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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Ali Dia, il “cugino” di Weah che ha truffato la Premier League

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Ali Dia, il “cugino” di Weah che ha truffato la Premier League
venerdì 24 aprile 2020, 01:05Serie A
di Ivan Cardia
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche

Chi è il peggior calciatore di sempre? In quasi tutti i campionati del mondo, sarebbe una domanda abbastanza complicata. Come minimo ci vorrebbe qualche minuto di riflessione. Se pensate alla Serie A, è alquanto improbabile che vi venga in mente in pochi secondi un giocatore così scarso da togliervi il dubbio. I tifosi inglesi, viceversa, non hanno incertezze. Si chiama Ali Dia e ha giocato 53 minuti con la maglia del Southampton. E definirlo calciatore, almeno a livello professionistico, è davvero un azzardo. Perché questa è la storia del ragazzo che ha truffato la Premier League.

Ali Dia nasce a Dakar il 20 agosto 1965. È senegalese, e non è un dato secondario in questa vicenda. Ma ci arriveremo. Dal quartiere di Dieuppeul-Derkl viaggia verso l’Europa, gli piace il calcio e ci prova nel Vecchio Continente. Non ha grandissime qualità, almeno a giudicare dalle sue tappe: Beauvais, Dijone, La Rochelle, tutti club dilettantistici, in Francia. Il Lubecca in Germania e un paio di squadre di Serie C finlandese. Sogna l’Inghilterra, nel 1996 ci arriva. Non in altissimo: gioca con i Blyth Spartans, in Northern Premier League, poco più di un campionato amatoriale. Da lì alla Premier League, però, il passo è abbastanza breve. A patto di volerlo veramente ed essere disposti a tutto.

”Ciao, sono George Weah”. Il primo tentativo è con Harry Redknapp. Il tecnico londinese riceve una chiamata, l’interlocutore si presenta come George Weah, centravanti del Milan, che ha vinto da pochi mesi il Pallone d’Oro e il FIFA World Player. “Ciao George, vieni a giocare da noi?”, nel dubbio, Redknapp ci prova. “No, ma ti volevo consigliare mio cugino che è fortissimo”, risponde la voce al telefono. E Redknapp, capito l’inghippo, riaggancia senza troppe esitazioni.

Graeme Souness ci casca. Stesso schema, diverso risultato. Lo scozzese, classe ’53, ex stella del Liverpool, nel 1996 allena il Southampton. Riceve anche lui la stessa chiamata: all’altro capo del telefono c’è Weah, in quel momento il miglior calciatore al mondo. O almeno qualcuno che si spaccia per lui. Gli vuole raccomandare suo cugino: ha giocato nel Paris Saint-Germain, più una decina di presenze nella nazionale senegalese. Ecco, si diceva quanto la nazionalità fosse rilevante: Weah è originario della Liberia, che col Senegal non divide alcun confine. Anzi, ci sono almeno cinque Stati di mezzo. Il dubbio sarebbe lecito, ma Souness se lo fa passare e convoca il ragazzo, gli fa firmare un contratto di prova della durata di un mese.

La fortuna sorride agli audaci. Nel frattempo, Ali Dia viene scartato dal Coventry dopo un provino. Lo ha raccontato Gordon Strachan, all’epoca vice allenatore degli Sky Blues: “Lo abbiamo testato in amichevole. Sembrava uno che avesse vinto un premio per potersi allenare con noi”. Niente Coventry, il cugino di Weah (che Weah ovviamente non conosce) “sceglie” il Southampton. Si allena con il gruppo, avrebbe subito l’occasione di esordire, in una gara tra le riserve dei Saints e quelle dell’Arsenal: piove troppo e la partita viene rinviata. Peccato, gli tocca aspettare una partita della Prima Squadra per rifulgere.

”La pioggia deruba Ali Dia della sua grande occasione”. A rileggere oggi le cronache del tempo, viene da sorridere. “Il veloce attaccante, ex PSG - scrive Graham Hiley, che per vent’anni ha seguito il Southampton come cronista e a dirla tutta pare aver nutrito sin da subito seri dubbi sulle qualità del ragazzo - era pronto per colpire, ma la pioggia glielo ha impedito”. Niente paura, c’è la Premier League, baby. Dopo appena due allenamenti, e nello scetticismo generale dei suoi giocatori, Souness decide di portare il senegalese Ali Dia in panchina contro il Leeds United. L’idea è di non farlo giocare, ma la squadra ha l’attacco praticamente decimato dagli infortuni e un giocatore in più non può fare male. I compagni di squadra sono sorpresi: il ragazzo si è allenato per pochi giorni con loro, non ha impressionato nelle partitelle, e qualche dubbio sulle sue origini e sulla sua effettiva carriera inizia a serpeggiare. Poi accade l’impensabile.

È il 23 novembre 1996. Una data scolpita nella memoria di Dia e di tutti i tifosi presenti al The Dell, lo storico impianto dei biancorossi poi sostituito dal St. Mary’s Stadium. È il giorno dell’esordio in Premier League di Ali Dia, il “cugino” di George Weah. Da subentrante, ma non di un calciatore qualunque. Al 32’ della partita contro il Leeds, si fa male niente di meno che Matthew Le Tissier. Per chi non lo conoscesse, scriveremo una storia a parte: la merita, come del resto lo stesso Souness. Vi basti sapere che per i tifosi del Southampton è semplicemente Le God: per (ampio) distacco il miglior calciatore nella storia del club. Tra le riserve non ci sono altri attaccanti: entra Ali Dia, sotto lo sguardo sgomento dello stesso Le Tissier.

53 minuti di gloria. “Ali Dia is a liar”. Paradossalmente, il “cugino” di Weah va anche vicino al gol. In una delle sue prime azioni, riceve palla poco defilato sulla destra: la posizione sarebbe anche propizia, magari per un bel cross. Ne nasce una ciabattata che il portiere del Leeds (per la cronaca avanti 2-0) controlla in maniera fin troppo scenografica. Il resto della gara di Dia scorre via tra un contrasto debole, una palla persa, un paio di scatti inutili. All’85esimo di gioco, dopo 53 minuti di nulla, Souness non ne può più: nonostante stia perdendo 2-0, butta dentro il difensore Kenneth Monkou. Anni dopo riderà dell’accaduto, ma dopo quella partita nello spogliatoio del Southampton il nome di Dia è proibito. Il senegalese gioca un altro tempo contro le riserve del Chelsea, poi sparisce dai radar. I Saints ovviamente non confermano il suo ingaggio, Souness ha capito di essere raggirato, che quel ragazzo non ha nulla da spartire con Weah, se non il colore della pelle e una (in questo caso non corrisposta) passione per il calcio. Ancora oggi, durante le partite del Southampton, capita di sentire un coro: “Ali Dia is a liar”. Ali Dia è un bugiardo. Ma la storia non finisce qui.

Dia va a nord. E trova la sua vocazione. Salutato il Southampton e la Premier League, Ali Dia resta in Inghilterra. Va a nord, in Northumbria, a Gateshead, poco a sud di Newcastle. Convince il club locale a tesserarlo: colorisce i trascorsi al PSG con un’improbabile amicizia con David Ginola e aggiunge al suo curriculum la maglia del Bologna. Strappa un premio da 1.500 sterline per la firma del contratto e gioca. Segna, addirittura: 2 gol in 8 partite. Ai compagni sta simpatico, li invita a casa sua a vedere la Coppa d’Africa, dove casualmente non è stato convocato. “Era un Tino Asprilla dei poveri”, racconterà tempo dopo a FourFourTwo il suo partner d’attacco Paul Thompson. È un’avventura breve: l’arrivo di un nuovo allenatore lo porta ai margini della squadra. E nel frattempo questo ragazzo, tanto furbo da truffare un club professionistico di Premier League, trova la sua vocazione: nel 2001 si laurea in Economia alla Northumbria University, poi esce dalle cronache ed entra definitivamente nella leggenda. Cambia il suo nome in Aly Dia e fa perdere le sue tracce: molto probabilmente si trasferisce in San Francisco per continuare i suoi studi, oggi si vocifera lavori come uomo d’affari a Doha. I tempi del Southampton sono lontani, ma alzi la mano chi può dire, seppur grazie a una parentela inventata e alla buona fede di un’autentica leggenda del calcio britannico, di aver giocato in Premier League senza alcun apparente merito calcistico.

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