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La finale di Jurgen Klopp
"Questa vincila". Gli avrebbe detto così, prima del fischio d'inizio, nelle ore della vigilia, Norbert Klopp. Padre severo e diretto, lo ha raccontato con nostalgia, l'uomo Jurgen, nei giorni prima della partita. E l'uomo Jurgen era un perdente di successo, quando era l'ora di fare l'ultimo giro. Sei volte di fila, peggio di un valzer. Tango, samba, tutto insieme. Un tracollo personale, altro che Icaro, altro che Roma senza il Papa. Il passo dal sogno era quel che mancava a Jurgen l'allenatore. L'altro è quello che si è prodigato a stringere la mano a Mauricio Pochettino un secondo prima che le orecchie dell'argentino fossero trafitte dal triplice fischio. Sono gesti e momenti, suoni. La vita è fatta dalle piccole cose.
Dagli insegnamenti e dalla lezioni. Jurgen, l'uomo, ha ammesso con profonda nostalgia di avere per suo padre una dedica speciale. Era bastone, più che carota, ma quello della dolcezza di chi impartisce la sua lezione e indica la sua vita. Col suo amore, coi suoi modi. Jurgen l'allenatore ha i suoi. In panchina è una furia col cappello, quando esulta ha un pugno che è un marchio di fabbrica, mentre i suoi in campo pensano a dare destri e sinistri, montanti e ganci. Nella partita di ieri c'è stato tanto di Klopp. Il coraggio di puntare su Firmino, perché certe notti non tornano ed è meglio non aver rimpianti. La forza di sopperire all'assenza di Keita, che del Liverpool è collante, motorino, benzina.
Ha fatto i cambi giusti, ha dato il mantello e la maschera a un ragazzo, Divock Origi, che era finito in prestito, è una riserva, mica un eroe. E' quello che t'aspetti sì ma solo nelle storie della domenica sera, quelle che la dolce metà ti costringe a vedere sul divano. Origi invece è il lieto fine, redenzione e inizio di una storia. Jurgen Klopp, uomo e allenatore, è stato portato in trionfo dai suoi. Preso da tutta la squadra e lanciato in area, sorridente, occhiali e cappello, sotto la Kop da trasferta. Poi è sceso, direttore d'orchestra, e ha indirizzato e guidato i cori. Ha corso, poi, si è tolto il cappello davanti ai canti di tutto il Wanda Metropolitano. Jurgen l'uomo, Jurgen l'allenatore. L'ha vinta, stavolta. Anche Jurgen il figlio.
Dagli insegnamenti e dalla lezioni. Jurgen, l'uomo, ha ammesso con profonda nostalgia di avere per suo padre una dedica speciale. Era bastone, più che carota, ma quello della dolcezza di chi impartisce la sua lezione e indica la sua vita. Col suo amore, coi suoi modi. Jurgen l'allenatore ha i suoi. In panchina è una furia col cappello, quando esulta ha un pugno che è un marchio di fabbrica, mentre i suoi in campo pensano a dare destri e sinistri, montanti e ganci. Nella partita di ieri c'è stato tanto di Klopp. Il coraggio di puntare su Firmino, perché certe notti non tornano ed è meglio non aver rimpianti. La forza di sopperire all'assenza di Keita, che del Liverpool è collante, motorino, benzina.
Ha fatto i cambi giusti, ha dato il mantello e la maschera a un ragazzo, Divock Origi, che era finito in prestito, è una riserva, mica un eroe. E' quello che t'aspetti sì ma solo nelle storie della domenica sera, quelle che la dolce metà ti costringe a vedere sul divano. Origi invece è il lieto fine, redenzione e inizio di una storia. Jurgen Klopp, uomo e allenatore, è stato portato in trionfo dai suoi. Preso da tutta la squadra e lanciato in area, sorridente, occhiali e cappello, sotto la Kop da trasferta. Poi è sceso, direttore d'orchestra, e ha indirizzato e guidato i cori. Ha corso, poi, si è tolto il cappello davanti ai canti di tutto il Wanda Metropolitano. Jurgen l'uomo, Jurgen l'allenatore. L'ha vinta, stavolta. Anche Jurgen il figlio.
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