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Juve: Ronaldo farà un piacere ad Allegri. Inter: la verità su Olivera e Kostic. Milan: la fascia a Kjaer, il riscatto di Tomori (e su Dzeko…). Italia: meglio di un club. E quattro parole su Eriksen…TUTTO mercato WEB
martedì 15 giugno 2021, 08:02Editoriale
di Fabrizio Biasin

Juve: Ronaldo farà un piacere ad Allegri. Inter: la verità su Olivera e Kostic. Milan: la fascia a Kjaer, il riscatto di Tomori (e su Dzeko…). Italia: meglio di un club. E quattro parole su Eriksen…

Ben ritrovati. Gli Europei, che potevano finire sabato all’ora dell’aperitivo, proseguono spediti. E sapete perché? Perché è successa una cosa grandiosa. Qualcuno la chiama “miracolo” – e qualcosa di inspiegabile è accaduto -, ma la verità è che negli attimi fetentissimi di Danimarca-Finlandia, con Eriksen piantato per terra, tutti i presenti sul prato di Copenaghen hanno fatto il loro dovere. Tutti. Qui in fondo vi riporto quanto scritto per raccontare quel momento che, paradossalmente, da drammatico si è trasformato nel suo opposto. E il motivo è semplice: Eriksen è vivo. E vedremo se tornerà a giocare. Forse sì, probabilmente no. Sapete quanto conta rispetto al fatto che sia ancora tra noi? Niente.

E allora grazie a tutti quelli che hanno contribuito a non mettere una pietra sul torneo in corso (perché in caso di dramma sarebbe terminato lì, almeno formalmente), grazie soprattutto ai soccorritori (straordinari) e al capitano dei danesi, Simon Kjaer. Il 99% delle persone senzienti si sarebbe comportata come lui, ma la differenza è che lui lo ha fatto veramente, c’è riuscito. E in quei momenti dev’essere la cosa più complicata del mondo.
Il Milan, con buona probabilità, consegnerà la fascia da capitano a quel ragazzo lì e non lo farà per una questione del tipo “sei stato bravo, ti facciamo un regalo”, semmai perché il biondo ha dimostrato con i fatti qual è il senso più profondo dell’”essere capitano”. Su un braccio migliore, francamente, quella fascia non può finire.

Cose decisamente meno importanti, in pillole.


- Il Milan riscatterà Tomori. È la priorità. Il calciatore del Chelsea firmerà un contratto fino al 2026. Poi il Diavolo proverà in tutti i modi a trovare la formula per Giroud. Dzeko è un’alternativa messa “in caldo” una decina di giorni fa, ma è anche vero che ogni sessione di mercato diamo il bosniaco lontano da Roma e, alla fine, è nella capitale da più tempo di Romolo.
- All’Inter non interessa minimamente l’esterno sinistro del Getafe, Mathias Olivera. Se n’è parlato ieri perché gli agenti sono passati dalla sede. Questa cosa è bastata per trasformare il tutto in “l’Inter è a un passo dal giocatore”. Che ha una clausola di 20 milioni. Per cortesia… E Filip Kostic dell’Eintracht? In Germania davano la cosa per fatta, la verità è che in questo caso un interesse c’è, è vero, ma al momento non esiste trattativa. Prima bisogna vendere…
- Ronaldo ha detto così: “Il mio futuro alla Juve o altrove? Ho giocato al massimo per anni, questo non mi influenzerà all’Europeo, ho 36 anni ora. Quello che verrà, sarà per il meglio. Ora sono concentrato sull’Europeo”. L’ennesima supercazzola che significa tutto e niente. Ma la Juve “non può non sapere” e il motivo è banale: la presenza o meno del portoghese cambia drasticamente le strategie di mercato. La sensazione? Ronaldo andrà via e la Juve, per questa separazione, non soffrirà. Non perché Cr7 non sia quello che è (una potenza), ma perché il club vuole abbassare il suo monte ingaggi e Allegri desidera ripartire dalla costruzione della “squadra”, quella che è stata parzialmente abbandonata negli ultimi due anni.
- E Donnarumma. Lo sappiamo, dopo il match con la Svizzera verrà ufficializzato il suo passaggio al Psg con tanto di contratto quinquennale da 10 milioni (+ bonus) a stagione. L’attuale n° 1 dei parigini, Keylor Navas, ieri ha pubblicato la seguente frase: "Regala la tua assenza a chi non valorizza la tua presenza". C’è già un bell’ambientino…
- Infine l’Italia. Domani a Roma arriva la Svizzera e, oh, potremmo clamorosamente qualificarci per gli ottavi dopo solo due giornate. Si vedrà. Le certezze si chiamano “gruppo” e “Mancini”. Quello che molti tecnici di club non riescono a fare in anni di lavoro è diventato realtà in azzurro: gran gioco, enorme coesione. Oh, siamo appena all’inizio, ma che inizio…

Ciao. Vi lascio con il racconto della mezz’ora che stava strangolando il calcio e, alla fine, ci ha unito più che mai.
Questo pezzo è inutilmente sterminato, perché la verità è che basterebbero tre parole: “Grazie a Dio” se credete in Dio, “Grazie a Visnù” se credete in Visnù e così via per tutti gli altri. Christian Eriksen è vivo e questa - davvero - è l’unica cosa che conta.
Manca uno sciocco minuto alla fine del primo tempo di Danimarca-Finlandia, partita fino a quel momento dominata dai danesi. L’atalantino Maehle batte una rimessa verso il suo “faro” e non si accorge che quello, il numero 10, sta cadendo in avanti. Un passo, due, tre. E poi giù come un sacco vuoto. Bastano tre secondi per capire la gravità della faccenda. Il primo a realizzare è l’arbitro, il signor Taylor, subito dopo arrivano Maehle e il capitano dei danesi, Simon Kjaer, “cugino” del Milan che compie l’intervento difensivo più importante della sua carriera: apre la bocca a Christian, già privo di sensi, e fa il modo che la lingua non lo soffochi.
Da quel momento i presenti, la gente a casa, tutti quanti, precipitano in un burrone. Eriksen ha gli occhi sbarrati, i soccorritori partono col massaggio cardiaco, i compagni si mettono le mani nei capelli, qualcuno inizia a piangere. Non prendiamoci per il culo, certe scene le abbiamo già viste e sappiamo come vanno a finire. Male. I secondi diventano minuti e quando c’è di mezzo il cuore i minuti sono preziosi come gemme. Il telecronista di Sky sceglie il silenzio e merita applausi, i tifosi sugli spalti sono sotto-choc ma provano a dare coraggio al loro fenomeno - sì, si gioca a Copenaghen -, la moglie lascia le tribune e viene placcata a bordo campo. È distrutta. Kjaer, ancora lui, e il portiere Schmeichel la abbracciano, ma francamente non sembra un abbraccio di speranza perché dall’altra parte del campo sono partite le scosse del defibrillatore. E quando arriva il defibrillatore ci si può appellare solo a Dio. O a Visnù. “Dio, fai qualcosa”. Lo pensano tutti. Lo scrivono tutti. I social sono invasi di preghiere. Il mondo pensa ad Eriksen, anche mia zia che non sa se il pallone è tondo o quadrato.
E giù, nel burrone, sempre di più, perché i minuti passano ed Eriksen non si muove. Attorno al centrocampista dell’Inter ci sono loro, i suoi compagni, eccezionali e capaci di portare a un livello più elevato la definizione di “squadra”. Ma conta nulla di fronte alla vita di Chris che, protetto da grosse bandiere finlandesi, viene accompagnato fuori dal campo, all’ospedale di Copenaghen. “È morto”. Dite la verità, lo avete pensato tutti. Noi sì, perché non crediamo ai miracoli. Il campo si svuota, la gente sugli spalti intona il suo nome (“Chris-tian!, Chris-tian!”), il sangue di chi gli vuole bene - tutti, perché è una bellezza di giocatore. E pure di uomo - smette di scorrere.
Poi i social. Ecco, i social, quelli che troppe volte raccontano cazzate, diffondono false notizie e false speranze, questa volta la combinano giusta: compare una foto di Eriksen sdraiato sulla barella con gli occhi aperti. Non è certamente la sua espressione migliore, ma è tutto quello a cui ci si può aggrappare. “Dai che ce la fa”. Lo pensiamo tutti, ancora di più quando l’Uefa twitta: “Eriksen è cosciente”. Poi anche la federazione danese. Porca miseria, ce l’ha fatta. E giù lacrime, questa volta di gioia. E grazie a Dio, grazie a Visnù, soprattutto grazie ai soccorritori (straordinari).
E allora, improvvisamente, risaliamo dal burrone, una bracciata alla volta. E si rincorrono le notizie, questa volta bellissime: “Il numero 10 si è ripreso. Ha parlato con i suoi compagni di squadra. Vuole che tornino in campo”. Ecco, un miracolo. Lo avremmo augurato anche al più stronzo tra i giocatori, figuratevi a questo signore qua, uno dei talenti più eleganti, intelligenti, geniali, umili e corretti del calcio mondiale; uno che non tocca mai il pallone più di quel che serve, perché se lo sai trattare, ti basta solo dargli un colpo, massimo due; uno che nella sua esperienza in Premier (sei stagioni e mezzo al Tottenham) è stato primissimo nella speciale classifica “gol+assist” e in quella soggettiva dei più bravi a “costruire calcio”; uno che quest’anno aveva iniziato malissimo perché con Conte non si capiva. E allora stava in panchina. Sempre.
Poi, a gennaio, il miracolo (un altro, meno importante): l’Inter non può fare mercato, Christian resta contro ogni previsione, Conte lo convince a sposare un’idea di calcio molto diversa dalla sua, lui fa l’unica cosa che sa fare, ubbidire, e con i suoi compagni trasforma quell’occasione in uno scudetto.
È solo il primo dei trofei vinti quest’anno. Il secondo, più importante, se l’è messo in tasca ieri, in un sabato che pareva orrendo e invece no. Sapete perché? Perché “i numeri 10 non mollano mai”. Lo ha scritto Totti. E bravo Totti.
Ti si vuole bene, Christian Eriksen.