava il pubblico sugli spalti, e volevo fare in modo di soddisfarlo e cambiare la partita. Al tempo avevamo in tribuna tavoloni di legno e i tubi Innocenti e quando segnavo il rumore che i tifosi facevano con i piedi e inneggiando il mio nome, mi faceva venire i brividi. Ci impiegavo venti minuti per riprendermi e capire ciò che avevo fatto”.

Quella maglia rossonera le si era attaccata alla pelle...

“E pensare che giocavamo a maggio e settembre con maglie che erano di lana, una la conservo ancora oggi! (ride) Il rossonero era diventato il mio colore, tant’è che quando andai per un anno a Marsala, dove le divise erano blu, la prima partita in cui scesi in campo mi guardai allo specchio e mi dissi “Cosa ci faccio qui?”. La sera ritornai a Nocera e non volevo andarmene. Poi mi convinsero a terminare il campionato ed anche lì fu un’esperienza magnifica”.

Sette anni in rossonero dal 1963/64 al 1970/71, con un’esperienza, nel ’69 a Marsala. Come mai andò via quell’anno?

“Per guadagnare qualcosa in più. Mi ero già sposato, avevo una figlia e mi trasferii per un anno in Sicilia dove guadagnavo 1 milione subito e 250 mila lire al mese. Non l’ho mai più rivisto 1 milione tutto in una volta in vita mia”.

Però poi tornò a Nocera....

“Mattucci era la Nocerina e la Nocerina era Mattucci. Durante una partita a Marsala negli spogliatoi un arbitro mi riconobbe, si sporse e mi urlò: “Tu! Sei Mattucci della Nocerina!”

Tante stagioni in Serie D, ma non ha mai vinto niente...

“Pochi giorni fa ho riletto delle lettere che al tempo spedivo ad alcuni amici a Pescara. Io mi confidavo con loro scrivendo che per me era come se giocassi in Serie A. Per l’ambiente che c’era per me era come stare in A. Mi faceva stare bene”

Qualche rimpianto?

“Non esser riuscito a portare la Nocerina in C e giocare contro il Pescara, la mia città e la mia squadra che qualche anno prima non mi aveva voluto”.

E l’avevano spedita a Nocera....

“Ero stato a Treviso per un anno, per il servizio militare e volevo restare lì perché al Nord era più facile entrare a contatto con squadre e calciatori di A, ma il Pescara mi rivolle alla base”.

Puntavano su di lei...

“Così credevo. Poi volevo andare a Chieti, dove un allenatore mi corteggiava....ma il Pescara mi disse di avermi venduto ad una società, la Nocerina, che non avevo mai sentito prima”.

E cosa fece?

“Mi arrabbiai, urlai con i dirigenti e me ne andai sbattendo la porta. Non sapevo dove fosse Nocera, volevo restare a casa. Per le scale incontrai un mio compagno di squadra, ex giocatore rossonero, che mi rivelò di essere stato lui a consigliarmi alla Nocerina e che a Nocera mi sarei trovato bene. Ma stentavo a crederci”.

Una storia nata non proprio bene...

“E ancora non avevo capito nulla. Partii per Nocera con un dirigente, in treno. Ma dentro di me pensai che si trattasse di Nocera Umbra. Quando vidi il treno andare verso Sud, e scoprii che Nocera Inferiore era una città tra Napoli e Salerno escalami “Oh Madonna!”.

E invece....

“E invece poi mi sono innamorato della città, dell’ambiente, ho messo su famiglia e tutt’ora vivo a Nocera. Dopo tanti anni”.

Ha mai affrontato la Nocerina da avversario?

“Una volta, giocavo nella Palmese, anche lì in rossonero. Sugli spalti c’erano tanti nocerini che incitavano la squadra. Ed io, pur giocando contro, non sentivo quei cori come ostili, ma come diretti anche a me”.

Facciamo un salto nel presente. Segue la Nocerina ancora oggi?

“Dall’esterno. Non entro al San Francesco dal 1978. Andai a vedere due partite contro Sampdoria e Pistoiese per accompagnare mio figlio che voleva conoscere Bozzi. Da allora non ci sono più ritornato”.

Perché?

“Mi sentii male. Ero in tribuna, vidi i giocatori entrare in campo, il pubblico incitarli e mi venne un’ansia. Mi sentivo come se volessi ancora giocare e l’allenatore mi avesse spedito in tribuna e mi veniva voglia di riscaldarmi. Seguii la partita tesissimo e tornato a casa mi stesi sul letto, stanco come se avessi giocato 4 partite di seguito”.