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Adem Ljajic e il suo personalissimo codice d'onore

Adem Ljajic e il suo personalissimo codice d'onoreTUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
venerdì 17 novembre 2017, 07:452017
di Dimitri Conti

Ci sono dei lati della storia calcistica e personale di Adem Ljajic che probabilmente sono sconosciuti ai più. In particolare, la sua immagine in relazione alla sua nazionale è descritta spesso come pessima. Parlano gli episodi storici: il fantasista oggi al Torino è stato cacciato per ben due volte ufficialmente dai suoi commissari tecnici. In primis fu proprio il suo attuale allenatore Sinisa Mihajlovic, che lo allontanò perché non cantava l'inno, ignorando però le sue reali motivazioni personali. Ljajic è un musulmano e non ha mai voluto cantare l'inno nazionale serbo che rende gloria ad un Dio nel quale non crede, per lui causa d'odio. La seconda cacciata fu opera di Dick Advocaat. "Non ha la mentalità giusta, rovina il gruppo", disse il ct olandese della Serbia. Chiunque a questo punto delle cose potrebbe sentirsi autorizzato a pensare che l'attaccamento di Ljajic alla sua nazionale, e quindi alla sua patria, non sia così rovente. Invece c'è un episodio che spiega il personalissimo codice d'onore del giocatore, che scinde l'amore per la sua terra dalla sfera religiosa.

Dopo la qualificazione della selezione serba ai Mondiali di Russia 2018 ha rivelato al quotidiano belgradese Sportski žurnal di non aver accettato i lauti bonus offerti dalla federazione come premio per aver raggiunto la fase finale a gironi. "Giocare per la squadra e poter andare ai Mondiali di Russia è il più grande bonus che posso avere. Dico davvero, non ne ho bisogno. La Serbia è ciò di più grande che posso ottenere". D'accordo, l'inno non lo canta. Forse non ha neanche il migliore dei caratteri. Ma qualcuno forse ora si sarà ricreduto rispetto all'idea che Ljajic abbia un conflitto interiore contro la Serbia. In un momento storico dove il commissario tecnico che ha portato la truppa ai Mondiali è saltato ufficialmente, ad arte per altri, anche a causa di voci che sospettavano di soldi intascati in cambio di convocazioni stabili in prima squadra.