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esclusiva

Bora Milutinovic, faccia a faccia a casa del ct giramondo

ESCLUSIVA TMW - Bora Milutinovic, faccia a faccia a casa del ct giramondo
venerdì 20 dicembre 2019, 13:09Serie A
di Tancredi Palmeri

“Dimmi che cosa vedi”.

Mi porge un piccolo poster plastificato, arrotolato ma con cura. Stampata in mezzo c’è la foto dell’Iraq campione d’Asia nel 2007 che festeggia sul campo; sul lato sinistro incolonnate tre foto di bambini e famiglie irachene sopravvissuti sanguinanti ai bombardamenti durante la guerra; nella colonna di destra, le foto di tifosi iracheni che festeggiano il trofeo asiatico, con in mezzo ben visibile un uomo allo stadio che regge un cartello: ‘Orgoglioso dell’Iraq’. Su tutta la foto, gli autografi della rosa campione.
“Ho dato a ciascuno di loro questo poster. Ne ho fatta stampare una copia gigante e l’ho messa negli spogliatoi. Volevo che la guardassero, che gli rimanesse in testa prima di scendere in campo. Perché volevo che sentissero l’essenza: ci sono loro in mezzo, con la loro vittoria. E volevo che ricordassero dov’era prima la loro gente - ammazzata, sanguinante, sofferente - e dove loro l’avessero portata con la loro vittoria in Coppa d’Asia: a essere felice, a festeggiare, a essere orgogliosa.
Capisci? Io dovevo cercare dentro di loro il bottone giusto, dovevo toccare quel punto del loro spirito che sprigionasse la forza che loro non avevano.
E cosa credi che succedesse quando andavano in campo? Volavano, hijo de puta!”.
Effettivamente quell’Iraq alla Confederations Cup 2009 fu uno shock: 2 pareggi e 1 sconfitta con la Spagna campione di tutto, ma solo per 1-0 e dopo molto soffrire; 0 gol fatti e solo 1 subito; imbattuto contro il Sudafrica ospitante e contro la Nuova Zelanda che un anno dopo eliminerà l’Italia. Alla fine di quella Confederations Cup, lascerà la nazionale irachena. Che senza di lui non riuscirà a qualificarsi ai Mondiali sudafricani.

Bora Milutinovic è nella sua casa a Doha, dove vive ormai da qualche anno, ma in verità è sempre di passaggio come lo siamo noi questo pomeriggio nell’appartamento per pochi minuti.
Solo apparentemente ritirato ma spirito irrequieto, grande vecchio dietro il progetto Aspire Academy che ha formato la nazionale del Qatar, che dopo decenni di anonimato a gennaio scorso ha vinto la Coppa d’Asia grazie a un calcio totale sbalorditivo per una nazionale così giovane e senza storia.

Bora Milutinovic è un personaggio che anche solo nella sua pagina di Wikipedia è unico nella storia del calcio: ha giocato il Mondiale con 5 nazionali diverse, primato che condivide con Parreira, e qualificatosi agli Ottavi con quattro di queste, primato unico. Ma ciò che lo distingue è dove ha preso quelle nazionali, e dove le ha portate: il Messico nell’86, paese ospitante, ma che arriva al suo miglior risultato di sempre - Quarti con la Germania, persi ai rigori e dopo molte polemiche; il Costa Rica nel ’90, nazionale senza storia e che arriva agli Ottavi eliminando due europee nel proprio gruppo; gli Usa a Usa94, che tutti indicano come la prima nazione ospitante della storia che sarà eliminata ai Gironi, e che invece elimina la Colombia grande outsider per la vittoria finale, e costringe negli Ottavi il Brasile futuro campione solo allo 0-1; la Nigeria nel ’98, eguagliando gli Ottavi migliori risultato; e forse il suo capolavoro massimo, la Cina nel 2002, il grande paese che mai si era qualificato prima ai Mondiali, e tuttora non è riuscito a ripetere l’impresa, a cui ha dovuto rinunciare persino Marcello Lippi.

“Eh, riportare la Cina ai Mondiali, sarebbe una bella sfida”.
Nello sguardo dell’esploratore sembra balenare la fiamma che è impossibile si spenga, se ha guidato tutta la tua vita. Chissà, forse tornare sulla panchina da ct cinese vent’anni dopo, sarebbe chiudere il cerchio di una vita.

Siamo un attimo di passaggio da casa sua, piena ma deserta, perché la famiglia vive in un altro continente. In mezzo a una giornata folle, concentrato di Bora Milutinovic: una cena conviviale con altri protagonisti del calcio organizzata da un altro uomo di mondo del calcio come l’ex ceo Roma nonché ex ministro degli Esteri del Milan Umberto Gandini dove distilla aneddoti con il suo esperanto misto di spagnolo, italiano e inglese apostrofandoti ‘hijo de puta!’; una passeggiata con varie fermate, inclusa una per sbrigare delle commissioni conclusa con uno bacio schioccato nell’aria verso la commessa per ringraziarla della gentilezza, e dalla risata sorpresa e fragorosa della ragazza si capisce come qui in Qatar non sia esattamente una consuetudine; e poi ricordi che scivolano via chissà da quale ruga, e che si aggrappano a qualcosa che c’è intorno.

Mentre aspetto che sia pronto, osservo nella sala alcuni ricordi di una carriera, ma di fronte non ho certo una casa museo, perché sul tavolaccio ci sono sparsi report tecnici su allenamenti o chissà cos’altro, che sembra di vedere il tavolo di lavoro di Mourinho il giorno prima di Tottenham-Liverpool.

Osservo una foto alla parete: in verità è la pagina di un giornale incorniciato. Non è nemmeno sportivo, non è nemmeno celebrativo di qualche vittoria. Ci sono foto di personaggi che hanno attraversato la storia e il costume, da Karl Mark a Michael Jackson. Mi avvicino per capire: è il Global Times, il giornale cinese in lingua inglese stampato direttamente dalla Repubblica Popolare, il più famoso e diffuso. Il titolo del lungo articolo è “50 personaggi che hanno cambiato la percezione della Cina nel mondo”, selezionati appunto dai cinesi stessi. Le cinquanta foto tessera a incorniciare il reportage. E il tenore è tutto di personaggi della portata di Marx o Michael Jackson, che fece scalpore nell’87 con una visita alla Cina, in un momento in cui davvero non si sapeva nulla di nulla. E tra i tanti, l’unico di questi tempi e appartenente allo sport o comunque alla cronaca, è proprio Bora Milutinovic. Alla parete c’è questo. Non trofei, non magliette. Questo. E poi foto di famiglia lontana, geograficamente, o nel tempo: come il ritratto dei genitori mai conosciuti, perché deceduti quando era troppo piccolo.

Una casa che è un punto di passaggio, per un uomo che non sembra avere casa, perché la sua casa è il mondo.
Perché Bora Milutinovic, una vita unica e una carriera unica nella storia del calcio, è e rimarrà proprio questo: l’uomo che ha incarnato in sé il senso del Mondiale: abbattere le barriere, l’apertura, la conoscenza, la curiosità. Si proclama ancora fiero jugoslavo, figlio di un luogo dove convivevano le differenze, entusiasta e fantasioso nella differenza.
Delle mille vite vissute a tutti rimangono negli occhi il carattere, l’istrionismo, ma anche i risultati. E che forse nemmeno gli rendono merito, perché il suo personaggio travolgente ha contribuito a costruire la figura del santone che riesce a ipnotizzare i propri giocatori per raggiungere l’obiettivo.

Ma che è invece molto di più, anche solo dal punto di vista calcistico: non solo per i risultati conseguiti, ma appunto per il come. Calcio costruttivo, e vicino nello stile ai grandissimi allenatori, ma con giocatori che fino a poco tempo prima a malapena conoscevano il professionismo.
E con metodologie all’avanguardia, tuttora! A fine anni ’70 quando comincia ad allenare il Messico, si inventa la match analysis che oggi sembra la modernità. Si mette d’accordo con la regia televisiva, e in tempo reale dalla panchina attraverso un joystick manda le direttive per fare isolare certe azioni e porzioni di gara, rielaborando poi in seguito i segmenti di filmato. Una metodologia sperimentata 40 anni fa, e che adesso dopo quattro decenni di sviluppo ha portato il Qatar a crearsi una dignità di sviluppo calcistico a livello giovanile competitiva a livello mondiale.

Per la vita vissuta, per i risultati ottenuti, per i metodi inventati, Bora Milutinovic non appartiene a questo tempo. Non appartiene a nessun tempo, va oltre i criteri prestabiliti come quei personaggi che anticipano i tempi e mettono in collegamento tra loro generazioni differenti. Quelli che vanno oltre le barriere spaziali e culturali, che tirano giù i muri quando questi sono ancora su, ma non rimangono a prendere l’applauso, perché l’istinto li ha già portati a navigare verso un’altra barriera, e non a raccogliere fortuna e gloria sul lido appena conquistato.
Che forse sentono il compimento della loro esistenza solo se sommersa dalla conoscenza dell’ignoto, anche quando questa li dovesse fare affogare.
Perché non siamo stati fatti per vivere come bruti, ma per seguire virtù e conoscenza.

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