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L'ultimo ballo del Principino
Claudio Marchisio ha detto no al tramonto, scegliendo una nuova alba. L'ultimo valzer lo ballerà a casa, seduto. Non nei deserti e nelle oasi, dai Faraoni o dagli Emiri, dove il sole sorge o dove abbraccia chi su quel viale ha scelto di consumare le ultime corse della carriera. Claudio da Torino chiuderà oggi una lunga avventura. Di successi e trofei, occhi di ghiaccio pieni di lacrime di gioia, talvolta di dolore, di disperazione, di fatica, di rivincite e lotta. Claudio Marchisio annuncerà che appenderà le scarpette al chiodo allo Stadium, la casa dove non ha svernato, dove è sbocciato, cresciuto, maturato, esploso, ma che non è stata il suo buen retiro. Ha smesso in Russia, a San Pietroburgo, la città degli Zar, lui che è Principino per eleganza, portamento, carattere ed educazione. "Ma sono anche al cinquanta per cento fabbro", ha avuto modo di dire, per gettare la polvere sullo smoking, per render più popolare e volgare quella che è stata un'etichetta raffinata, nobiliare, ma simbolo di cristalli e fragilità. Le ginocchia non ne hanno accompagnato il talento, ha raccolto tanto ma avrebbe potuto avere panieri ancor più gonfi. E' arrivato nella Nazionale che aveva già raggiunto il suo Everest berlinese, a un passo dal cielo negli Europei persi in finale. E' stato erede di Marco Tardelli e risposta italiana a Steven Gerrard, ma dall'esser paragonato è diventato poi metro di comparazione. "Il nuovo Marchisio", inteso come interno di gamba, d'inserimento, di corsa, di gol, di carattere, otto moderno con pochi eguali in Europa. Pure con pochi eredi, perché anche oggi l'Italia cerca sempre quello che non ha. Oggi il gentleman di Torino dirà addio al calcio giocato. Troppi gli infortuni, a trentatre anni ha scelto di appendere le scarpette al chiodo piuttosto che diventare l'ombra, magari, di quel che era. Di uno splendido corridore e maratoneta, Tardellino e Piccolo Lord, un otto che ha segnato l'alba di un ruolo per il calcio italiano moderno.
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