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Varrella: "Il Brescia ha un'identità. La Salernitana dovrà dare il massimo"

Varrella: "Il Brescia ha un'identità. La Salernitana dovrà dare il massimo"TUTTO mercato WEB
© foto di Prospero Scolpini/TuttoLegaPro.com
venerdì 22 gennaio 2016, 13:302016
di Luca Esposito

Salernitana-Brescia è anche la partita di Franco Varrella: l'allenatore, che guidò il Brescia nel 1989-90 e la Salernitana in due riprese, ha un ricordo particolare dell'incontro che finì 4-1 per i granata (quella fu anche la partita in cui il compianto tifoso del Brescia Roberto Bani cadde dalle gradinate). Varrella capì quel giorno, il 4 maggio 1997, che la Salernitana si sarebbe potuta salvare. Meno fortunata la seconda ripresa, nel 2003, con una retrocessione dalla B in C1 poi cancellata dalla riforma del campionato cadetto che divenne a 24 squadre, ma il mister romagnolo, oggi docente presso il Settore Tecnico a Coverciano, ricorda Salerno soprattutto per la salvezza guadagnata pochi anni prima con alcune prestazioni davvero esaltanti offerte dai granata davanti al pubblico amico. TuttoSalernitana.com ha raggiunto telefonicamente Varrella per intervistarlo, in qualità di "doppio ex".
"Per quanto riguarda Brescia, diciamo che fu l'esperienza esaltante di chi arrivò abbastanza di corsa al professionismo. Avevo trentasei anni, avevo fatto un ottimo campionato a Forlì, quindi quella fu una cavalcata tutto l'anno. A Salerno arrivai invece in un momento durissimo: arrivai per sostituire Colomba, bravissimo collega, che aveva lasciato una squadra diciamo a posto, ma che aveva qualche piccolo problema che nasceva da una situazione logistica un po' particolare. Pisano voleva andare via a tutti i costi perché aveva delle situazioni delicate, Masinga veniva chiamato 'sbucciatore di banane' ma io mi opposi alla cessione di questo giocatore e fui fortunato, perché poi ebbi ragione: Masinga andò al Bari, e la Salernitana, per bocca del presidente Aliberti, fece un bell'affare. Io tra l'altro ho anche un ricordo di Salernitana-Brescia che è particolare, perché quella partita segnò una linea di demarcazione: quel giorno trovammo innanzitutto il miglior Masinga, e trovammo anche una certa compattezza di squadra perché avevo lasciato fuori Pirri e Artistico per ragioni tecniche e anche di altra natura, e la squadra mi diede una soddisfazione straordinaria. Capii che la squadra si sarebbe salvata senza problemi. Il Brescia era primo in classifica, ma noi facemmo una cosa straordinaria, soprattutto grazie alla presenza di quello che io considero uno dei primi cinque popoli sportivi in Italia. Finì 4-1 per la Salernitana. Mi piace ricordare quel match perché i nostri tifosi ci misero del loro, per fare sì che la Salernitana riuscisse a ottenere la salvezza. E poi, da quella Salernitana nacque poi quella successiva con Delio Rossi che vinse il campionato '97-'98".
".

Come si salvò quella squadra?
"Quella squadra fece leva sui retaggi storici, tipo Breda, Tudisco, Grimaudo, Ricchetti, poi dopo trovammo anche Masinga che ci diede una grossa mano. La squadra si salvò sulla coesione, anche grazie all'aiuto della tifoseria, e trovò una sua identità: c'erano alcuni giocatori che all'inizio erano poco contenti di essere lì, e i senatori avevano preso poco bene questa cosa, ma alla fine i senatori dimostrarono di essere all'altezza della situazione".

A Brescia invece lei ebbe l'onore di allenare Alessandro Altobelli...
"Sì, fu un onore. Trovarsi un campione del mondo alle proprie dipendenze non può non essere un onore, ma è stato anche un salto di qualità. Alessandro mi diede anche qualche lezione... di savoir faire, imparai cose interessanti da Altobelli e da alcuni suoi atteggiamenti. Con lui ho mantenuto sempre un bel rapporto, tanto che lui ha provato per un paio d'anni a fare il direttore sportivo e dovunque sia andato ha sempre cercato di avere me come allenatore. È stata una soddisfazione doppia".

Rischia così tanto stasera Torrente?
"Penso che lui rischia nella misura in cui può far pensare che la soluzione del mercato possa aver tolto delle problematiche. Penso che sia arrivato il momento giusto che lui capisca (ma lo sa già, non ha bisogno che sia io a dirlo) che la squadra anche con uno o due innesti non è spacciata: i giocatori devono guardarsi in faccia e trovare la coesione tra di loro, e sapere che quando scendono in campo di fronte a quelle migliaia di tifosi non hanno più chances, devono dare il massimo".

Il Brescia fa giocare molti under tra cui molti classe 1995, ma anche all'epoca in cui allenava lei c'erano tanti giovani come Corini, Masolini, Luzardi, e non solo. È il filone della tradizione.
"Certo, tra l'altro oggi nel Brescia c'è anche Michele Somma, il figlio di Mario Somma che giocava nel Nola quando io ero l'allenatore, e all'epoca abitava nella zona del Vestuti. Comunque, parlando del Brescia che allenai io, avrei accettato qualunque progetto, ma fu simpatica l'idea del dirigente Riccardo Sogliano. Mi disse che avrei fatto bene in Serie B, ma solo entrando nell'ottica che avrei dovuto lavorare su alcuni giovani. C'era tra i giovani anche Paolo Negro, del '72, che giocava negli Allievi e si allenava con la prima squadra, c'era il classe '71 Ziliani che feci debuttare nel finale di campionato... e poi ricordo un giocatore che adesso non c'è più, Bortolotti, che era un ragazzo di un'umanità straordinaria. In certi momenti del campionato giocavamo veramente bene".

Lei ha allenato in B nel periodo in cui la vittoria valeva due punti, e anche nel periodo in cui le giornate erano quarantadue. Oggi è davvero così logorante la Serie B?
"Sì, lo è per un semplice motivo, perché se uno non riesce a farsi un'idea equilibrata che in Serie B vinci due partite e perdi due partite e affronti due mondi diametralmente opposti, allora diventa ogni giornata uno stress. Questo pesa notevolmente sulla mancanza di personalità dei ragazzi, per questo dico che è logorante".

Basta il settore giovanile forte per poter reggere fino a un certo punto?
"Serve secondo me una società capace di rispettare insieme all'allenatore e ai giocatori gli obiettivi fissati, e allora credo che tutti quanti possano lavorare con serenità. Se uno è consapevole, la Salernitana che è partita benissimo con Gabionetta che aveva fatto delle cose straordinarie, pensare che ora si trovi lì sotto un po' mi dispiace. Mi chiedo che cosa sia successo, meglio di Torrente non lo sa nessuno, però obiettivamente è che la Salernitana troverà, 'succhiando' la verve della propria città, la forza per venirne fuori".

Un pronostico su Salernitana-Brescia?
"Al di là di tutto, il cuore vuole la sua parte. Io ho nella mente un postpartita tra Salernitana e Torino. Allenatore del Torino era Sandreani, noi perdevamo alla fine del primo tempo per uno a zero, e vincemmo quella partita per 2-1 perché la nostra tifoseria ci reclamava anche quando eravamo negli spogliatoi, perché ci diceva: 'State facendo di tutto, continuate così che noi siamo con voi'. Il giorno dopo la partita camminavo per Salerno e mi ritrovai centinaia e centinaia di persone che volevano trasmettermi la soddisfazione che avevano provato in quella partita. Per questo il mio cuore è un po' più salernitano".

La Salernitana per salvarsi dovrebbe giocare il girone di ritorno con una marcia da play-off.
"Il fattore campo, che è un termine di cui tutti magari a volte si sciacquano la bocca, esiste. E a Salerno il fattore casalingo conta. Se la Salernitana dovesse riuscire a realizzare se stessa, vincendo quasi tutte le partite in casa e lottando fuori casa per conseguire il massimo risultato, penso che poi possa riuscire anche a tirarsi fuori anche dalla zona play-out".

Mister Boscaglia del Brescia è allenatore da Serie A?
"Per valutare un allenatore bisognerebbe vederlo lavorare. Io ricordo che tenni una lezione all'UEFA Master e c'era Boscaglia tra gli allievi. Mi sembra una persona molto razionale, ha costruito qualcosa di importante a Trapani, sta ottenendo qualcosa di importante a Brescia, perché era partito non benissimo, e ha dimostrato di saper dare alla sua squadra un'immagine e un'identità, che è una cosa importante per un allenatore".

Lei è docente al Settore Tecnico di Coverciano, alla scuola allenatori: secondo lei è più difficile... insegnare agli allenatori, oppure ai giocatori?
"E' difficile l'una e l'altra cosa. Molti giocatori non hanno l'umiltà di pensare che, anche se sono bravi, c'è tanto da imparare per poi rendere il gioco più conosciuto, e di conseguenza il calciatore che sarà intelligente tatticamente e conoscerà il calcio avrà giocoforza più facilità nell'esprimere le proprie qualità. Stessa cosa capita anche agli allenatori: oggi in Italia succede che si siedono al banco e dicono 'Io vengo qui per imparare fare l'allenatore', in realtà si sentono già allenatori, quindi nelle prime lezioni dobbiamo far capire che l'essere allenatori al bar non ha niente a che vedere con l'essere allenatori in panchina. Io faccio parte della scuola allenatori e in giro per l'Italia faccio corsi periferici che abilitano gli allenatori fino alla Serie D, e poi faccio diverse lezioni ai corsi centrali UEFA A e Master, agli allenatori di Serie A e B ogni tanto".