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Inter, il prossimo avversario porta il tuo stesso nome

Inter, il prossimo avversario porta il tuo stesso nomeTUTTO mercato WEB
© foto di ALBERTO LINGRIA/PHOTOVIEWS
lunedì 5 febbraio 2018, 08:302018
di Alessandro Rimi

C’è stato un momento nel quale la bella, l’Inter di inizio dicembre, si è tramutata inspiegabilmente in bestia, l’Inter attuale. Un momento che, invero, ha sorpreso più o meno tutti. Scettici e creduloni, disincantati e sognatori, diffidenti e yes man. Un’involuzione, quella dei nerazzurri, ai limiti del surreale. Dice: se non giochi le coppe internazionali, a che ti serve una squadra B? E di fatti l’Inter la squadra B non ce l’ha perché, tecnicamente, allo stato delle cose, non è necessario disporne. Dodici o tredici titolari bastano e avanzano. Faranno fatica qualche volta, sì, ma è certamente sufficiente per tornare ad ascoltare quella sinfonia che mette i brividi solo a pensarci, sei stagioni dopo dalla (neanche troppo entusiasmante) ultima volta. In effetti l’attuale graduatoria impone il silenzio, seppur relativo. Improvvisamente però succede qualcosa che forse pure gli astronomi, visto che alle congiunzioni ci credono in tanti, non riescono a leggere. Una squadra di terza categoria che a calcio gioca discretamente bene, sbarca a San Siro e quasi non mette in ginocchio quella che fino a quel momento era stata dipinta come un’armata spietata. Non succede, eppure pare che da quel giorno i ragazzacci di Spalletti si siano smarriti irrimediabilmente.

Dieci gare consecutive senza vittoria nei 90’. Tra campionato e Coppa Italia sette pari e tre k.o. L’ultimo successo il 3 dicembre (64 giorni fa), per un totale di sei punti raccolti nelle ultime otto giornate di A (sei pari). Gol realizzati? La miseria di 5 (tra i quali un’autorete a Ferrara) in 960 minuti di gioco: in sostanza uno ogni 192’ e comunque mai più almeno due centri in un singolo incontro. E a proposito di record, ché a inizio stagione se ne snocciolavano parecchi, ancora una mancata vittoria e assisteremo alla peggior serie negativa di tutta la storia interista nella massima lega italiana. L’Inter non vince più, non corre più - se lo fa accade a sprazzi e comunque male (vedi Candreva) - è molle (vedi Perisic), è lenta e scontata (vedi Borja Valero), non riesce mai a cambiare modalità d’attacco nelle sue transizioni offensive molto poco eccitanti e, per finire, si lascia inevitabilmente rimontare da avversari che, quantomeno sulla carta, risultano inferiori e che, invece, finiscono per dettare gioco e legge.

A questo punto arriva lui, Luciano da Certaldo, che sorrideva quasi beffardamente al veleggiare della sua creatura e che, adesso, parla e spiega concetti confusi in tempo di crisi e delusioni. «Non ci sono giocatori che se ne fregano: se il livello non è quello che deve essere è colpa mia. Sono io a dover affrontare le conseguenze dei risultati». Lui, Lucio, se non altro la bussola della comunicazione non l’ha mai persa e, con ogni probabilità, mai la perderà. Lui era tutto, quando a San Siro si sorrideva, e tutto resta, ora che non si smette di mugugnare e pensare al prossimo striscione da esporre in bella la vista alla Scala. Fa mirabilmente da scudo a un gruppo che non sembra averne più. Cosa non è dato sapere ma, a sensazione, si sa invece ciò che i nerazzurri ultimamente portano gelosamente in campo: la paura. Quel fastidioso stato emotivo che appena ti conquista, scrollarselo di dosso poi diventa missione quanto mai complessa. Se non hai paura di sbagliare, osare e attaccare il tuo nemico, indipendentemente dalla sua dimensione, puoi anche restare in piedi seppur mal ridotto. Al contrario, vai giù ancor prima di dar via alla battaglia. È in questo secondo aspetto che la Beneamata potrebbe sicuramente riconoscersi. Per tale motivo, ad oggi, l’avversario più pericoloso per l’Inter risulta essere l’Inter stessa. Per un periodo più o meno lungo, il prossimo rivale porterà sempre il suo stesso nome. La sfida più importante e delicata della stagione sarà dunque quella di ritrovarsi e riprendersi la serenità perduta di giocare semplicemente a calcio. Tornare a divertirsi e quindi, appurato il tasso tecnico che indubbiamente questa squadra possiede, a recitare la parte che ai 50/60mila testardi di San Siro piace da matti. L’unica che garantirebbe loro il ritorno all’olimpo, dove chi lo abita guarda il mondo dall’alto verso il basso. Dove mai, almeno lì, avviene il contrario.