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Come non sentire il razzismo? Basta girarsi dall'altra parte
È il 25 aprile e tutto, decisamente, non va bene. Perché è stata una giornata difficile quella di Milan-Lazio, tra problemi annunciati, commemorazioni vicino a Piazzale Loreto, orecchie da mercante, annunci all'altoparlante e la reticenza di chi è pagato (anche) per rispondere alle domande. Andando con ordine, alle 13.40 un gruppo di tifosi, viene da sorridere a chiamarli così, espongono uno striscione in Corso Buenos Aires, altezza civico 90, trenta metri da Piazzale Loreto. C'è chi chiude il proprio negozio, come l'ottica lì davanti, e chi non si accorge di niente, la farmacia. "Sembrava una manifestazione in una via di Milano", diranno poi, era una commemorazione fascista.
Poi, alle 18.15, ci sono quindici tifosi, anche qui verrebbe da ridere a pensarci, che cantano contro Bakayoko. Le loro parole avranno più eco di quelle di un sottosegretario qualsiasi di un qualunque governo. Perché la banana, i neri, Acerbi, la maglietta, Kessie. "Ma sono solo una quindicina". Sì, inizialmente. Perché poi arrivano gli altri, alla fine sono 4000, ci sono anche bambini. Che educazione avranno? Mistero.
Inizia la partita. Il momento giusto per cancellare tutto, per dare un colpo di spugna. E invece, appena tocca palla Bakayoko, ululati. Idem per Kessie. Poi il coro di prima, sul ritmo di Gigi D'Agostino di una ventina di anni fa. Tutto molto ascoltabile, tutto labilmente copribile: come per Berlusconi, non poteva non sapere. O meglio, Mazzoleni non poteva non sentire. E infatti per ben tre volte gli altoparlanti richiamano l'attenzione della curva laziale, per dire che forse sarebbe il caso di smettere. Ma nessuno decide di fermare la partita. Come per Koulibaly in Inter-Napoli.
Infine la conferenza stampa. A Gattuso viene fatta una domanda su quello che è successo durante la giornata, la scavalca in maniera poco elegante. Poi un collega straniero, Pauluzzi de L'Equipe, rincara la dose. E Gattuso è costretto a rispondere. Insomma, come non sentire il razzismo? Basta girarsi dall'altra parte, sempre e comunque. Una risata - o un gol - ci seppellirà.
Poi, alle 18.15, ci sono quindici tifosi, anche qui verrebbe da ridere a pensarci, che cantano contro Bakayoko. Le loro parole avranno più eco di quelle di un sottosegretario qualsiasi di un qualunque governo. Perché la banana, i neri, Acerbi, la maglietta, Kessie. "Ma sono solo una quindicina". Sì, inizialmente. Perché poi arrivano gli altri, alla fine sono 4000, ci sono anche bambini. Che educazione avranno? Mistero.
Inizia la partita. Il momento giusto per cancellare tutto, per dare un colpo di spugna. E invece, appena tocca palla Bakayoko, ululati. Idem per Kessie. Poi il coro di prima, sul ritmo di Gigi D'Agostino di una ventina di anni fa. Tutto molto ascoltabile, tutto labilmente copribile: come per Berlusconi, non poteva non sapere. O meglio, Mazzoleni non poteva non sentire. E infatti per ben tre volte gli altoparlanti richiamano l'attenzione della curva laziale, per dire che forse sarebbe il caso di smettere. Ma nessuno decide di fermare la partita. Come per Koulibaly in Inter-Napoli.
Infine la conferenza stampa. A Gattuso viene fatta una domanda su quello che è successo durante la giornata, la scavalca in maniera poco elegante. Poi un collega straniero, Pauluzzi de L'Equipe, rincara la dose. E Gattuso è costretto a rispondere. Insomma, come non sentire il razzismo? Basta girarsi dall'altra parte, sempre e comunque. Una risata - o un gol - ci seppellirà.
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