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Cuba in soccorso dell'Italia, l'ex CT: "Medici pronti a rischiare la vita, abbiamo pianto"

ESCLUSIVA TMW - Cuba in soccorso dell'Italia, l'ex CT: "Medici pronti a rischiare la vita, abbiamo pianto"TUTTO mercato WEB
venerdì 27 marzo 2020, 14:00Serie A
di Giacomo Iacobellis

"Il popolo italiano aveva bisogno di noi". Parla ormai in prima persona mister Lorenzo Mambrini, col cuore diviso a metà tra Cuba e la sua Italia. Il viaggio in Centroamerica intrapreso nel 2014, d'altronde, ha cambiato in maniera indelebile la sua carriera, il suo carattere, la sua intera esistenza. Prima a Panama e poi proprio nella storica terra di Fidel, con un indimenticabile ciclo di vittorie a livello di club e anche di Nazionale. Non poteva che essere lui, dunque, a commentare direttamente da Cuba la spedizione degli oltre 50 medici e infermieri in Lombardia per aiutare l'Italia a uscire dai giorni più bui, raccontando al contempo anche la situazione Coronavirus nel mar dei Caraibi e il suo percorso ricco di avventure da Profesor de fútbol.

A Cuba da una vita, ma col cuore sempre nella sua Italia: mister Mambrini, come sta vivendo questa tragedia a distanza?
"È dura, molto dura - esordisce in esclusiva ai microfoni di TuttoMercatoWeb.com -. Quando vedi immagini drammatiche come quelle di Bergamo, ti si riempiono gli occhi di lacrime. Sono in contatto costante con la mia famiglia, con le mie nipotine e, anche se grazie al cielo stanno tutti bene, sono in apprensione per loro. Questo è un momento storico, unico, un segnale che Dio ci ha mandato per farci riflettere sul comportamento sbagliato di questi ultimi anni".

A Cuba com'è oggi la situazione legata al COVID-19?
"Qua per ora ci sono soltanto 50 casi, ma il Governo ha comunque deciso di adottare misure di contenimento. Siamo tutti in isolamento, sono stati bloccati gli affitti turistici e sono state chiuse le frontiere, così come sono vietati gli spostamenti interprovinciali all'interno del Paese".

E il calcio si è fermato?
"Ovviamente sì, già dalla scorsa settimana. Come si fa a giocare a calcio durante una tragedia di queste dimensioni? E lo dico io che sono primo in classifica col mio Ciego de Ávila, in prima divisione. Qua l'hanno capito subito, nonostante - ripeto - i contagi siano ancora pochissimi: nessuno in questi giorni parla di calcio, si è fermato pure lo sport nazionale che è il baseball. Se le cose non cambieranno, il prossimo mese ci assegneranno il titolo e congeleranno anzitempo la stagione. Il calcio, ora come ora, è davvero l'ultima cosa a cui pensare".

L'ha sorpresa l'aiuto di Cuba all'Italia in questo periodo di grave difficoltà?
"No, nient'affatto. Io conosco Cuba, conosco i cubani... Parliamo di una realtà completamente lontana dai soliti luoghi comuni. Cuba è genuinità, passione, è solidarietà. Cuba è gentilezza, spontaneità, è spirito rivoluzionario. La partenza, appena pochi giorni fa, dei nostri medici e infermieri dall'aeroporto di La Avana ci ha regalato un momento davvero toccante: sento ancora risuonare nelle mie orecchie l'inno dei due Paesi, ricordo sventolare le bandierine a metà coi colori di Italia e Cuba, l'emozione e anche la paura sui volti della gente... Una scena che ci ha fatti piangere, tutti. Questo d'altronde è Cuba, un Paese pronto a rischiare la vita per un amico in difficoltà".

Lo dice proprio chi di Cuba ha colto l'essenza, lo "spirito rivoluzionario" citando le sue stesse parole. Quali momenti custodisce con maggiore riserbo, almeno finora?
"Cuba mi ha dato tanto in questi anni, sia come uomo sia come 'Profesor' (il modo in cui viene chiamato l'allenatore, ndr). Una volta vinta la Primera División a Panama col Club Deportivo Árabe Unido, qui ho iniziato sulla panchina de L'Avana in Segunda conquistando subito la promozione. Poi sono andato ad allenare in Primera il Santiago de Cuba, con una Copa Cubana e un campionato in bacheca dopo ben 102 anni, oltre a un record di 32 partite da imbattuti. Senza dimenticare il percorso di quasi due anni alla guida della Nazionale cubana... Sono tornato in Italia nell'estate 2018, ho avuto una bellissima esperienza lavorativa come opinionista a Sportitalia e sono stato vicino ad alcune panchine di Serie C, ma non mi è piaciuta la realtà calcistica che ho toccato con mano. Anche per questo ho scelto ben presto di ripartire e riprendere proprio da dove avevo lasciato".

A Cuba ha incontrato e conosciuto personalmente anche il Líder Máximo, Fidel Castro.
"Un giorno che non dimenticherò mai: il 5 maggio 2016. Fidel mi accolse a casa sua e mi mostrò tutta la sua disponibilità, è stato un incontro che mi resterà sempre dentro. Ho pure ricevuto, per meriti sportivi, le chiavi simboliche della città di Santiago, donatemi direttamente da sua nipote Mariela Castro".

L'allenatore italiano più vincente in tutto il Centroamerica che messaggio vuole mandare al calcio nostrano e ai suoi connazionali?
"Mi dispiace vedere a che punto sia arrivata l'Italia oggi. Nel calcio italiano, nella società in generale, si pensa troppo ai soldi e poco alla bontà che possiamo offrire quotidianamente agli altri. Parlo di piccoli gesti, di un modo di approcciarsi alla vita che forse dall'alto, proprio con questa pandemia, ci vogliono far apprezzare e imparare di nuovo. La soluzione per ripartire dopo questa crisi nel mondo del calcio? Escludiamo la Serie C dai campionati professionistici, mi sembra l'unica via possibile".

E la Serie A?
"È incomprensibile che tanti in Italia continuino a parlare di campionato e di Scudetto, quando ogni giorno muoiono 600-700 persone. Prima viene la salute, prima c'è la vita. Stiamo a casa e preghiamo affinché tutto questo possa passare presto. In Italia, a Cuba, sull'intero pianeta. Fermiamoci a riflettere, il calcio non è importante e dovrà riprendere solamente in sicurezza. Un abbraccio forte e sentito a tutti, possiamo e dobbiamo farcela!".

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