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C'è sempre una stagione dietro l'angolo, anche per Agnelli. L'Atalanta tifata e odiata da tutti
A cinque minuti dalla fine la tensione era pari a un Italia-Francia del 2000. C'era chi tifava Atalanta, chi la gufava, chi preferiva incontrare i nerazzurri ai francesi in semifinale, chi era pronto a sputare su Neymar e sui soldi del Paris Saint Germain. Come nelle grandi sfide tra titani, c'è sempre un motivo per amare e l'altro per odiare. È finita con Gasperini che pensava di avercela fatta, mettendo dentro Da Riva come Ibanez a Kharkiv, da esordiente assoluto, per gli ultimi cinque minuti. È finita nel momento dell'infortunio di Freuler, come la palla bucata da Cannavaro per Wiltord, come Italia-Francia nel 2000. E come in quell'occasione, a sorridere sono stati i transalpini.
Si può dire sia una questione di punti di vista, perché per loro i transalpini siamo noi. L'Atalanta però era la Cenerentola che si è intrufolata e che, al novantesimo, si è scoperta scalza e senza zucca, a mezzanotte, senza nessun principe da tirare fuori dalla panchina. Perché Ilicic è rimasto in Slovenia, forse sta meglio, e il dramma umano viene anteposto sicuramente alla partita di pallone più importante della storia nerazzurra, finora. È terminata come a Copenaghen, con una beffa, come spesso accade nell'agosto atalantino. Anche se nessuno si aspettava di giocarsela ad agosto, questa final eight.
Odi et amo, diceva Catullo qualche millennio fa. L'Atalanta è passata da squadra anonima a grande protagonista del calcio europeo, con la possibilità di arrivare in semifinale fino al recupero. Gasperini non è il più amato dagli avversari, pure se con le sue geniali intuizioni ha portato l'Atalanta nell'Olimpo del calcio per due anni di fila, in Champions League. I nerazzurri sono parvenù: vanno bene finché sono comparse, non quando rubano la scena. Ed è per questo che è tifata da tantissimi, odiata da altrettanti. Bene o male, è il bello del calcio.
Perché a settembre tutto si resetta, come scrive Nick Hornby, alla faccia delle parole di Agnelli che vorrebbe il calcio solo dei grandi. Già con il Fair Play Finanziario ci va vicino. Invece c'è sempre una stagione dietro l'angolo, anche per lo sport più crudele (e stupendo) del mondo.
Si può dire sia una questione di punti di vista, perché per loro i transalpini siamo noi. L'Atalanta però era la Cenerentola che si è intrufolata e che, al novantesimo, si è scoperta scalza e senza zucca, a mezzanotte, senza nessun principe da tirare fuori dalla panchina. Perché Ilicic è rimasto in Slovenia, forse sta meglio, e il dramma umano viene anteposto sicuramente alla partita di pallone più importante della storia nerazzurra, finora. È terminata come a Copenaghen, con una beffa, come spesso accade nell'agosto atalantino. Anche se nessuno si aspettava di giocarsela ad agosto, questa final eight.
Odi et amo, diceva Catullo qualche millennio fa. L'Atalanta è passata da squadra anonima a grande protagonista del calcio europeo, con la possibilità di arrivare in semifinale fino al recupero. Gasperini non è il più amato dagli avversari, pure se con le sue geniali intuizioni ha portato l'Atalanta nell'Olimpo del calcio per due anni di fila, in Champions League. I nerazzurri sono parvenù: vanno bene finché sono comparse, non quando rubano la scena. Ed è per questo che è tifata da tantissimi, odiata da altrettanti. Bene o male, è il bello del calcio.
Perché a settembre tutto si resetta, come scrive Nick Hornby, alla faccia delle parole di Agnelli che vorrebbe il calcio solo dei grandi. Già con il Fair Play Finanziario ci va vicino. Invece c'è sempre una stagione dietro l'angolo, anche per lo sport più crudele (e stupendo) del mondo.
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