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Addio Maradona, Pergolizzi: "Il pallone è una cosa, il calcio un'altra. Lui era il calcio"
"Ero molto giovane, avevo 19 anni quando arrivai a Napoli, ma condividere lo spogliatoio con tanti uomini veri ha rappresentato per me una crescita immensa. E giocare con il più grande di tutti, con colui che è il calcio, è stato veramente il massimo".
Nell'intervista rilasciata a TuttoMercatoWeb.com, parlando di Diego Armando Maradona, esordisce così Rosario Pergolizzi, reduce dall'esperienza sulla panchina del Palermo. Il mister, con "El Pibe de Oro", ha condiviso la stagione 1987-1988, la sua prima in Serie A dopo la trafila nelle giovanili rosanero e l'anno in C2 con l'Olbia.
C'è qualche aneddoto in particolare su Maradona che si ricorda?
"Semplicemente Diego Armando. Una persona semplicissima, a disposizione di tutti, un capitano amico, silenzioso, che alzava la voce solo quando gli toglievi qualcosa di suo. Uno a cui tutti avrebbero dato tutto, ma che invece ha sempre messo gli altri davanti a sé. Con una vita diversa, avrebbe potuto portare avanti un certo percorso anche una volta appese le scarpette al chiodo, si parla tanto di "calcio moderno", ma lui poteva dare molto anche al calcio di ora: perché un conto è il pallone, un altro il calcio. E lui è il calcio".
Accennava alla persona semplice. L'esser stato Maradona è forse pesato più a lui che agli altri?
"Si, probabilmente si. Era una persona che forse avrebbe avuto bisogno di più aiuto, ma lui era abituato a dare, no a chiedere, era quella la sua personalità. Viveva di rapporti, era fatto così. Certo, ci lascia la rabbia di non vederlo più in questo calcio, ma lui ha condotto la sua vita come voleva, giusta o sbagliata che sia, ha vissuto come gli è piaciuto. Era figlio di Napoli e dell'Argentina, ha fatto si che quelle zone avessero il loro riscatto. E ha fatto tanto del bene, anche in silenzio, senza l'eco mediatico. Ha dato modo a tanti di diventare importanti".
Associazioni di idee, come fanno i bambini. Se dici calcio dici Maradona, ora e per sempre.
"Credo di si. Ci sono tanti campioni al tempo di oggi che hanno talento, e guai a dire diversamente, penso a Cristiano Ronaldo o Messi, che per altro dipingono alla perfezione il ruolo di calciatore, ma lui è stato il calcio: neppure aveva bisogno di allenarsi, vinceva le gare da solo. Poi è giusto che i ragazzini di oggi si innamorino di altri miti".
Che sono però forse più le star inarrivabili. L'esser l'uomo del popolo lo ha reso ancora più eterno?
"Assolutamente si. Lui rispetto agli idoli di oggi, che vivono molto anche di sponsorizzazioni e pubblicità, era più raggiungibile: per tanti ha significato, futuro, gioia, forza. Come lo vedevi era. Era uno da maglietta strappata, pantaloncini, scarpette e pallone".
Nell'intervista rilasciata a TuttoMercatoWeb.com, parlando di Diego Armando Maradona, esordisce così Rosario Pergolizzi, reduce dall'esperienza sulla panchina del Palermo. Il mister, con "El Pibe de Oro", ha condiviso la stagione 1987-1988, la sua prima in Serie A dopo la trafila nelle giovanili rosanero e l'anno in C2 con l'Olbia.
C'è qualche aneddoto in particolare su Maradona che si ricorda?
"Semplicemente Diego Armando. Una persona semplicissima, a disposizione di tutti, un capitano amico, silenzioso, che alzava la voce solo quando gli toglievi qualcosa di suo. Uno a cui tutti avrebbero dato tutto, ma che invece ha sempre messo gli altri davanti a sé. Con una vita diversa, avrebbe potuto portare avanti un certo percorso anche una volta appese le scarpette al chiodo, si parla tanto di "calcio moderno", ma lui poteva dare molto anche al calcio di ora: perché un conto è il pallone, un altro il calcio. E lui è il calcio".
Accennava alla persona semplice. L'esser stato Maradona è forse pesato più a lui che agli altri?
"Si, probabilmente si. Era una persona che forse avrebbe avuto bisogno di più aiuto, ma lui era abituato a dare, no a chiedere, era quella la sua personalità. Viveva di rapporti, era fatto così. Certo, ci lascia la rabbia di non vederlo più in questo calcio, ma lui ha condotto la sua vita come voleva, giusta o sbagliata che sia, ha vissuto come gli è piaciuto. Era figlio di Napoli e dell'Argentina, ha fatto si che quelle zone avessero il loro riscatto. E ha fatto tanto del bene, anche in silenzio, senza l'eco mediatico. Ha dato modo a tanti di diventare importanti".
Associazioni di idee, come fanno i bambini. Se dici calcio dici Maradona, ora e per sempre.
"Credo di si. Ci sono tanti campioni al tempo di oggi che hanno talento, e guai a dire diversamente, penso a Cristiano Ronaldo o Messi, che per altro dipingono alla perfezione il ruolo di calciatore, ma lui è stato il calcio: neppure aveva bisogno di allenarsi, vinceva le gare da solo. Poi è giusto che i ragazzini di oggi si innamorino di altri miti".
Che sono però forse più le star inarrivabili. L'esser l'uomo del popolo lo ha reso ancora più eterno?
"Assolutamente si. Lui rispetto agli idoli di oggi, che vivono molto anche di sponsorizzazioni e pubblicità, era più raggiungibile: per tanti ha significato, futuro, gioia, forza. Come lo vedevi era. Era uno da maglietta strappata, pantaloncini, scarpette e pallone".
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