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Gianni Bui, dal calcio ai pennelli: "Amo l'astratto. Mi diverto con le mie mostre"
"È lui, è lui, è Gianni Bui" cantavano i tifosi in suo onore. Ex giocatore di Verona e Torino, ma anche capocannoniere in Serie B col Catanzaro, Gianni Bui è stato un prolifico attaccante a cavallo degli anni '60 e '70 e successivamente allenatore, contribuendo tra le altre cose alla scalata del ChievoVerona, condotto nel 1988/89 dalla C2 alla C1. Abbandonato il calcio, Bui si è dedicato a tempo pieno alla sua grande passione: la pittura. Tanto che da qualche anno vengono organizzate delle mostre con le sue pitture. Ai microfoni di Tuttomercatoweb ci racconta.
Gianni Bui, come è nata la sua passione per la pittura?
"Sono un autodidatta. Non sono mai studiato, ma mi son sempre divertito sin da piccolo a disegnare. Pensi, anche quando facevo il calciatore mi dilettavo con i colori. Si giocava a carte nei ritiri, ma a un certo punto mi stancavo e iniziavo a disegnare sui quaderni dei bambini".
Quanto tempo dedica oggi alla pittura?
"Ora ho 81 anni e il tempo libero non mi manca, per cui posso anche passare delle giornate o delle settimane con i pennelli".
Una passione che è diventata qualcosa di più da qualche anno
"Mi hanno offerto delle mostre a Verona e Torino. Porto i quadri e mi diverto. E riesco anche a venderli. Ma non è una questione di denaro, la mia. A quest'età lo faccio solo perché mi piace".
Qual è il suo stile?
"Amo l'astratto e lavoro con l'acrilico. L'olio no, perché ha un odore e a casa può dare fastidio".
A cosa si ispira quando dipinge?
"Seguo il mio istinto. Certo, qualche paesaggio a volte me lo chiedono ma non sono cose che mi attirano molto e se devo proprio dipingerlo allora lo faccio a modo mio, diverso, diciamo non classico. Mi piace vedere qualcosa di nuovo, avere una prospettiva diversa delle cose. Anche con i ritratti lo stesso: li faccio ma in modo magari anche contorto ma sicuramente unico".
Diciamo che preferisce Picasso a Monet
"Se si nomina Picasso non posso che mettermi sull'attenti. Lui era uno che faceva quel che sentiva. Sono tanti in verità i pittori da cui prendo ispirazione compro un libro, vedo un quadro che cattura la mia attenzione e prendo ispirazione. Diciamo che amo coloro che mi fanno vedere cose particolari".
Il calcio è ormai alle spalle, dopo anni di onorata carriera. A quali squadre è legato maggiormente?
"Innanzitutto alla Lazio, perché mi ha permesso di fare il calciatore. Da ragazzino facevo il tipografo, mi hanno scoperto in un campetto e da lì è partita la mia storia. Devo ringraziare certamente Fulvio Bernardini, che poi mi ha voluto con sé a Bologna, a fare la riserva di Nielsen".
Verona ha avuto un ruolo centrale nella sua carriera
"Di Verona ho grandissimi ricordi. Ho conosciuto un grande uomo e un grande allenatore come Nils Liedholm. Su di lui potrei star delle ore a parlare. Mi hanno voluto tanto bene, ho segnato tanto, in una stagione sono arrivato a quota 15. Poi qualche anno dopo ha fatto meglio un ragazzo di Pavullo nel Frignano, che è vicino al mio paese, Serramazzoni: mi riferisco a Luca Toni. Evidentemente l'aria di quelle parti aiuta se vuoi fare il centravanti (ride, ndr)
Lei è stato molto amato anche al Torino
"A Torino ero già un giocatore esperto e posso dire in un certo senso di aver cresciuto Ciccio Graziani e Paolo Pulici. A Graziani, in particolar modo, insegnavo a colpire di testa".
Possiamo dire che il suo cruccio è il Milan?
"Purtroppo non è andata come avrei voluto. Sono arrivato a 35 anni, mi feci male quasi subito e già avevo subito diversi interventi. Certamente è stato un rimpianto".
Lei ha avuto modo oltre ad aver allenato di aver seguito il movimento giovanile italiano come osservatore
"Ho lavorato per la Federazione, mi piaceva. E lì per come lavoravamo ho capito che avremmo potuto fare molto meglio come Italia. Ora è passato del tempo e il calcio è cambiato troppo. E non mi entusiasma più".
Gianni Bui, come è nata la sua passione per la pittura?
"Sono un autodidatta. Non sono mai studiato, ma mi son sempre divertito sin da piccolo a disegnare. Pensi, anche quando facevo il calciatore mi dilettavo con i colori. Si giocava a carte nei ritiri, ma a un certo punto mi stancavo e iniziavo a disegnare sui quaderni dei bambini".
Quanto tempo dedica oggi alla pittura?
"Ora ho 81 anni e il tempo libero non mi manca, per cui posso anche passare delle giornate o delle settimane con i pennelli".
Una passione che è diventata qualcosa di più da qualche anno
"Mi hanno offerto delle mostre a Verona e Torino. Porto i quadri e mi diverto. E riesco anche a venderli. Ma non è una questione di denaro, la mia. A quest'età lo faccio solo perché mi piace".
Qual è il suo stile?
"Amo l'astratto e lavoro con l'acrilico. L'olio no, perché ha un odore e a casa può dare fastidio".
A cosa si ispira quando dipinge?
"Seguo il mio istinto. Certo, qualche paesaggio a volte me lo chiedono ma non sono cose che mi attirano molto e se devo proprio dipingerlo allora lo faccio a modo mio, diverso, diciamo non classico. Mi piace vedere qualcosa di nuovo, avere una prospettiva diversa delle cose. Anche con i ritratti lo stesso: li faccio ma in modo magari anche contorto ma sicuramente unico".
Diciamo che preferisce Picasso a Monet
"Se si nomina Picasso non posso che mettermi sull'attenti. Lui era uno che faceva quel che sentiva. Sono tanti in verità i pittori da cui prendo ispirazione compro un libro, vedo un quadro che cattura la mia attenzione e prendo ispirazione. Diciamo che amo coloro che mi fanno vedere cose particolari".
Il calcio è ormai alle spalle, dopo anni di onorata carriera. A quali squadre è legato maggiormente?
"Innanzitutto alla Lazio, perché mi ha permesso di fare il calciatore. Da ragazzino facevo il tipografo, mi hanno scoperto in un campetto e da lì è partita la mia storia. Devo ringraziare certamente Fulvio Bernardini, che poi mi ha voluto con sé a Bologna, a fare la riserva di Nielsen".
Verona ha avuto un ruolo centrale nella sua carriera
"Di Verona ho grandissimi ricordi. Ho conosciuto un grande uomo e un grande allenatore come Nils Liedholm. Su di lui potrei star delle ore a parlare. Mi hanno voluto tanto bene, ho segnato tanto, in una stagione sono arrivato a quota 15. Poi qualche anno dopo ha fatto meglio un ragazzo di Pavullo nel Frignano, che è vicino al mio paese, Serramazzoni: mi riferisco a Luca Toni. Evidentemente l'aria di quelle parti aiuta se vuoi fare il centravanti (ride, ndr)
Lei è stato molto amato anche al Torino
"A Torino ero già un giocatore esperto e posso dire in un certo senso di aver cresciuto Ciccio Graziani e Paolo Pulici. A Graziani, in particolar modo, insegnavo a colpire di testa".
Possiamo dire che il suo cruccio è il Milan?
"Purtroppo non è andata come avrei voluto. Sono arrivato a 35 anni, mi feci male quasi subito e già avevo subito diversi interventi. Certamente è stato un rimpianto".
Lei ha avuto modo oltre ad aver allenato di aver seguito il movimento giovanile italiano come osservatore
"Ho lavorato per la Federazione, mi piaceva. E lì per come lavoravamo ho capito che avremmo potuto fare molto meglio come Italia. Ora è passato del tempo e il calcio è cambiato troppo. E non mi entusiasma più".
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