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tmw / inter / Editoriale
Simeone, Conte, Pioli: la verità. Perché Kondogbia non è visto come Rugani
sabato 22 aprile 2017, 00:00Editoriale
di Alessandro Cavasinni
per Fcinternews.it

Simeone, Conte, Pioli: la verità. Perché Kondogbia non è visto come Rugani

Eravamo stati facili profeti nel prevedere una critica aspra anche nei confronti di Stefano Pioli alle prime, serie difficoltà. Ne avevamo scritto lo scorso novembre, pochi giorni dopo l'insediamento del tecnico parmigiano sulla panchina nerazzurra. Avevamo avvertito i lettori: se le cose dovessero andare male, tutti metteranno di nuovo l'allenatore sul banco degli imputati. La storia – soprattutto quella recente dell'Inter – ce lo insegna: il giochino è sempre stato lo stesso.

Un calo, dopo una rimonta tanto veemente, era ampiamente prevedibile. La Champions non è sfuggita di certo per i soli 2 punti incamerati nelle ultime 4 partite: la verità è che la stagione dell'Inter è stata segnata fin dal principio, quando non si riuscì a trattenere Mancini e quando si scelse De Boer. L'olandese poteva certamente adattarsi meglio nell'immediato, ma era evidente che il suo sarebbe stato un progetto a lunga scadenza, che prevedeva minimo un paio d'anni di scuola (olandese). Se prendi un metalmeccanico e lo metti a fare il pane la colpa è tua, non sua. E adesso la colpa sarebbe di Pioli? Ovviamente non è perfetto nemmeno il buon Stefano, ma chi lo è? Chi è in grado di fare miracoli? Ha commesso certamente più di un errore, ma sarebbe sbagliato e ingiusto ritenerlo il maggior responsabile per l'ennesimo anno di stenti.

Simeone e Conte – i nomi che più di tutti scaldano il cuore dei tifosi – sono certamente profili di livello mondiale, in grado forse di sopperire anche a lacune di organico e dirigenziali. Ma sarebbe il caso di smetterla di puntare tutto sul one-man-show. Piuttosto, sarebbe opportuno prendere le misure corrette e approntare un management solido, che dia certezze allo staff tecnico e alla rosa. Troppo spesso in questi anni l'allenatore di turno è stato delegittimato alle prime difficoltà. Ci si dimentica che i giocatori sono anch'essi utenti del calcio: pure loro leggono i giornali, ascoltano le tv e recepiscono gli umori della piazza. E, giocoforza, ne vengono condizionati. E' forse un caso che il calo sia arrivato in concomitanza dell'allontanarsi dell'obiettivo Champions e del ritorno prepotente delle voci sull'addio a Pioli? Il primo tempo di Crotone sarebbe inspiegabile se non con questa chiave di lettura.

Ed è in questi casi che si tasta il polso dell'incisività della dirigenza. E' qui che una società forte fa sentire la sua determinazione e il suo peso. Altri club vengono protetti, anche da una certa stampa che poi influenza positivamente l'opinione pubblica. Basti pensare alla differenza di giudizio che si aveva tra l'Inter di Mancini dello scorso anno quando per mesi è stata in vetta alla Serie A e la Juve di quest'anno. L'Inter degli 1-0 veniva descritta come squadra "fortunata, che non può durare, sparagnina, con un gioco non da big", mentre i bianconeri sono sempre stati elogiati per essere "cinici, solidi, brutti ma vincenti". Sembrano dettagli, ma alla lunga sono giudizi che pesano, indirizzano il pensiero del tifoso e scavano convinzioni negative o positive nella testa dei giocatori. Ed è così che Kondogbia viene fischiato al primo passaggio errato, mentre Rugani viene perdonato anche in caso di scelleratezza.

E allora va bene Simeone, va bene Conte, ma può andar bene anche Pioli, poteva andar bene De Boer, andava certamente benissimo Mancini. Quello che conta, il tassello centrale del mosaico, il cardine vero di tutta l'impalcatura deve essere assolutamente una società forte, con indirizzo chiaro e ruoli coperti a dovere. Il resto potrebbe diventare solo una logica conseguenza. E' questa la verità. O, almeno, una di esse.