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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Rio Mavuba, l'apolide naturalizzato francese

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Rio Mavuba, l'apolide naturalizzato franceseTUTTO mercato WEB
sabato 9 maggio 2020, 01:05Serie A
di Simone Bernabei
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche

Capitaine de ma vie. Capitano della mia vita. Per la sua autobiografia, potente e terribilmente attuale, Rio Mavuba ha scelto un titolo emblematico. Che racconta, in 4 parole, quasi tutta la sua vita. La sua storia diversa da tante ma simile a molte, nonostante l’ex calciatore fra le altre di Lille, Villarreal e Bordeaux abbia trovato nel calcio un appoggio impensabile per cambiare le sorti del suo destino. Perché la vita, almeno quella legata all’infanzia, non fu propriamente facile. A cominciare dalle primissime ore di vita. Momenti che la mente di Rio Mavuba non può certo ricordare, ma nome e documenti sono testimonianze forse più forti di qualsiasi reminiscenza.

Né en mer - Nato in mare. Ha scritto questo sul suo passaporto, l’ex calciatore della Nazionale francese. Nessun errore, solo la cruda, disarmante verità. Nel marzo del 1984 il padre Mafuila e la madre Thérèse decisero di scappare dall’Angola, paese all’epoca letteralmente devastato da una guerra civile iniziata quasi 10 anni prima. Uno dei conflitti più cruenti della storia del continente africano, raccontano gli storici. La famiglia Mavuba, come capita a tante persone in cerca di miglior fortuna, salì su un barcone per intraprendere una traversata marittima pericolosissima: l’obiettivo finale era il porto di Marsiglia, migliai di chilometri più a nord. Era quello il luogo designato per la ricerca di una vita migliore, senza guerra e con la possibilità di crescere i figli in libertà. La madre all’epoca era incinta, il tempo non era ancora scaduto ma le precarie condizioni di navigazione, la paura e l’ansia accelerarono il processo. Il bimbo nacque in mezzo all’Oceano Atlantico, né en mer. Il parto certamente non fu semplice, ma il bambino era vivo e l’omaggio spontaneo dei genitori fu alle acque che lo avevano accolto. Da qui il suo nome, Rio. La famiglia Mavuba riuscì, dopo giorni e giorni, a raggiungere la Francia e gli fu immediatamente riconosciuto lo status di rifugiati politici. La vita anche in Europa non fu semplice, ma almeno non c’era la guerra: la madre morì poco dopo, quando Rio aveva 2 anni. Il padre quando ne aveva 14. E da quel momento, quel ragazzino che si stava già facendo notare come potenziale calciatore di livello, dovette farcela totalmente da solo.

Il calcio come ancora di salvataggio - Era considerato un apolide, dalle istituzioni francesi. Nonostante lo status di rifugiato, i documenti non furono automatici per quel piccolo nato su una barca e per la sua famiglia. A 14 anni, quando giocava per le giovanili del Bordeaux, fu selezionato nella squadra che doveva formare la rappresentativa regionale dell’Aquitania. Un riconoscimento straordinario, per quel ragazzino che si preparò giorno e notte per quell’appuntamento. Ma la mancanza di documenti non era una bazzecola su cui i dirigenti potevano soprassedere. E così fu messo da parte. La cittadinanza, così come il passaporto, arrivò solo nel 2005, quando Mavuba aveva compiuto 20 anni e il ct Raymond Domenech lo convocò con la Nazionale maggiore della Francia (dopo che in passato aveva detto no alla chiamata della nazionale della Repubblica Democratica del Congo). Il suo avvicinamento al calcio, come detto, fu grazie al Bordeaux. Il padre Mafuila era stato un calciatore e aveva rappresentato la nazionale dello Zaire ai Mondiali del ’74 (squadra passata alla storia quando Mwapu, durante la gara col Brasile, si staccò dalla barriera per calciare via il pallone in occasione di una punizione a favore dei verdeoro). Fu proprio grazie al padre che Mavuba si avvicinò al calcio. Col Bordeaux esordì in Ligue 1 e giocò 4 anni in prima squadra, quindi il passaggio nel 2007 al Villarreal. L’esperienza spagnola non fu semplice e a gennaio arrivò il prestito al Lille. Il suo impatto fu straordinario ed il tecnico Rudi Garcia fece di tutto e di più per trattenerlo. Fu accontentato e alla fine rimase al Lille fino al 2017 (fu accostato, in diverse fasi, anche a motle squadre italiane). Nel 2017-2018 giocò allo Sparta Praga, prima di far ritorno in Francia per giocare con gli amatori del Mérignac-Arlac. Alla fine della sua carriera, potrà comunque fregiarsi di discreti successi: un campionato francese, una Coppa di Francia e una Coppa di Lega francese.

Finalmente il Mondiale - Come detto nel 2004 arrivò anche la convocazione con la Francia. Ma la vera, grande occasione arrivò con Didier Deschamps una decina di anni più tardi. Un po’ a sorpresa, a dir la verità, visto che dopo l’esordio le sue chiamate con les bleus furono sporadiche e senza continuità. Ma quella squadra ricca di talento aveva bisogno anche delle sue qualità. Giocò pochissimo, circa 25’ nella gara inaugurale contro l’Honduras. Ma tanto bastò per chiudere una sorta di cerchio e per raccontare al mondo una storia ben precisa: niente è impossibile, neanche per un bambino che ha visto la luce in mezzo all’Oceano.

Tanto altro, oltre al calcio - Il suo passato e la sua storia parlano chiaro. E Mavuba non ha mai né nascosto né tradito le sue origini. E’ sempre stato impegnato nel sociale e da anni ha creato l’associazione Les Orphelins de Makala che aiuta i bambini più bisognosi di un poverissimo quartiere di Kinshasha, nella Repubblica Democratica del Congo. La musica poi, altra sua grande passione: nel 2015 appare in un video musicale di Maître Gims, rapper originario proprio della RDC. Qualche anno più tardi è stato uno dei produttori della canzone ‘Mercy’ del duo ‘Madame Monsieur’, pezzo che ha rappresentato la Francia all’Eurovision di Lisbona nel 2018 e che tratta proprio dei difficili viaggi intrapresi dai migranti. Gente come lui, che decide di lasciare tutto per seguire il sogno di una vita migliore. A Rio Mavuba è andata bene. E l’obiettivo, certamente la speranza, è che la storia possa essere d’esempio per tanti altri uomini costretti a vivere esperienze del genere.

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