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Coronavirus, il padre del tifoso barese deceduto: "Ci hanno cacciato dal reparto, è stata l'ultima volta che l'ho potuto vedere"
lunedì 16 marzo 2020, 20:00News
di Gabriele Ragnini
per Tuttobari.com

Coronavirus, il padre del tifoso barese deceduto: "Ci hanno cacciato dal reparto, è stata l'ultima volta che l'ho potuto vedere"

Dopo la morte a causa del Coronavirus dell'appassionato tifoso del Bari di 38 anni Maurizio Pinto, vittima del virus fino ad ora più giovane in Italia, Repubblica ha intervistato suo padre, Antonio, radiologo barese, che ha espresso il suo comprensibile dolore: "Non sappiamo come è stato contagiato. E nemmeno ci interessa. Però vogliamo che tutti devono saperlo: questo è un virus infame, che toglie tutto. Ha tolto la vita a nostro figlio. E a noi, a me e a mia moglie, il diritto di assisterlo, sino all'ultimo minuto. Per questo vi chiedo, vi supplico, questa è una malattia tremendamente seria: restate a casa, per favore. Fatelo voi. Fatelo per chi vi vuole bene. Dicono: il Covid uccide le persone fragili. E, in parte, è vero. Ma noi abbiamo il dovere di difenderle le persone fragili. Anche se Maurizio sapeva difendersi benissimo da solo".

Riguardo la sedia a rotelle su cui Maurizio era costretto a sedersi durante le giornate: "Non c'è nato. C'era finito. Nel 2002, quando non aveva nemmeno 20 anni. Era stato investito per strada, era estate. E non ha più potuto camminare, non c'era niente da fare. E' stato difficile, moltissimo. Forse più per noi che per lui. Perché Maurizio non si è mai arreso: ha esercitato ogni giorno il suo diritto a vivere. Anzi, forse, dopo l'incidente ha vissuto anche di più: era felice, determinato e autonomo. Amava stare tra la gente e non ha mai smesso. Nemmeno quando la sua condizione fisica è peggiorata. Come? Maurizio da un po' di tempo era in dialisi. La faceva un giorno sì e un giorno no, tre volte alla settimana. Anche in quello era completamente indipendente: andava a fare la terapia con la sua macchina, prendeva da solo la carrozzina. Insomma, affrontava tutto con il massimo della serenità".

Ecco quando hanno iniziato a percepire i primi sintomi del virus: "Agli inizi di marzo ha avuto una febbre strana. Non scendeva e io non me lo spiegavo. Dopo qualche giorno ho capito che c'era qualcosa che non andava e l'abbiamo portato in ospedale. Al Policlinico di Bari dove è stato ricoverato nel reparto di malattie infettive. Le sue condizioni sono parse subito gravi. Respirava a fatica con l'aiuto del Cpap, il casco respiratorio. Poi venerdì è arrivato l'esito del tampone per il Coronavirus: positivo. Ci hanno cacciato dal reparto, come era giusto fosse. E' stata l'ultima volta che ho potuto vedere mio figlio".

Sulla modalità con cui Maurizio potrebbe essere stato contagiato: "Qualcuno ha detto che avrei potuto trasmetterglielo io, magari dopo qualche convegno. Una bugia inutile. E' uno scrupolo che non ho: non mi muovo da Turi da due anni. Maurizio, invece, girava moltissimo. Lavorava come amministrativo in una Residenza sanitaria per anziani. Incontrava ogni giorno decine di persone per strada. Era un grandissimo tifoso del Bari. Tra le condoglianze che ci sono arrivate c'è stata quella della società, del presidente. Maurizio sarebbe stato molto contento".

Infine, il padre ci ha tenuto a rimarcare la pericolosità del virus: "Dicono che non uccide? Maurizio è stato ucciso dal Coronavirus. Poi, certo, la sua era una situazione delicata. Ma prima di quella febbre, era per ristoranti. Il suo unico cruccio era quello di non poter guidare una Ferrari. Era il suo grande sogno. Io non vorrei che questa cosa di dire: "attacca i fragili", sia una maniera per giustificarsi. Per non prendersi le proprie responsabilità. Abbiamo un dovere: restare a casa per combattere il contagio. Non uscire per difendere noi stessi. Per difendere le persone più sfortunate, come Maurizio. O più fragili, perché anziane. Perché malate. A noi questo virus ha tolto un figlio. E il diritto di un genitore di stringergli la mano. Fino alla fine. Per favore, vi prego, fate in modo che non accada più".