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TMW a Lisbona:  la rivoluzione del Bayern all’87’, la frustata di Herrera,  la mattina dopo il CovidTUTTO mercato WEB
martedì 25 agosto 2020, 16:14Serie A
di Tancredi Palmeri

TMW a Lisbona: la rivoluzione del Bayern all’87’, la frustata di Herrera, la mattina dopo il Covid

È l’87’. Il Bayern vince 1-0. E deve respingere gli attacchi sempre più alla disperata del PSG. Una situazione standard di una partita di calcio, di una finale con una squadra in vantaggio di solo un gol, ma al termine di una partita e di una finale dal ritmo ossessionato, dalle pulsazioni nervose sfibranti.
E il Bayern, con queste premesse, è totalmente riversato nella metà campo del PSG. Di più. È nella sua trequarti. Ben 7 uomini - ripeto: sette! - sono a caccia del portatore palla del PSG, bloccano le linee di passaggio, presidiano il campo.
Quindi: in 7 del Bayern a tre minuti dalla fine sopra di un gol sono nei primi 30 metri dell’area avversaria in una situazione non di calcio da fermo e in fase di non possesso ma di pressing.
Se provate a visualizzare la follia di questa situazione, capirete la scioccante rivoluzione tedesca fatta nell’area francese: il Bayern di Hansi Flick ha affondato le mani nel calcio totale, lo ha rimpastato al triplo della velocità, lo ha esasperato fino all’ultimo minuto per renderlo insostenibile all’avversario.
Non c’era destino, ma solo la propria volontà di potenza, di non aspettare che ti consegnino la coppa, ma di andare ad assaltare la Bastiglia, voler cambiare la realtà, fare la rivoluzione.
Il Bayern di Flick è una squadra che segna un’epoca. Poi si vedrà quanto durerà, ma non è casuale che sia la prima nella storia a riuscire ad alzare la Champions vincendo tutte le partite. Non è solo forte, è rivoluzionaria come lo era stato quel Barcellona la cui epopea ha terminato spietatamente con il 2-8.
E lo fa contro un degnissimo avversario, un PSG che non è più una ricca velleità ma una squadra vera a cui è mancata la freddezza del colpo finale.
Giusto che sia andata così, il calcio è sempre giusto alla fine, la straordinarietà nelle nostre vite di questa Champions, di questa estate, di questo 2020, acquista un po’ di divertimento nel momento in cui diventa ricordo, ma mentre ci alziamo in volo da Lisbona e guardiamo dall’alto allontanarsi il Da Luz, l’Alvalade, la Final 8 senza tifosi, l’evento senza attesa, l’Oceano Atlantico di tranquillità davanti alla normalità che normale non è, l’affondo più vero in questa coltre di apparente consuetudine è di Ander Herrera, che parlando dopo la partita ha analizzato con lucidità scioccante non solo la propria sconfitta, ma soprattutto quanto abbiamo appena vissuto: “Giocare senza pubblico è una merda. È una esperienza orribile. I tifosi sono la ragione per cui giochiamo, e senza di loro non so cosa ci stiamo a fare. Spero che le istituzioni si rendano conto che il calcio è per i tifosi, e senza di loro non c’è più niente. Ovvio, questo è un business che deve andare avanti, perché muove interessi grandissimi e in fondo è stata anche una via di fuga per tutte le persone che hanno sofferto direttamente e indirettamente a causa del Covid. Ma proviamo tutti a essere responsabili nella maniera in cui ci è possibile, prima pensando alla sicurezza di tutti, e poi allo spirito di questo sport”.
Ricorderemo tutto questo a prescindere, il sollievo e il dolore, perché la vita non possiamo scegliercela.
L’uscita di scena è per tutti noi la passerella verso la medaglia di Lorenzo Manganelli, guardalinee della squadra arbitrale italiana peraltro inappuntabile, che già nel pre partita aveva ispirato il sorriso del pubblico mostrandosi con la mano sul cuore durante l’inno della Champions, facendo pensare ‘è uno di noi’.
Nella passerella verso il podio, ha mostrato fugacemente alla telecamera una foto di un uomo. Dopo, si è venuto a sapere essere la foto del padre, portato via in primavera dal coronavirus. Una carezza silenziosa che svuota ogni parola.
La mattina dopo la finale ho incrociata Lorenzo Manganelli con il resto della squadra arbitrale sul volo di ritorno verso l’Italia. Gli sorridevano anche le sopracciglia, era l’unico con la medaglia al collo in giro per l’aeroporto. Quella vera però. Come fanno gli atleti olimpionici quando tornano a casa, come farei anche io e fareste anche voi per l’infantile gioia se fossimo sportivi vincenti ad questi livelli.
Non c’è niente che ci restituirà l’innocenza che abbiamo perso, il tempo che è andato perduto, o ancora peggio, niente restituirà l’affetto interrotto a chi ha vissuto il dolore.
Ma ciò non vuol dire che dagli spalti vuoti, dalla rivoluzione del Bayern, da una festa senza musica né invitati, non si possa andare avanti con la leggerezza e la grazia del sorriso di Lorenzo Manganelli con la sua medaglia dondolante illuminata dal sole.