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L'ipocrisia sulle bambole gonfiabili coreane e i tifosi che esultano solo nelle casse della tv. "Non è calcio" ma deve andare avanti. Sui contratti c'è il rischio di una crisi disoccupazioneTUTTO mercato WEB
domenica 24 maggio 2020, 09:10Editoriale
di Marco Conterio

L'ipocrisia sulle bambole gonfiabili coreane e i tifosi che esultano solo nelle casse della tv. "Non è calcio" ma deve andare avanti. Sui contratti c'è il rischio di una crisi disoccupazione

Nato a Firenze il 5 maggio del 1985, è caporedattore e inviato di Tuttomercatoweb.com. In passato firma per Il Messaggero e per La Nazione, conduttore su RMC Sport e Radio Sportiva.
In Corea del Sud, purtroppo, la Federazione ha deciso di multare il Seoul FC per aver provato a riempire gli spalti con delle bambole gonfiabili pettinate e abbigliate. E' la summa dell'ipocrisia del calcio, ottantamila euro annessi per i goliardi con gli occhi a mandorla. In Germania hanno messo i cartonati, e non comminato nessuna multa, sugli spalti del Borussia Monchengladbach: le facce e le maglie dei tifosi, c'è anche la gloriosa squadra degli anni '80, tutta rigorosamente in posa fissa e a grandezza naturale. Ed è proprio per queste partite del weekend che i broadcaster hanno dato pure l'opportunità di godersi le partite togliendo la telecronaca e aggiungendo un effetto stadio fittizio.

AL MARE CON LA MASCHERINA La copertina per raccontare che quello che è ricominciato, che sta per riprendere, non è il pallone dei tifosi. Non lo sarà più, finché non torneranno a popolare gli spalti. In questo surrogato di vita che stiamo attraversando, distanti e sospettosi, il calcio fa bene a ragionare in modo personale. Potrebbe fare altrimenti? "Non è calcio", si dirà. Una media al pub, lontano dagli amici, salutandosi col gomito, sobbalzando di spavento al primo starnuto non è "movida" e al mare ognuno col suo castello di sabbia, "nuotare ma non fare il bagno", non è certo il relax di sempre. E così via, il cameriere che sorride sotto la maschera, la palestra dove non c'è il rischio di scontrarsi col maldestro vicino di zumba. Così è, se ci pare. E ripartire, così, è inevitabile, anche per il pallone.

CAOS CALENDARI IN EUROPA Riprenderà pure la Liga spagnola l'8 giugno, la Ligue 1 ha deciso già di chiudere ma ripartirà con la nuova stagione il 22 agosto e i calendari che verranno saranno un vero terremoto. Nel mezzo del guado c'è l'Italia, che a suon di cautele è diventata inerme. Ripartiti gli allenamenti di gruppo, resta la data del 28 maggio a esser cruciale perché il calcio non vuol prendersi la briga di decidere e avere l'ultima parola. La concederà a Spadafora che la girerà a Conte per un semplice motivo: se lo stop sarà per causa di forza maggiore, i broadcaster saranno comunque costretti a pagare l'ultima rata. E nessun club vuole alzar la mano e indire una serrata, per esser costretto a fare a meno di un'iniezione di contanti più che mai fondamentale in questo periodo.


L'INDOTTO DEL CALCIO Dei posti di lavoro, delle famiglie, di tutto un indotto che rischia il tracollo abbiamo già discorso. Perché calcio è pure ristorazione, turismo, alberghi, merchandising, trasporti, editoria. E' tutto il contorno che vive realtà normali e che inizia ad andare in difficoltà, vera. Fermarsi vuol dire non permettere a tutta una macchina di ripartire e siccome il rischio zero non sarà garantito anche nella prossima stagione e finché non ci sarà un vaccino, è giusto che il mondo del pallone cerchi un modo, dunque un protocollo, per farlo nel modo più sicuro possibile. Dal nein iniziale, il Governo si avvicina sempre più alla strada tedesca anche se forse non è ancora abbastanza ma Federazione e Lega s'accontenteranno. Però ci sono altre questioni stringenti, come la responsabilità penale in caso di nuove positività, e qui insorgono i medici, ma è una tematica che non riguarda soltanto il mondo del pallone.

I DISOCCUPATI DEL PALLONE Poi i contratti, disciplina che entro due settimane la FIFA cercherà di instradare, non potendo però obbligare nessuna Federazione, Lega o club, a prolungare gli accordi in modo coatto. Servirà buon senso, da parte di tutte le parti coinvolte, perché c'è una lunga serie di calciatori in giro per il mondo, e dunque anche in Italia, che non rischia di restare solo senza squadra. Ma senza lavoro. Forse così il termine toglie la patina dorata a un mondo visto sin troppo distante dal tifoso e che si è saputo finora mal raccontare. In Serie C lo stipendio medio è uno stipendio nella media e il calciatore ha una vita sportiva breve. In B dipende da piazza ed età, anche se chiaramente si sale di livello. Per la Serie A il discorso è diverso ma se alcune società sono indietro nei pagamenti degli stipendi, è giusto da parte delle Associazioni alzar la voce come sarebbe opportuno, dall'altro lato, da parte dei giocatori di alcuni club scendere a patti con la realtà e capire che i dipendenti sono in cassa integrazione e che delle rinunce adesso sono necessarie. E opportune. Però è un mondo strano, anche quello del calcio. Pure in Corea, dove il Seoul FC ha almeno un tifoso in più.