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Younes: "I calciatori andrebbero educati. Ora ci sfruttano e ci aiutano solo a rimanere stupidi"

Younes: "I calciatori andrebbero educati. Ora ci sfruttano e ci aiutano solo a rimanere stupidi"TUTTO mercato WEB
© foto di Antonello Sammarco/Image Sport
venerdì 8 maggio 2020, 19:23Serie A
di Ivan Cardia

“I calciatori sono sfruttati, andrebbero educati”. Intervistato da T-Online, Amin Younes, esterno tedesco del Napoli, affronta diversi temi molto particolari. A partire dalla gestione dei giovani giocatori: “Andrebbero seguiti meglio sotto diversi aspetti. Molti sanno giocare benissimo a calcio, ma pochissimi sanno come gestire i propri soldi o vivere senza sport. Non dovremmo spremere i giovani come limoni per il loro talento, ma farli crescere a tutti i livelli”.

Da dove nasce la tua preoccupazione?
“Molti calciatori arrivano dalla povertà, e all’improvviso diventano delle stelle. Gestire questi soldi è una cosa che bisogna imparare. Io vengo da una famiglia di questo tipo, ma ho avuto la fortuna che mio padre mi abbia sempre seguito. E un altro vantaggio è stato crescere nel Gladbach, che è un’eccezione. Ma non tutti sono fortunati come me”.

Come si potrebbero aiutare i giovani?
“Ho alcune idee. Per esempio, fino a una certa età potrebbero ricevere solo parte del loro stipendio, con l’obbligo per il club di versare il resto in un altro conto, che il professionista possa utilizzare solo dopo il ritiro. Ci sono tanti che giocano da professionisti per un paio d’anni e spendono tutto. Poi diventa dura. Viviamo lontani dal mondo reale e, per quanto si possa guadagnare, ci sono tanti calciatori che restano senza soldi”.

Quanti casi conosci?
“Beh, mi accorgo di chi possiede cinque macchine. Al momento dipende tutto dagli sponsor. Mio padre e il mio allenatore Horst Hrubesch mi hanno sempre chiesto perché avessimo bisogno di tante macchine. Ma quando sei giovane e guadagni tanto, se nessuno te lo spiega, ti compri cinque macchine. Semplicemente perché te lo puoi permettere”.

Hai fatto errori simili?
“Onestamente no. Ma come ho detto sono stato fortunato, ho avuto mio padre sempre vicino. Non potevo assolutamente fare quello che volevo con i miei soldi”.

Il calcio è cambiato. Quanta pressione senti?
“Nel passato, penso che il calcio fosse più puro. Lo dico anche se non posso esserne certo. Io non sento toppa pressione, e non capisco perché ci sia: vorrei che il calcio fosse più normale. Se non giocassi a pallone, non penso che lo seguirei. E non fraintendermi: mi piace il calcio. Ma non capisco l’hype che lo circonda”.

Ora basta poco per essere una star.
“Appunto. E si sbaglia. La cosa migliore è quando sei giovane, impari determinati valori, porti ancora le tue scarpe da calcio a casa per pulirle. Quando si è professionisti non succede, e non è un male in assoluto, ma a me non piace. Un giovane dovrebbe essere aiutato. A livello finanziario, ma su tutti i punti di vista: anche un calciatore sa pulirsi le scarpe da solo”.

Come affronteresti la cosa?
“Servono dei valori. Ora ti siedi al tavolo con 20 persone e 18 guardano il cellulare. Perché?”.

Ti senti troppo dipendente dagli altri, essendo un calciatore?
“Beh, l’attenzione è sicuramente troppo alta. Ci vuole un po’ di protezione. Ora come ora, penso che i calciatori siano aiutati soprattutto a rimanere stupidi. Fanno tutti tutto per noi”.

Hai parlato di hype e troppa attenzione. In quali situazioni le hai provate in prima persona?
“Penso a quando vai al ristorante con la tua famiglia: tutti ti guardano nel piatto perché pensano che tu debba mangiare in maniera molto salutare. Ti guardano sempre tutti, in continuazione, e devi stare attento a come ti comporti. Non è un gran problema per me, a me piace scherzare e parlare con la gente. Cerco di far capire che i calciatori non sono poi così speciali: quando torno in Germania, la prima cosa che faccio è mangiare un kebab decente”.

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