Menu Serie ASerie BSerie CCalcio EsteroFormazioniCalendari
Eventi LiveCalciomercato H24MobileNetworkRedazioneContatti
Canali Serie A atalantabolognacagliariempolifiorentinafrosinonegenoahellas veronainterjuventuslazioleccemilanmonzanapoliromasalernitanasassuolotorinoudinese
Canali altre squadre ascoliavellinobaribeneventobresciacasertanacesenalatinalivornonocerinapalermoparmaperugiapescarapordenonepotenzaregginasampdoriaternanaturrisvenezia
Altri canali serie bserie cchampions leaguefantacalcionazionalipodcaststatistichestazione di sosta

Mitico Villa: "Cabrini mio idolo, ma cercavo di apprendere da Baresi"

Mitico Villa: "Cabrini mio idolo,   ma cercavo di apprendere da Baresi"TUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
venerdì 25 dicembre 2015, 11:132015
di Chiara Biondini
fonte Calcio2000

Il numero 3 sulle spalle, una città nel cuore, un solo rimpianto, tanti ricordi e un sogno nel cassetto: tutto questo nell'intervista con Renato Villa, "Il Mitico Villa" del Bologna, in esclusiva per Calcio2000.
È cresciuto nelle giovanili del Pizzighettone: cosa ricorda?
"È stato un periodo bellissimo, ho imparato tantissime cose al di fuori del calcio; ricordo i compagni di squadra, ogni tanto ci vediamo e mi fa molto piacere perché eravamo un bel gruppo di amici".
Ha militato in formazioni lombarde quale la Soresinese, il Pergrocrema e l'OMAS Pontevico: che esperienze sono state?
"Sono stati passaggi di crescita, le cose più importanti sotto il profilo umano le avevo imparate al Pizzighettone; per quanto concerne il calcio, mi sono servite tantissimo e mi hanno aiutato a crescere. È stata la forza di volontà a farmi diventare un calciatore professionista".
Giocatore e lavoratore: magazziniere nell'Orceana e camiciaio prima di intraprendere la carriera di giocatore a tutti gli effetti: quanto è stata dura la gavetta? È stata fondamentale?
"È stata dura, fino a 25 anni lavoravo di giorno e mi allenavo di sera e specialmente in inverno non era facile ma è stata fondamentale la volontà, che mi ha portato a superare gli ostacoli; mi ha aiutato a crescere e a dare il giusto valore alla vita e ai soldi".
Come era il calcio a quei tempi rispetto ad oggi?
"Mi capita spesso di vedere squadre dilettanti in cui il valore è più basso di un tempo, dove si vince per le invenzioni del singolo. In Serie A si è copiato molto il discorso-Sacchi: gioco corto sui 30 metri, velocità e rapidità. Ai miei tempi c'erano solamente due stranieri, il che permetteva di avere più campioni rispetto ad oggi".
Ha militato quattro anni nell'Orceana, in serie C2, totalizzando numerose presenze e segnando vari gol: è stato questo il momento che le ha permesso di farsi conoscere al grande calcio?
"No: a 16 anni avevo avuto un'importante occasione che non ho sfruttato. Sostenni un provino con la Primavera dell'Empoli, al termine del quale ricevetti i complimenti; volevano tenermi ma io preferii rimanere a casa, dove avevo un lavoro sicuro. Quello è stato l'errore più grande che commisi".
Il grande salto nell'86, quando l'acquistò il Bologna del presidente Corioni: un doppio salto di categoria, dalla serie C2 alla B. Era più la paura o l'emozione?
"C'era la curiosità di vedere quanto poteva essere il calcio vero: pensavo che se Quaggiotto e Lancini, che giocavano nell'Ospitaletto, erano approdati al Bologna, allora potevo starci anche io. Pochi giorni dopo il mio arrivo, a Lecce, mi dissero di marcare sia Oscar Tacchi che Pasculli, anche se non li conoscevo lo feci al meglio delle mie possibilità, disputando una buona partita e ricevendo i complimenti".
Cosa ricorda del provino con l'allenatore Vincenzo Guerini?
"Arrivai a Bologna e la prima cosa che mi chiese era se avevo mangiato; risposi che avevo mangiato due panini all'autogrill e mi diede del matto, dato che dovevo sostenere un provino. Marcai sia Marronaro che Pradella, facendo bene in entrambe le prove".
Diventa subito titolare: una bella responsabilità per un ragazzo di 27 anni alla prima esperienza nel campionato cadetto...
"Sì, loro avevo Ottoni che stava rientrando da un infortunio piuttosto che Nicolini, ma non sentii il peso; andai in campo alla prima giornata a Lecce come quando giocavo nell'Orceana, non cambiava nulla".
La stagione della consacrazione e la più importante è quella dell'87-'88, quando è uno degli artefici principali della promozione in Serie A del Bologna, guidato in panchina da Gigi Maifredi: cosa ricorda di quell'anno?
"Cambiammo modulo di gioco, tornando a giocare a zona ed è stata la mia fortuna, ero veloce a leggere le giocate e feci un bel campionato. Il gruppo era eccezionale, l'impegno totale, ci siamo subito fatti voler bene da una piazza esigente come Bologna. Il gruppo è stata la vera forza".
Debutta in Serie A pochi giorni prima del compleanno, il 9 ottobre 1988, in Pisa-Bologna 0-2: un giorno indimenticabile che non dimenticherà mai...
"È stato un giorno bellissimo, in più vincemmo quindi è stato fantastico, una partita indimenticabile; pensare di incontrare campioni come Gullit, Van Basten, Maradona che fino a poco prima vedevo solo sulle figurine mi lasciava perplesso, era un sogno che si stava realizzando".
Ha sempre giocato da difensore, prima terzino e poi centrale in una difesa in linea a 4 elementi: aveva qualche idolo?
"Da terzino sinistro Cabrini, dato che anche io facevo molti gol mentre da centrale cercavo di apprendere da Franco Baresi, dotato di un'intelligenza fantastica e velocissimo di testa".
Quali erano le sue caratteristiche principali?
"La forza fisica, ero bravo nei colpi di testa, avevo la giusta elevazione e gli avversari più alti li marcavo io: da Van Basten a Gullit a Careca".
Chi è stato il giocatore che più l'ha messa in difficoltà? E quale quello a cui non ha "fatto veder palla"?
"Sauro Frutti, incontrato in Serie B quando militava nel Modena; fece gol sia all'andata che al ritorno. In generale mi trovavo bene con tutti, non avevo troppe difficoltà. Giocavo con tutti, dal bravo e agile Galderisi ad un fenomeno come Van Basten".

Ci sono state occasioni in cui ha giocato da centravanti, segnando anche alcune reti, una di queste contro la Triestina: ricorda il gol e i cinque minuti di applausi?
"C'erano due attaccanti infortunati, e per esigenze Maifredi mi diede la maglia numero 9 e mi fece giocare da centravanti; nelle partite precedenti sfiorai più volte il gol, il pubblico attendeva una mia rete che arrivò in quell'occasione. È stato un bellissimo gol, in tuffo di testa: mi vennero i brividi e sentii un'emozione grandissima dentro di me".

Nei quattro anni trascorsi nel Bologna è stato soprannominato Il Mitico Villa: come mai?
"Per l'impegno, la volontà e la grinta ma anche per il fatto che ero veloce nei recuperi difensivi, il che faceva dire a molti di ispirarsi a me; in realtà è stato a San Benedetto del Tronto che trovai il primo striscione con questo soprannome, durante una partita che perdevamo 2-0 e che riuscimmo a pareggiare 2-2, con due miei assist per Marronaro".

È vero che il soprannome le venne dato da Lucio Dalla, grandissimo tifoso del Bologna, uno dei suoi due più accaniti tifosi assieme a Gianni Morandi?
"Potrebbe essere, quando festeggiammo la vittoria del campionato di Serie B c'erano tutti i cantanti bolognesi, da Morandi a Dalla, da Carboni a Antonacci e proprio quella volta Morandi cantò "Uno su mille", dedicandomela, con tutto il pubblico che applaudì. Può immaginare la mia emozione".

C'era una squadra di basket sulle cui maglie campeggiava la scritta "Mitico Villa": una bella emozione.
"Sicuramente sì, mi invitarono anche alla presentazione; fa piacere allora come oggi. Ancora adesso molta gente non sa che mi chiamo Renato, tutti mi salutano con "ciao Mitico", dai più grandi ai più piccoli e a me fa molto piacere, significa che ho lasciato qualcosa di buono".
Se le parlo delle partite a briscola e tresette al bar Caravaggio di Bologna dal barman Antonio o se le cito il bar Cigoli di Cornaletto, cosa le viene in mente?
"A Cornaletto ricordo la mia infanzia, dove trascorrevo le mie serate prima di trasferirmi a Bologna, dove arrivai da solo, in quanto la mia famiglia rimase a Cremona dato che i figli andavano a scuola e io non sapevo cosa mi riservava l'immediato futuro. Una sera, passeggiando, entrai al bar Caravaggio, dove conobbi Antonio, diventando da subito buoni amici e tutti i pomeriggi andavo a giocare a carte, una delle mie passioni oltre al calcio".
Si è ritirato a 34 anni, dopo l'esperienza al Bologna: che bilancio traccia della sua carriera?
"Sono abituato ad accontentarmi di quello che ho, sono felicissimo della mia carriera; ho smesso anche se potevo trasferirmi in città come Palermo o Salerno, ma avevo capito che Bologna era la mia città, il mio obiettivo era quello di rimanere in questa città".
C'è qualcuno che l'ha aiutata nel corso della sua carriera da calciatore? Chi pensa di dover ringraziare?
"Tanti, tutti: dal presidente Corioni a Maifredi, colui che mi consigliò al presidente insistendo per farmi fare un provino, a Guerini che mi ha insegnato molto a tutti i miei compagni di squadra".
Degli allenatori che ha avuto chi ricorda con più affetto? E perché?
"Franco Pasquetti, il mio primo allenatore al Pizzighettone che mi ha cresciuto sia come uomo che come calciatore, infondendomi tre concezioni: educazione, rispetto e calcio; poi Maifredi, colui che credette in me ma non posso dimenticare tutti coloro che hanno avuto il coraggio di farmi giocare".
Ripensa mai alla sua carriera da calciatore?
"Ogni tanto si, quando parlo con i bambini mi tornano alla mente molte situazioni di gioco ma anche quando qualcuno mi chiede com'era questo o quel giocatore, i ricordi tornano alla mente".
Dopo aver appeso le scarpe al chiodo ha intrapreso la carriera da allenatore sia di calcio a 11 che a 5: Chianciano, Palazzolo, Comacchio, Baracca Lugo e Caramagnese. Che esperienze sono state?
"Mi hanno aiutato a crescere come allenatore, seppur in ogni squadra c'erano aspetti più o meno belli; nei dilettanti tanti vogliono imporre le loro idee o certi giocatori, cosa di cui non sono d'accordo. Personalmente non mi è mai capitato, ma è uno degli aspetti che mi ha indotto a smettere la carriera di allenatore. La più bella esperienza che ricordo è quella alla Tavor Sesana, in Slovenia".
Oggi di cosa si occupa?
"Sono responsabile di una scuola calcio a Casalecchio di Reno, con 300 bambini; con me collaborano l'ex portiere Cusin, Giuseppe Anaclerio, Fabio Poli, Roberto Russo e altri allenatori. Inoltre svolgo dei camp estivi di sei settimane in giro per l'Italia, da circa 17 anni, e spesso viene anche Pasculli: da quando ci incontrammo nel 1986 siamo diventati e rimasti amici".
Quali sogni ha nel cassetto?
"Poter ritornare ad essere una persona che può aiutare il Bologna calcio a crescere, ci sono persone bravissime ma nel mio cuore c'è sempre questa squadra, e mi piacerebbe molto".