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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Arthur Friedenreich: più gol di Pelé. Forse

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Arthur Friedenreich: più gol di Pelé. Forse
domenica 10 maggio 2020, 01:05Serie A
di Ivan Cardia
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche

Una palla vagante in area, un giocatore che vi si avventa e la gira in porta, alle spalle del malcapitato portiere avversario. È una delle poche testimonianze in video che abbiamo di Arthur Friedenreich. Ma è solo colpa dei tempi. Perché di immagini dei suoi gol ve ne potrebbero essere di più, molte di più. Almeno se la sua leggenda, o anche solo una parte di essa, corrispondesse a verità. Perché questa è la storia, in tutta onestà povera di veri e propri appigli documentali e nello specifico visivi, del giocatore brasiliano che ha segnato più di tutti. Forse.

I re dei cannonieri. Chi ha fatto più gol nella storia del calcio? Risposta impossibile. La FIFA accredita al primo posto Edson Arantes do Nascimento, per tutti Pelé, con 767 reti realizzate. Il conteggio ufficioso di O Rey, però, parla di 1281 marcature. Per la cronaca, nei calcoli dell’IFFHS (non ritenuti validi da Zurigo) gli sarebbero comunque davanti il leggendario Josep Bican, cecoslovacco che avrebbe segnato oltre 1468 gol (ma per la FIFA si è fermato a 759) e Gerd Muller con 1461 gol (730 per i dati ufficiali). Perché queste discrepanze? Nel caso di Bican, parliamo di un giocatore attivo prima della Seconda Guerra Mondiale, con archivi che sono andati persi e comunque non erano sicuramente aggiornati con costanza e precisione. Pelé e Muller sono nomi più recenti: in questo caso pesano le amichevoli. Che qualcuno conta e qualcuno no. Nel primo caso, ovviamente, fanno crescere esponenzialmente il numero.

E poi c’è Friedenreich. L’uomo dei 1329 gol. O 1239? Il dubbio nasce già nella leggenda, prima di approdare alla storia. A seconda dei casi, ovviamente, supererebbe Pelé per numero di marcature realizzate in carriera. Per qualcuno, però, si tratta di un banale errore di scrittura: Friedenreich avrebbe segnato 1239 gol in 1329 partite. Un’enormità, in ogni caso. E verosimilmente, come per gli altri iconici bomber qui considerati, ben lontana dal numero ufficiale, se per tale si considera quello delle marcature realizzate soltanto in partite competitive e non in amichevoli.

Un tedesco mulatto. Nome e cognome tradiscono le sue chiare origini europee, per la precisione teutoniche. Ma il nostro eroe è brasiliano, nasce a San Paolo il 18 luglio 1892. Non è di colore, ma non è nemmeno bianco: suo madre è un ricco commerciante tedesco, sua madre è mulatta, così anche lui ha la pelle scura. Farà i conti con questo fatto, in un Brasile, in un mondo, fortemente razzisti a inizio secolo. Cercherà di nasconderlo, schiarendosi la faccia con la crema di riso e lisciandosi i capelli, portati rigorosamente all’indietro, per sembrare a tutti gli effetti bianco. Non basterà, come vedremo.

Inizia nel Germania. O forse nel Ypiranga, ma lui ha sempre raccontato la prima versione. Il motivo è sempre lo stesso: ribadire le sue origini tedesche. Inizia subito a segnare: con i suoi 175 centimetri è un centravanti abbastanza longilineo, almeno per gli standard del Paese e dell’epoca. Lo chiamano El Tigre per il suo agonismo, le cronache raccontano più del suo killer istinct che della sua tecnica. La quale, però, non deve mancare. Lo conferma il fatto che Friedenreich continui a segnare anche dopo il 1924, quando viene introdotta la regola del fuorigioco. Si ispira dichiaratamente a Charles Muller, il padre del calcio e del rugby in Brasile. Dal 1909, anno del suo probabile esordio, gira in lungo e in largo: veste le maglie di Mackenzie, Americano, Passandu. Flamengo, nel 1917: da San Paolo a Rio, non un passaggio semplice in un momento delicatissimo per la storia verdeoro.

La nazionale brasiliana. Complici le buone prestazioni con i club (di cui oggettivamente abbiamo poche o nulle prove) entra nel giro della Seleçao. O meglio, della canarinha, perché a inizio secolo la Nazionale brasiliana si chiama soprattutto così. Esordisce nel 1914, in una sconfitta per 3-0 contro gli odiati rivali dell’Argentina. Pochi mesi dopo si prende la rivincita: il Brasile batte proprio l’albiceleste e vince la Copa Roca. Non è un gran titolo, si tratta di un’amichevole organizzata per migliorare i (tesissimi) rapporti diplomatici tra i due Paesi più grandi del Sudamerica. È però il primo trofeo nella storia del Brasile. In un certo senso è iniziato tutto da lì, da un’amichevole utile ad avviare la leggenda di Friedenreich.

Trionfi e stop. Nel 1917 il Brasile chiude al terzo posto in Copa América, nel 1919 El Tigre lo conduce alla vittoria, un’altra prima volta. Poi deve dire stop. Il presidente federale Epitácio Pessoa emana una legge che proibisce l’impiego di neri in nazionale, Friedenreich non riesce a “ingannare” nessuno e resta escluso dal giro fino al 1922. Quando, complici le deludenti uscite dei brasiliani bianchi, il governo centrale torna sui suoi passi. Così Arthur rientra in nazionale, e quest’ultima vince di nuovo: nel 1922, un’altra Copa América. Il tormentato rapporto con la nazionale, però, vive nuovi e oscuri capitoli. Oltre a essere di colore, Friedenreich è anche paulista. E, quando nel 1930 il Brasile si avvia al primo Mondiale, disputato in Uruguay, la nazionale è guidata da una commissione carioca. Sono anni di guerra civile tra i due Stati, la decisione è di escludere i cittadini di San Paolo dalla rassegna iridata: El Tigre non giocherà mai un mondiale in vita sua. Per aspettare che il Brasile possa imporsi a livello planetario, bisognerà attendere un altro nero, ma questa volta nero davvero, di Minas Gerais: Pelé, appunto.

Il dandy paulista. Dal 1918 al 1929, Friedenreich gioca, tra i club, con la maglia del Paulistano. Segna gol a raffica (220 in 178 gare), per quanto le statistiche possano essere attendibili. Diventa un personaggio nazionale, famoso anche per i suoi comportamenti fuori dal campo. Coi capelli crespi sempre impomatati e lisci, si circonda di belle donne e bazzica gli ambienti più ricchi. Ama il cognac, oltre che calciatore diventa dandy, amatissimo soprattutto nella sua regione. Per le reti, ma anche per i suoi occhi verdi che fanno innamorare le tifose e magari anche qualche tifoso. Le tappe dei suoi passaggi nei club hanno tutte il sapore della leggenda: dal 1930 al 1935 gioca nel San Paolo, quello di oggi, che raccoglie l’eredità del Paulistano. Nel solo 1931 realizza 29 gol in 24 partite. Chiuderà la sua carriera nel 1935, sorprendentemente a Rio de Janeiro, nel Flamengo, vestendo per la seconda volta la maglia rossonera. Non prima, però, di aver imbracciato il fucile.

La rivoluzione del 1932. La storia di Friedenreich si intreccia infatti con quella del Brasile. Dal 9 luglio al 2 ottobre 1932 va in scena la Revolução Constitucionalista de 1932, la Guerra Paulista. Gli stati di São Paulo, Mato Grosso do Sul e Rio Grande do Sul si armano per combattere il Governo Provvisorio di Getulio Vargas, vogliono l’indipendenza. È un conflitto di breve durata, che porterà quasi 2.000 lutti e coinvolgerà centinaia di migliaia di giovani. Le forze centrali sono più forti e alla fine prevalgono, in un conflitto che è parte di un processo più ampio, quello che nel 1934 porterà alla Costituzione, la prima brasiliana dopo la liberazione ottocentesca dal dominio portoghese. Nel conflitto c’è anche Friedenreich, che si distingue in guerra come nel calcio. Lascia il pallone e prende il fucile, inizia come sergente e chiude come tenente. Guida un battaglione di 800 colleghi, tutti sportivi. Si guadagna gli onori militari, poi torna a giocare. Dove e come chiude lo abbiamo già visto. Scopriamo perché, ma prima passiamo in rassegna un altro mito nel mito.

I rigori. Nella leggenda del Tigre, oltre alla immensa e presunta mole di gol segnati, sui quali non ci soffermiamo più di tanto perché non sapremmo come sollevare il velo della leggenda, c’è anche il mito dei rigori. Alimentato dal diretto interessato, che dichiara pubblicamente di non averne mai sbagliato uno. In realtà, secondo i dati della divisione brasiliana di RSSSF, ne ha falliti ben dodici in carriera. Il primo contro il Paulistano, con la maglia dell’ Ypiranga. L’ultimo contro il Palestra, con la maglia del San Paolo. Dodici: un numero comunque limitato, rispetto a quelli segnati. Ma il fatto che sul punto abbia sempre raccontato (con ottime probabilità) una bugia ci fa pensare che anche il conto dei gol possa essere stato ritoccato verso l’alto.

Contro il professionismo. Nel 1935, lo abbiamo già detto, gioca con la maglia del Flamengo. Sono anni di riforme, per il calcio brasiliano, che sceglie la via del professionismo. È una strada che Friedenreich non condivide: lo dice apertamente, ma soprattutto si rifiuta di diventare tale. A 43 anni, nonostante la formazione carioca gli voglia rinnovare il contratto, dice di no, appende gli scarpini al chiodo. Non è più il suo calcio, non è più uno sport semplice e misterioso come piace a lui. Che ha inseguito il gol e spesso lo ha incontrato. Altre volte lo ha immaginato, o lasciato inventare ai cronisti. Inizia a lavorare per una compagnia che produce bibite, poi si ritira a vita privata in una casa cedutagli dal San Paolo in segno di gratitudine per le sue innumerevoli marcature. Si spegne il 6 settembre 1969, un anno prima che Pelé porti il Brasile al suo terzo trofeo mondiale. Con la convinzione di essere stato comunque più grande di O Rey. Perché lui ha segnato di più. Forse.

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