Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliariempolifiorentinafrosinonegenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliromasalernitanasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenalatinalivornonocerinapalermoparmaperugiapescarapordenonepotenzaregginasampdoriaternanaturrisvenezia
Altri canali serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta
tmw / sampdoria / Serie A
#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: George Best. Semplicemente The BestTUTTO mercato WEB
martedì 17 marzo 2020, 01:05Serie A
di Marco Conterio

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: George Best. Semplicemente The Best

#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
Probabilmente pioveva, quel giorno d'estate, a Belfast. Sì, perché a Belfast piove sempre. Cielo grigio, prati verdi, l'azzurro increspato del fiume Lagan. E' un classico giorno d'estate, a Belfast, la bocca del Farset. Siamo in un locale da ballo ed il signor Dickie Best avvicina la bella Anne Withers. "Le va di ballare?". Ed è lì, tra i passi lenti ed i sorrisi imbarazzati, che nasce un amore. Un amore come tanti, sotto il cielo grigio di Belfast. Sì, perché probabilmente pioveva, quel giorno. E forse pioveva anche quel ventidue maggio 1946, quando i cieli di Belfast per un momento smisero di piangere. Arrivò il sereno, la luce. Dal cielo, un piccolo raggio. Nasceva George Best ed il signor Dickie Best e l'oramai signora Anne Best, ballavano di gioia. E c'era poco da chiedersi il perché di quella canzone. La radio passava Jo Stafford poi reinterpretata anche da The Voice, Frank Sinatra. "The Things We Did Last Summer". "Le cose che abbiamo fatto la scorsa estate". Una cosa speciale, chiamata George Best.

La scoperta di Bob Bishop "Penso d'averti trovato un genio". Le parole contano, ma Bob Bishop ne scelse poche, Optò per un telegramma, che era l'email di allora, per scrivere a Matt Busby. Che non era un uomo qualsiasi, ma l'allenatore del Manchester United. Certo, il piccolo George, quindici anni, era tifoso del Wolverhampton, ma i Busby Babes erano una squadra da leggenda. Era la squadra ripartita dopo il disastro aereo di Monaco del 6 febbraio del 1958, quella di Bobbu Charlton e di Harry Gregg. Lo United offrì due settimane di prova a Best, che prima di allora non era mai uscito dalla sua Irlanda del Nord. "A dire il vero non mi ero mai allontanato neanche da Belfast", disse Best e così Liverpool e Manchester ai suoi occhi, sembrarono giganti enormi, informi, pronti a portarlo via, ad inghiottirlo. E cosa fece il piccolo Best, dopo il primo provino? Mise insieme qualche scellino e se ne tornò a casa, nella sua accogliente Belfast. "Non sarà nè il primo nè l'ultimo a scappare", disse il chief scout del club, Joe Armstrong, al signor Dickie. Già, ma che fare, adesso? La famiglia Best, religione protestante e pazienza infinita, con George, con le sorelle Carol, Barbara, Julie, Grace e con il fratello Ian, si dimostrò comprensiva. "Non hai fatto niente di male, Georgie". "Ok, mi avete convinto. Torno a Manchester".

Il piccolo genio George Best, tra dribbling, tocchi e tacchi, conquista i cuori degli allenatori del Manchester United. E dire che il predestinato, a quei tempi, pareva David Sadler, ma nella squadra A delle riserve era questo piccolo genio da Belfast la vera stella. Tanto che, un sabato di maggio, fu convocato negli uffici del club. Gambe tremanti e mente già pronta a far la valigia, la notizia fu completamente diversa. "Congratulazioni, figliolo. Ti offriamo un contratto da professionista". Così George si regala anche una Austin 1100 come regalo ma stecca due volte all'esame per la patente a Manchester e, forte del suo inizio di celebrità, decide di tornare a Belfast. "Congratulazioni, lei ha passato l'esame", gli disse l'esaminatore dopo un paio di manovre. E quelle bastarono, in fondo, per giocare in prima squadra. Sì, è vero, l'esordio arriva grazie all'infortunio di Ian Moir, ma Matt Busby aveva già deciso. Davanti c'era lo Sheffield Wednesday e quello fu l'esordio del giovane piccolo genio di Belfast. Era il 1963, e Best stava per diventare un Re, ma ancora non lo sapeva.

Gli anni dell'amore libero Il 1964 non era solo l'anno dei Beatles e dei Rolling Stones. Erano gli anni dell'amore libero, delle droghe e George Best non era, allora, neanche un grande bevitore. Titolare in prima squadra, beveva giusto per rilassarsi per fare quattro chiacchiere con le ragazze. Ma la bionda, almeno quella alla spina, non era ancora un vizio. George viveva per il calcio, capace di giocare ogni singolo minuto di ogni singolo giorno. E dai giornali locali a quelli inglesi, lo spazio su quelli di tutto il mondo arrivò grazie ad una partita. Erano i quarti di finale di Coppa dei Campioni, davanti c'era il Benfica. Una doppietta, nel primo quarto d'ora di gioco al Da Luz, gli portò gli elogi a pioggia da parte della stampa portoghese che lo definì il quinto Beatle. Così, rientrato in patria, Best comprò un grande sombrero all'aeroporto e la sua foto fece il giro del globo. Era nato il fenomeno George Best. Era nata una stella. Che tutti amavano. E che soprattutto tutte, amavano. "She Loves You", cantavano cinque giovani rivoluzionari in giacca e cravatta da Liverpool


Time and Place "Non avevo tempo per pernsare che non sarebbe stato tutto rose e fiori. Ero troppo occupato a spassarmela". Ecco, in questa, precisa, chiara ed inequivocabile frase del George Best degli anni '60, c'è tutto l'uomo. Il personaggio è quello delle frasi ad effetto, delle Miss Mondo, delle cascate di champagne. Però la leggerezza e la fragilità del ragazzo di Belfast sono in quell'ignoranza che quel mondo, dorato ed ubriaco, ha portato nella sua casa. Rotto ed infortunato, in un anno grigio per lo United ma dorato per l'Inghilterra, campione del mondo in casa, Best si godeva il trionfo dei compagni con la bottiglia in mano. "Le mie droghe erano l'alcool e le donne". Ed il tempio era il Time and Place, il locale più cool di Manchester, teatro delle scorribande di George da Belfast insieme a Mike Summerbee del Manchester City. Poi, siccome al George di adesso i confini andavano stretti, via con le decappottabili a Londra, nel West End, al Trump. E poi al Brown Bull, la goccia del boccale che fece traboccare la pazienza di Matt Busby. Best era il talento più fulgido dello United ma al contempo era anche un ribelle, una mina vagante col bicchiere in mano. Ma per George da Belfast, tutto andava per il verso giusto. Sentiva vibrazioni positive.

29 maggio 1968, Londra. Il tempio di Londra, Wembley. Arbitra Lobello. Quella notte, le telecamere non furono solo per il ragazzo di Belfast. No, signori. Perché Matt Busby era riuscito a vincere i suoi demoni. A far pace, forse, col suo passato, coi suoi tormenti Era riuscito a vincere la Coppa dei Campioni e che notte fu, quella notte. Per lui, per Bobby, per Bill. Per i sopravvissuti al disastro di Monaco. Davanti c'era ancora il Benfica, quello che ha dato origine al Quinto Beatle, quello che George Best supera, dribbla e trafigge aggiudicandosi in un anno il titolo di campione d'Inghilterra, di campione d'Europa e pure il Pallone d'Oro. Ecco, lì, finisce George Best. Almeno quello genio e sregolatezza che avete conosciuto fino ad ora. Quella è la notte, quello è il punto del non ritorno. "I festeggiamenti del più grande giorno della mia carriera di calciatore sono solo un grande, enorme, buco nero". A ventidue anni, George Best era già George Best. Quel che viene dopo è il resto, quel che è stato prima è la corsa verso quella notte. Verso una notte dove Busby, Bill e Boby fanno pace con i loro demoni. Che notte, quella notte, però. What a Wonderful World...

Altro che mondo splendido. Quel che viene dopo è la storia di un giocatore in declino, di un giocatore che a ventotto anni resta senza squadra. Di un alcolista, di un vizioso. Di un ragazzo fragile, vittima dei suoi successi. Ci prova in Sudafrica, riparte dai bassifondi del campionato inglese, passeggia e dà spettacolo al Fulham, ma George Best, quello vero, non c'è più. Almeno in Inghilterra, dopo che ha rotto, in malo modo, con il Manchester United. Sì, nel frattempo ci sono le Miss Mondo, le notti brave, pure un arresto con l'accusa per aver rubato a Miss Wallace una pelliccia, il passaporto ed il libretto degli assegni. Il nuovo, piccolo Eden, di George Best, sono gli Stati Uniti. Lì torna giocatore, prima coi Cosmos e poi a Los Angeles. Lì, però, l'appeal era poco e decise così di andare a Fort Lauderdale dove, dopo il classico ottimo periodo iniziale, ruppe con tecnico e compagni. Però George Best non si arrendeva, non si dava per morto. Era il 1979, ed il ragazzo di Belfast proseguiva il suo giro del mondo con la bottiglia in mano. Ma non mollava.

"Don't die like me". Il 20 novembre 2005 il News Of The World riportò questa Frase. "Don't die like me". Non morite come me. Che è il manifesto postumo, di George Best. Anima fragile, che ha vissuto dei suoi errori, senza mai riuscire a sconfiggerli. Sì, le sue frasi saranno sempiterne. "Ho speso molti soldi, per alcool, donne e macchine veloci. Il resto l'ho sperperato". Oppure "vivo la mia vita un drink alla volta". O anche "Nel 1969 ho dato un taglio a donne e alcool. Sono stati i venti minuti peggiori della mia vita". Però ce n'è una, che racconta meglio di ogni altra George Best da Belfast, figlio di Dickie e di Anne Best. Che forse è leggenda, che forse è realta. Ma è bello ricordarlo così, ciuffo al vento, gli occhi profondi come il mare, mentre racconta. "Era il 1976, si giocava Irlanda del Nord - Olanda. Giocavo contro Johan Cruyff, uno dei più forti di tutti i tempi. Al 5° minuto prendo la palla, salto un uomo, ne salto un altro, ma non punto la porta, punto il centro del campo: punto Cruyff. Gli arrivo davanti gli faccio una finta di corpo e poi un tunnel, poi calcio via il pallone, lui si gira e io gli dico: 'Tu sei il più forte di tutti ma solo perchè io non ho tempo". Il 25 novembre del 2005, a Belfast, pioveva. Erano lacrime, per una stella cometa.