TMW - Juventus, Buffon: "Conte un professionista, va stimato"
Il portiere della Juventus Gianluigi Buffon è intervenuto durante il Festival dello Sport a Trento. Queste le sue parole raccolte da TMW: "Conte? Ad Antonio voglio un bene dell’anima, è stato compagno di squadra prima, il mio capitano, il mio allenatore alla Juve e in Nazionale. Conosco la persona e il professionista e nella vita non potrei mai muovere qualche colpa. Ha un grado di professionalità e correttezza nei confronti del gruppo, una capacità di insegnare calcio incredibili. Non dorme davvero la notte se la sua squadra non riesce a esprimere ciò che chiede. Capisco i tifosi bianconeri che ci rimangono male, ma bisogna partire dal presupposto che uno come Antonio va stimato perché per la Juventus ha dato tutto se stesso con la massima convinzione, ottenendo risultati. Le scelte possono essere discutibili, ma ciò che ha dato e ricevuto dalla Juve è qualcosa di molto importante. Insieme abbiamo dato tutto e in cambio abbiamo avuto grandi gratificazioni. Allenatore più duro? Sicuramente lui. Il più simpatico? Ulivieri, ma anche Allegri. Il più pignolo? Sarri.
L'estremo difensore bianconero parla anche di Cristiano Ronaldo: "Dopo quella rovesciata, gli chiesi in campo quanti anni avesse e sorridendo rispose: ‘33, non male vero?’. Pensai: ‘guarda questo figlio di...‘ (ride, ndr). Se non li puoi combattere, unisciti a loro. A proposito di fenomeni, ecco perché accettai il PSG. Se non stai con i migliori, fai fatica a capire cosa vuol dire essere un campione. Poi ho scoperto un ragazzo, Cristiano, veramente a modo. Interagisci con i compagni, dedichiamo minuti e minuti di dialogo per preparare delle cose. E’ stata davvero una piacevole scoperta. Se dovesse vincere il pallone d’oro e glielo auguro di cuore, vorrà dire che la Juve avrà allo stesso modo vinto qualcosa di importante e sarebbe anche ora. Per un portiere non è facile vincerlo, c’è riuscito solo il mitico Jasin. Diceva sempre che se non sei tormentato dopo un errore, non puoi essere un gran portiere. Allora io penso di esserlo. La mia, in questo senso, è una brutta vita (ride, ndr). Vengo da una famiglia di sportivi, perciò ho imparato presto il significato di miglioramento costante, perenne assenza della totale soddisfazione. Non sento di aver dato proprio tutto tutto, il cento per cento insomma. Forse manca quel quindici per cento che mi servirà proprio per il gran finale della mia carriera.
Buffon parla a tutto tondo della sua carriera, ricordando anche aneddoti particolari: "Essere un ‘idolo’ in Nazionale mi ha aiutato ad ammorbidire i tifosi non juventini. Mi piace rivaleggiare, sono molto competitivo e se gioco ancora è proprio per questa ragione. L’odio è qualcosa che umilia l’uomo. Le mie parate nel sonno? Movimenti naturali, saranno le parate che non sono riuscito a fare nella mia carriera".
Il mio esordio? In un Parma-Milan, eravamo in testa entrambi e l’idea di buttare dentro un portiere di appena diciassette anni, pensandoci, era stato quantomeno azzardato. In realtà dopo la comunicazione, dormivo serenamente. Certo non potevo sentire un certo tipo di agitazione, ma finché avrei dovuto io gestire le cose per me non era un problema. Casomai avrei dovuto convincere gli altri. Poi finì 0-0.
Ancelotti? E’ stato l’allenatore al quale devo di più, se Scala ebbe l’idea pazza di farmi esordire, Carlo la fece anche più grossa: scalzai Bucci, amico e portiere della Nazionale, e dopo cinque o sei gare diventai il titolare di quella squadra. Un fardello sulle spalle, ma lì iniziò davvero la mia carriera. Il preparatore dei portieri, William Vecchi, disse: ‘mi raccomando non essere ottimista, perché saresti un perdente. Sono sicuro che non ci tradirai’.
Concetti poi ritrovati con Barzagli, Bonucci e Chiellini? Diciamo che il nostro è uno di quei rapporti che nascono pochissime volte nel mondo normale, difficilmente in quello sportivo. Il grande plauso va a loro, non c’era competizione con me, ma appunto tra loro. Grande merito nel costruire una fiducia totale, ci vogliamo bene e ci apprezziamo come persone. E’ un legame di fratellanza. Parlo sempre con tutti loro, una sorta di attrazione (ride, ndr). Insomma, un sentimento viscerale. Con loro hai la sensazione che nulla è impossibile, ti imbatteresti in qualunque tipo di sfida.
Il ritorno alla Juventus? Ha anche a che fare con quello che è il riassetto familiare, dopo un anno strepitoso a Parigi. Una esperienza rispetto alla quale sentivo una necessità, andare via dalla zona di comfort non era scontato che andasse bene, mi ha reso invece una persona più completa. Ringrazio per questo il PSG per avermela concessa e perché, probabilmente, senza di loro avrei smesso di giocare. Quando ne parlai con il presidente Agnelli, mi rispose che in effetti poteva essere una parentesi positiva. A un certo punto però, ripensando alla mia famiglia, sentii il richiamo di casa. Non bastavano due weekend al mese, capivo che la stavo penalizzando. Perciò decisi di tornare a Torino, ma anche per altre motivazioni. Come l’orgoglio di essere stato voluto dal Paris e la chiamata a 41 anni della Juve per tornare in bianconero. Poi c’è pure il cerchio, il cerchio che si chiude perfettamente con i compagni di una vita, seppure con un ruolo meno importante rispetto a prima. Sono comunque soddisfatto, perché vedere i miei compagni correre da me, osservarmi quando sono tra i pali nonostante la mia età, mi dà la forza di continuare ancora a giocare
Nazionale? Molti traguardi li raggiungi se riesci a mantenere una certa distanza dai record personali, ma ragionando di squadra. Poi i record tranquilli che arrivano. Mancini ha preso una Nazionale dalle ceneri, sposando questa linea verde nel modo giusto, donato una nuova fiducia e perciò grande merito a lui: la settima vittoria di fila va al di là del valore dell’avversario. Se ci riesci, vuol dire che esistono qualità fuori dal comune.
Io un po’ scanzonato? Era un modo per difendermi dal mondo dei grandi, dalle grandissime responsabilità. Capivo che per farmi accettare dovevo sempre andare fuori di giri, verso quel pizzico di follia e presunzione necessaria perché mi includessero con più facilità. Quando poi passano tanti anni, leggi alcune dichiarazioni e non ricordi com’eri. Vedo certe interviste datate e penso che evidentemente dovevo essere proprio un fuoriclasse (ride, ndr).
Social? La maggior parte della gente non conosce ciò che facciamo nella vita, una vita normale a qualche volta anche noiosa. Abbiamo cinque o sei paparazzi che ogni giorno piantonano la nostra casa, pronti a fotografare qualunque cosa. Ci pensi anche quando stai per accompagnare i figli a scuola”.