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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Abrazame hasta que vuelva Román. Riquelme, il 10 mutoTUTTO mercato WEB
giovedì 2 aprile 2020, 01:05Serie A
di Ivan Cardia

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Abrazame hasta que vuelva Román. Riquelme, il 10 muto

#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche
"Chiunque, dovendo andare da un punto A a un punto B, sceglierebbe un'autostrada a quattro corsie impiegando due ore. Chiunque tranne Riquelme, che ce ne metterebbe sei utilizzando una tortuosa strada panoramica, ma riempiendovi gli occhi di paesaggi meravigliosi”. Parola di Jorge Valdano. Ci sono giocatori che hanno fatto vedere grandi cose ai loro inizi e poi si sono spenti. Ci sono giocatori sui cui nessuno avrebbe scommesso una lira e poi sono diventati grandi. Ci sono giocatori che grandi sono nati e tali sono rimasti. E poi c’è Juan Roman Riquelme, uno che non puoi inquadrare in nessuna di queste categorie. Uno che non è stato tra i più grandi giocatori nella storia del calcio. Ma non ditelo ai tifosi del Boca Juniors. Per loro è il più grande di tutti.

Abrazame hasta que vuelva Roman. Abbracciami finché non torna Roman. È un murales che potete ammirare alla Boca, il barrio di Buenos Aires dove sono nati sia il Boca Juniors che il River Plate. Una preghiera esaudita in un certo senso di recente, quando la lista del nuovo presidente Jorge Amor Ameal, appoggiata proprio da Riquelme, ha vinto le elezioni ed estromesso il suo acerrimo nemico Daniel Angelici.

È un rapporto unico, quello tra Roman e i tifosi degli xeneizes. Riquelme non è neanche lontanamente il giocatore con più presenze in maglia gialloblù, né tantomeno quello con il maggior numero di gol segnati. È andato via due volte, una per tentare fortuna in Europa col Barcellona e l’altra, molto più dolorosa, per chiudere la propria carriera con l’Argentino Juniors. Ha vinto tanto, questo sì, ma anche sotto questo profilo c’è comunque chi ha fatto meglio. E la sua Argentina, in fin dei conti, ha vinto solo nei tornei giovanili o alle Olimpiadi. Eppure non c’è nessuno come lui. Neanche il Pibe de Oro.

Maradona e l’invidia per Riquelme Maradona è megl e Pelè. Per tutti, appunto, tranne che per i tifosi del Boca Juniors. Proprio le elezioni presidenziali di cui sopra lo certificano: schierati su fronti opposti, i due si sono attaccati, anche in modo piuttosto pesante. Risultato: i tifosi si sono schierati apertamente dalla parte del “loro” Riquelme, senza se e senza ma. In fin dei conti, prima dei veleni recenti proprio Maradona aveva speso, sulle pagine di Olé, parole al miele per il connazionale: “Chi invidio? Avrei voluto essere Riquelme”. Correva l’anno 2016. Se lo dice Diego.

Lo chiamavano il Mudo. Alcuni soprannomi sono fantasiosi, altri no. Riquelme da piccolo parlava poco, più semplice di così non si potrebbe. I suoi inizi? Strano a dirsi, come nuovo Maradona. Destino crudele, per qualsiasi ragazzo argentino con un po’ di tecnica e il 10 sulla schiena. Possiamo dirlo, con la speranza che i tifosi del Boca alla lettura non si offendano: non è stato un nuovo Maradona, non c’è riuscito nessuno e forse nemmeno Messi che in compenso ha fissato un nuovo standard. Eppure è partito da lì.

Argentinos Juniors. In Argentina chiamano il club biancorosso El Semillero. Perché semina talenti. Ancora, Maradona e Riquelme. Al primo ora è dedicato lo stadio. Il secondo muove i propri passi, è un mezzo indio ma ci sa fare col pallone tra i piedi. Saluta presto: a 18 anni lo vuole il River, ma in famiglia si tifa Boca. “Mia madre non sarebbe mai venuta a vedermi”, racconterà anni dopo in una delle sue poche interviste. Guadagnando alla signora gli strali di Mauricio Carranza, scrittore argentino, tifoso dei Millionarios, autore di una lettera indirizzata a Riquelme il giorno dopo il suo ritiro dal calcio giocato.

Passaggio di consegne. La mamma va sempre accontentata. E allora Roman sceglie il Boca. È il 1996, la stella della squadra è Lui. Ancora Maradona: quello bolso degli ultimi scampoli di carriera, ma è pur sempre El Diez. Gioca lui, Riquelme un po’ meno. Fino al 25 ottobre 1997: si gioca il Superclasico, River contro Boca. All’intervallo Maradona esce dal campo: lo sostituisce proprio Riquelme. Fuori il 10 dentro il 20. Il Boca vince 1-2 in casa degli eterni rivali, il gol decisivo lo realizza Martin Palermo su assist del Mudo. È il primo di una serie infinita, per entrambi. È una sostituzione definitiva, è l’ultima partita di Maradona, che cinque giorni dopo dice addio al calcio. Il suo 10 passa sulle spalle di Juan Roman, il più fortunato degli epigoni, tra un Ortega e un Aimar.


Boca atto I. Con l’addio di Maradona e l’arrivo di Carlos Bianchi in panchina, Riquelme inizia a giocare da titolare, segna 10 gol in 37 partite, gli xeneizes vincono sia Apertura che Clausura. L’anno dopo inizia una lunga storia d’amore: quella con la Copa Libertadores. Il Boca di Riquelme ne vince due di fila. È una squadra di grandi giocatori: si avvicendano Samuel, Palermo, Abbondanzieri, Ibarra, Ledesma, Burdisso. Ruotano tuti attorno a lui, quel dieci così tradizionale in un mondo che sta piano piano facendo a meno del ruolo. Illumina di luce riflessa i compagni, si guadagna la chiamata dell’Europa.

Al Barcellona va male. I catalani non sono quelli di oggi. Prima che arrivassero Ronaldinho e Rijkaard, i blaugrana vivono di gloria passata (non tanto lontana) e diverse ombre. Riquelme dovrebbe essere il colpo del rilancio, ma fallisce il grande salto. In panchina si alternano Van Gaal e Antic, i catalani chiudono al sesto posto in Liga e sul banco dell’imputato finisce l’argentino. Il Vecchio Continente non fa per lui: è lento, lezioso, bello da vedere non riesce a prendersi la squadra sulle spalle. Conferma la buona attitudine con le coppe, nello specifico con la Champions League, che è la Libertadores d’Europa: il Barça vince 13 partite su 14. Perde con la Juventus, però, e va fuori.

Buon per il Villarreal. Sugli arabeschi di Riquelme punta la squadra del sottomarino giallo. Al Camp Nou non si pentiranno mai della sua cessione, all'Estadio de la Cerámica vivono giornate indimenticabili. Il Villarreal terzo in campionato, e chi l'aveva mai visto. Riquelme trascina: 15 gol e 11 assist. Gli spagnoli lo riscattano e continuano a diversi. La squadra spopola anche in Europa: semifinale di Coppa Uefa un anno, semifinale di Champions due stagioni dopo. A Riquelme bastano tre stagioni e mezza per diventare il terzo miglior realizzatore di sempre con la camiseta amarilli. Schianta l’Inter, ma la Champions lo tradisce. Il Villarreal esce contro l’Arsenal, Riquelme sbaglia al 90° un rigore che varrebbe i supplementari. Sbaglia, lo tira malissimo. Si rompe l’incantesimo. Il rapporto dura sei mesi, gli screzi con Manuel Pellegrini portano il Mudo lontano da casa. Ci pensa il Manchester United, lo chiama il Boca Juniors. E Roman vuelve.

La prima è rivedibile. La seconda prima volta di Riquelme alla Bombonera è un pareggio: il gol di Palacio non basta, 1-1 col Rosario Central. Poco male, lo stadio del Boca ha di nuovo il suo idolo. E lo ritrova dove l’aveva lasciato: con la Libertadores in mano. Riquelme la vince segnano tre gol nelle due gare di finale contro il Gremio. Le ultime in gialloblù? Sembra di sì. Boca e Villarreal non trovano l’accordo per il riscatto, lui rientra in Spagna, non gioca, sembra destinato ad ammuffire in panchina. Poi la situazione si sblocca e c’è l'ennesimo ritorno a casa.

Fino alla fine? Quasi. Riquelme non è più il ragazzino degli esordi, è la stella esperta attorno a cui si costruisce una squadra che non riesce però a bissare il trionfo in Intercontinentale del 2000. Lui e l’astro nascente Tevez sbattono sul Milan. Arrivano l’Apertura 2008 e 2011, due titoli come calciatore argentino dell’anno. È un rapporto di alti e bassi: nel 2012 si chiude, anzi no. Un prendersi e lasciarsi che tiene in ansia i tifosi, ma Riquelme e il Boca restano insieme. Fino all’ultima missione, all’ennesimo ritorno. Nel 2014 Roman decide che il suo ultimo atto non sarà alla Bombonera: vuole riportare l’Argentinos Juniors in prima divisione. Gli basta una stagione, poi si ritira.

E l’Argentina? Ne abbiamo parlato poco, è un capitolo fatto di gioie e delusioni per il Mudo. Stella assoluta dei tornei Under -20, nel 1997 trascina l’albicelesteste alla vittoria di Sudamericano e Mondiale di categoria. Chiuderà il suo palmarés con l’oro olimpico di Pechino 2008. Nel mezzo, Mondiali giocati sottotono e il secondo posto alla Copa América di Venezuela 2007, una vera e propria maledizione per l’Argentina. Dal 2009 resta fuori dal giro. Perché in panchina c’è Maradona, che forse Riquelme non l’ha mai davvero digerito. Lo giudica lento, lo tiene fuori. Sabella lo richiamerebbe pure, ma non se ne fa nulla. Curioso che chiuda senza trofei o quasi, lui che è nato il 24 giugno 1978, la notte prima del primo Mondiale vinto da Mario Kempes e i suoi. Nove anni dopo, nella stessa notte, nascerà Lionel Messi. Un altro 10, diverso, veloce, concreto. Riquelme non è stato nulla di tutto ciò: voleva la palla e la teneva. La dava all’ultimo, al compagno, perché segnasse. Per portarlo al gol, però, ci mostrava tutta la meraviglia che il calcio può offrire