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Il doppio ex. Manservisi: "Livorno vive di emozioni forti"
venerdì 16 settembre 2016, 20:30Calcio
di Gianluca Andreuccetti
per Amaranta.it

Il doppio ex. Manservisi: "Livorno vive di emozioni forti"

Castello d’Argile (Bo) – Doppio ex della settimana che precede l’incontro di calcio tra Livorno e Lucchese, sfida che torna a disputarsi allo Stadio Picchi 15 anni dopo l’ultimo confronto, è il settantaduenne Pier Paolo Manservisi che, prima di diventare campione d’Italia con la Lazio al termine della stagione 1973/1974, vestì anche le maglie di Livorno e Lucchese. Insieme a lui, abbiamo provato a dare qualche punto di riferimento in più ad un match che si preannuncia di grande interesse: 

Caro Pier Paolo, in carriera hai vestito le maglie di Fiorentina, Lucchese, Livorno, Pisa, Napoli, Lazio e Mantova e sai bene cosa voglia dire la parola “derby”: quali emozioni ti suscita questo termine?

Il derby è una partita diversa da tutte le altre, non foss’altro perché i giornalisti ne parlano per tutta la settimana: figuriamoci in una città come Livorno…

Nella sola Toscana, hai disputato derby di tutti i tipi: i derby di serie C ai tempi della Lucchese, il derby tra Livorno e Pisa (disputato e vinto con la maglia di entrambe le squadre) e il derby tra Pisa e Fiorentina nell’anno dello scudetto dei viola: quali ricordi ti evocano queste partite?

Quando arrivai a Livorno, avevo disputato già tanti derby con la maglia della Lucchese, ma mai un derby bello come quello tra Pisa e Livorno anche perché, da quel punto di vista lì, i livornesi son “tremendi” (ride).

E poi i derby tra Lazio e Roma: che differenza c’è, a tuo parere, tra un derby tra squadre della stessa città e un derby tra squadre di città diverse?

Il derby tra Roma e Lazio è stato per me il derby dei derby: oggi come allora, per i romani, vincere il derby è come vincere lo scudetto.

Nell’estate del 1964, la Fiorentina ti mandò in prestito alla Lucchese in serie C e tu realizzasti 8 gol in 34 presenze: come andò quella stagione?

Sul finire della stagione precedente, avevo debuttato in serie A con la maglia della Fiorentina e quello a Lucca fu per me il mio primo vero campionato da professionista: il bottino di reti, realizzato con Zavatti allenatore, è ancor più ragguardevole se pensi che io non sono mai stato un goleador.

La successiva annata a Livorno, complice il servizio militare, fu meno positiva per te, ma più che onorevole per gli amaranto che, sotto la guida di Carlo Parola, centrarono il settimo posto in serie B: a distanza di tanti anni, quali sensazioni ti ha lasciato quella stagione? 

Quella a Livorno fu per me una stagione interlocutoria perché, essendo impegnato con il servizio militare, tornavo nella città labronica al venerdì sera e ripartivo per Roma alla domenica sera: ero spesso lontano dalla squadra e dalla città e, durante la settimana, ero costretto ad allenarmi presso la Compagnia Atleti di Roma, dove prestavo servizio militare.

Epico in quell’annata fu il derby vinto in casa del Pisa con un gol di Balleri e con te in campo: eppure, pochi mesi dopo, avresti indossato proprio la maglia neroazzurra. Fu complicato per te ambientarti sotto la Torre?

No, assolutamente no: mi trasferii a Pisa nell’autunno del 1966 dopo l’alluvione che interessò il capoluogo toscano perché, in conseguenza di quel tragico evento, la Federazione Italiana Giuoco Calcio decise di prorogare la sessione del mercato di riparazione delle due società. Furono per me tre anni bellissimi, con Renato Lucchi alla guida della squadra neroazzurra: arrivarono, in sequenza, una salvezza in serie B, una promozione in serie A ed un campionato di serie A, fino ad allora mai disputato dalla società toscana.

Veniamo alla partita di domenica. Livorno e Lucchese tornano ad affrontarsi dopo tanto tempo in Lega Pro: ti è mai più capitato di seguire le sorti di queste due società dopo il tuo addio al calcio?

Ho seguito il Livorno un po’ più della Lucchese perché gli amaranto, a differenza dei rossoneri, hanno disputato in tempi recenti molti campionati di serie B; premesso che non credo di aver mai trovato un tifoso attaccato alla propria squadra come lo è il tifoso livornese, tra livornesi e lucchesi esiste una diversità proprio a livello di indole: a Livorno, sono più “tremendi”, se mi passi il termine. Non di rado, infatti, capitava che la squadra fosse costretta a rimanere chiusa per ore dentro gli spogliatoi, allo scopo di evitare le ire della tifoseria amaranto. A Lucca, invece, i tifosi sono più tranquilli, nel bene e nel male.   

Amaranto e rossoneri arrivano al confronto diretto in condizioni diametralmente opposte: il Livorno è reduce da due vittorie e la Lucchese, ultima in classifica, non ha ancora vinto la sua prima partita. È vero che in un match come il derby sono annullati tutti i pronostici?

Direi di sì: quando c’è un derby, tutti i pronostici sono destinati a saltare. Può vincere anche l’ultima in classifica…

Ai tuoi tempi, questa partita si sarebbe giocata davanti al pubblico delle grandi occasioni: oggi, invece, è difficile pronosticare una presenza superiore alle seimila unità. È soltanto colpa delle televisioni se i tifosi non vanno più allo stadio?

Bisogna fare due discorsi distinti: Livorno – Lucchese, a mio parere, è una sfida tra squadre deluse perché il Livorno è reduce da un’amara retrocessione dalla serie B e la Lucchese ha avuto un avvio di campionato al di sotto delle aspettative; più in generale, però, debbo dirti che la presenza delle televisioni è soltanto uno degli elementi che impedisce di avere gli stadi pieni alla domenica. Avrai sicuramente notato che le televisioni sono presenti anche in molti altri Paesi, ma in nessun’altra parte d’Europa vi sono stadi vuoti come quelli che abbiamo oggi in Italia: è, quindi, anche una questione di obsolescenza degli impianti stessi, i quali sono spesso vecchi e privi di ogni comfort, senza dimenticare il fenomeno ultras, che non è stato ancora interamente debellato.

Nel libro – intervista che tuo figlio Simone ti ha dedicato (“Far West Lazio – Il volo di Uccellino”), sei descritto come un centrocampista offensivo molto tecnico e, al tempo stesso, capace di interpretare più ruoli: nel calcio di oggi, Uccellino avrebbe avuto più o meno fortuna di quella che ebbe nel calcio di quarant’anni fa?

È vero perché, nell’anno in cui la Lazio sfiorò il suo primo scudetto, ero costretto a giocare terzino in marcatura sull’ala avversaria perché Martini saliva moltissimo e mi costringeva a rimanere a guardia del reparto difensivo. Per quanto riguarda il resto, posso solo dirti che, rispetto al calcio di allora, oggi sono cambiate molte cose e non è mai facile fare paragoni tra giocatori di ieri e giocatori di oggi: oggi, ad esempio, non si è più soliti saltare l’uomo e creare la superiorità numerica come si faceva una volta.