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Juve: arrivano 2 centrocampisti, ma uno non resta. Inter: tante partenze (occhio a Palacio), un acquisto e "il racconto" Gabigol. Milan: la caparra-bis e la follia del "mercatino". Napoli: un regalo "Real" (ma i tifosi...)

Juve: arrivano 2 centrocampisti, ma uno non resta. Inter: tante partenze (occhio a Palacio), un acquisto e "il racconto" Gabigol. Milan: la caparra-bis e la follia del "mercatino". Napoli: un regalo "Real" (ma i tifosi...)TUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 13 dicembre 2016, 08:182016
di Fabrizio Biasin

Amici cari, ben ritrovati.

Scrivo dal letto di morte, forte di un 37.8 di febbre che è un po’ una costante del mese di dicembre, almeno per quanto mi riguarda. E voi direte: “37.8 è quasi un cazzo, non lagnarti”. Può darsi, ma io mi sento malissimo, tipo moribondo, soprattutto non so più a chi dar retta tra i mille che dispensano consigli. “Stai coperto, non troppo però, stai al caldo, bevi molta acqua, tachipirina sì, peperonata no, alterna il caldo al freddo: è un metodo giapponese, metti la pezzuola bagnata sopra la fronte: nei film funziona, no tachipirina meglio l’omeopatia, propoli per la gola, spray per la gola, l’antibiotico "dei tre giorni", il freddo è la soluzione, la minestrina è un toccasana, l’omeopatia è una puttanata, chiama il medico della mutua, attento agli spifferi, tachipirina ok ma meglio la supposta, misura la febbre, la febbre meglio se la misuri dietro che è più precisa, brasato evita, molto bene il succo di frutta, spremuta benissimo, avvisa al lavoro, ti ha preso la pancia?, ti ha preso la testa?, ti ha preso la gola?, ti ha preso le ossa?, quest’anno va così, cambia l’aria in casa ogni tre ore, hai certamente preso freddo l’altra sera, bevi la tisana, vai a letto, brodo di pollo perfetto ma non fatto col dado, niente cena di Natale con i colleghi, niente strapazzamenti, niente di niente, bevi molta acqua, anzi moltissima, alla tua età meglio non scherzare”.

Ho seguito tutti i consigli e sono passato da 37.9 a 37.8, direi che siamo a cavallo.

Bene, ora scrivo le solite quattro sciocchezze pallonare e in fondo vi lascio con una storia a me cara. Ci tengo che la leggiate.

QUI INTER

Partiamo dall’Inter, reduce da una vittoria che a molti ha fatto storcere il naso perché “i tre punti sono anche arrivati, ma così non si va da nessuna parte”. Per carità, è vero, l’Inter ha sofferto e rischiato molto, cosa che, tra l’altro, quest’anno contro il Genoa è capitata a tante squadre meglio messe in classifica dei nerazzurri.

Pioli ha schierato un 3-4-3 “variabile” che nel primo tempo è parso assai poco equilibrato. Nella ripresa, invece, l’ingresso di Melo (non Cambiasso, Melo…) ha dato un po’ di ordine al tutto e l’Inter ha portato a casa un successo assolutamente da non disprezzare. Sorprende fino a un certo punto dover riconoscere che questa squadra riesce ad essere tale se abbandona l’idea di un calcio prettamente offensivo e sceglie di sposare la linearità di un giro-palla assai più elementare. De Boer aveva in mente un progetto importante che meritava tempo e “protezione”, scaricato l’olandese è saggio che Pioli “regredisca” a una filosofia di gioco meno elaborata ma certamente più fruttuosa. Per farlo servono prese di posizione importanti (pazienza se resta fuori qualcuno dei big) e giocatori che possano garantire ordine. Il già citato Melo, per dire, pur con tutti i suoi limiti è in grado di offrire quella protezione a centrocampo indispensabile per assicurare maggiore libertà a Brozovic e Joao Mario.

Quanto contano queste quattro righe da me appena vergate? Un cazzo di niente. Il problema dell’Inter era e resta la continuità: ci si attacca “al buono” di un risultato positivo per poi tornare ai toni tragici alla partita successiva. Il dato di fatto è che questa squadra deve essere rimodellata già a partire da gennaio: in molti partiranno (Palacio, titolare domenica, potrebbe finire all’Atalanta), un paio arriveranno ma - parola della società - "solo e soltanto dopo aver liberato gli spazi”. Difensore a parte (Darmian – che però ha iniziato a giocare a Manchester – o Caceres), si aspetta proprio quel centrocampista che possa dare protezione e dettare i tempi a difesa e centrocampo.

Il resto è “battaglia tra fratelli”, ovvero l’eterno contrasto tra quelli che hanno già alzato bandiera bianca perché “la stagione è da buttare” e i pazzi visionari che preferiscono evitare di attaccarsi al “Simeone che verrà” e restano concentrati sul presente, che poi è l'unico modo per evitare di buttare via il futuro, qualunque esso sia.

QUI JUVE

A parlare di Juventus si rischia perennemente di risultare noiosi. I giorni successivi ai ko con Inter, Milan e Genoa quantomeno davano modo di prendere posizione contro “i nemici di Allegri a ogni costo”, ora che anche quelli sono tornati nei loro gusci (fino alla prossima sconfitta, ci mancherebbe) diventa assai complicato trovare argomenti di discussione frizzantini.

Meglio dunque badare al sodo: panza o non panza Higuain ha dato una risposta a tutti coloro che di recente si erano messi di traverso e già attaccavano la Juve per aver “buttato al vento 90 milioni”. Il discorso è molto semplice: se ci si aspetta che il Pipita possa realizzare lo stesso quantitativo di reti dello scorso anno si rimarrà sempre delusi (si chiamano “record” proprio perché sono difficili da realizzare, figuriamoci “bissare”), se invece ci si “accontenta” di un Higuain “ingranaggio prezioso in un motore ricco di ingranaggi” allora si potrà godere appieno di una squadra costruita bene e gestita anche meglio.

Lasciamo perdere la questione “sorteggio fortunato” (il Porto è squadra rispettabilissima e comunque febbraio è troppo lontano per poter fare delle valutazioni sullo stato di forma delle avversarie), restiamo invece sui bianconeri. Contro il Torino, Allegri ha dato dimostrazione di cosa vuol dire “saper gestire un gruppo”: alzi la mano che avrebbe tolto Mandzukic nel momento più caldo di Toro-Juve. Pochi, pochissimi. Il tecnico bianconero lo ha fatto ben sapendo che lo stato di forma di un giocatore (il croato va a mille) è meno importante dell’equilibrio generale della squadra. La visione di insieme, il pragmatismo, la consapevolezza che prima vengono i risultati e poi tutto il resto, sono il segreto di un allenatore che probabilmente non passerà alla storia per aver “inventato calcio”, ma può già dar lezioni a molti quanto a “capacità di utilizzare le risorse”.

Per questo motivo gennaio diventa fondamentale. Allegri chiederà alla sua società un centrocampista in grado di poter affrontare la fase calda delle “tre partite in una settimana”. Attenzione-attenzione: il giovane Bentancur dovrebbe anticipare il suo arrivo a subito dopo Natale, ma pare possa essere girato in prestito a qualche società “amica” fino a giugno (Empoli o Sassuolo). Diverso il discorso Witsel: il centrocampista belga è finalmente a un passo dai bianconeri: l’affare dovrebbe concretizzarsi per una cifra vicina ai 6 milioni, sempre che in casa Zenit non decidano di cambiare idea all’ultimo...

QUI NAPOLI

Il sorteggione di Champions ha diviso i tifosi: ci sono quelli che “peggio non poteva andare, che sfortuna” e quelli che “saranno due grandi partite, bene così”. Patron De Laurentiis fa parte del secondo gruppo e ha tutte le ragioni per non abbassare lo sguardo: il sorteggio è stato sfortunato, ma a cose fatte è inutile piangersi addosso. Molto meglio godersi il momento.

Il Napoli parte con gli sfavori del pronostico, ma a Madrid non sono certo contenti di dover affrontare una squadra con un gioco “bello e fastidioso”, come quello messo in piedi in questo anno e mezzo da Sarri. In campionato i partenopei sono già tornati “in quota”, il mercato non porterà grossi stravolgimenti, almeno a sentire il patron: niente difensori, forse neanche l’attaccante.

Aurelione dice una mezza verità: col tridente “atipico” Insigne, Mertens, Callejon che funziona a meraviglia e Milik rientrante a fine gennaio forse non servirà una punta di primissimo piano, ma qualcuno che possa dare una mano certamente sì. Lo pensano un po’ tutti, soprattutto lo pensano i tifosi che ieri in calce al tweet di De Laurentiis (“Con il Real Madrid andranno in scena due grandi serate di sport! Forza Napoli sempre”) si sono sbizzarriti con una serie di commenti straordinari: 1) “Mi raccomando, fai come contro il Chelsea. Metti le curve a 50 euro e i distinti a 100. Svuota lo stadio”. 2) Icardi a gennaio. 3) Sai quanti soldi eh preside': allora metti mano alla tasca e compra. 4) Preside' se mi vendo un rene crede che riesca a comprare un biglietto curva inferiore? 5) Presidente e vrimm e nn fa figur, accatta l’attaccante!!! 6) Oh se non ci sentiamo prima di Natale intanto auguri. 7) Grazie a lei siamo passati dalla Massese al Real. Grazie per le emozioni che ci sta facendo vivere. 8) Presidente ci compri una punta… Aro c avviamm co Gabbiadini vs Sergio Ramos. 9) Mi raccomando Pavoletti ci serve. O Zaza. Oppure n amico mio pure forte è! Gioca in promozione. 10) Compra una punta con l’incasso del Cinepanettone. 11) San Gennà pensaci tu.

Meravigliosi…

QUI MILAN

Infine il Milan, lasciato per ultimo per ovvi motivi legati al match dell’Olimpico appena terminato.

Partiamo dalle questioni extra-campo. Chi scrive sperava di poter fare affidamento sull’arrivo dei cento milioni della caparra-bis, così da poter pontificare e fare del “bla bla” di livello. E invece niente, gli amici della Sino Europe hanno rimandato tutto a questa mattina per “problemi tecnici nel trasferimento dei fondi, legati anche alla differenza di fuso orario”. Ora, detto che il fuso orario è un’invenzione di qualche secolo fa e quindi un po’ restiamo sbalorditi, preferiamo fare il "solito" passo indietro. Il motivo è semplice: per come si sono svolti i fatti nel corso di questi mesi, di fronte a ogni sfumatura o slittamento invece di pensare “è normale e legittimo che le cose possano andare così”, la prima cosa che ci salta in testa è “alè, sotto con l’ennesima puttanata”.

È il difetto di molti fra quelli che hanno approcciato alla vicenda: i complottisti ad ogni costo, ma anche i fiduciosi a prescindere. Ebbene, tutti ora attendono i fatti.
E i fatti, badate bene, non riguardano solo i famosi cento milioni della caparra-bis. Il Milan sceso in campo ieri all'Olimpico ha perso ma ha fatto un figurone, l'ennesimo di questa stagione. Contro una Roma certamente meglio attrezzata, i rossoneri hanno dato l'ennesima prova di essere un gruppo che ha tutto per credere nell'impresa sportiva (il terzo posto), ma solo se verrà aiutato da chi ha il dovere di farlo. Se i cinesi hanno la forza di credere al closing al punto di buttare sul piatto ulteriori cento milioni, allora devono riuscire ad imporre e pretendere un mercato all'altezza, anche a costo di dover impegnare qualche milioncino in più. Un mercato - badate bene - che non deve essere per forza ultra-dispendioso, ma che neppure si debba limitare al "compriamo quel che passa il convento e solo se riusciamo a vendere il Bacca di turno". Non si vuole affidare il tutto a Galliani? Legittimo: si trovi un compromesso con Fassone, si faccia uno sforzo nella direzione del buonsenso per far sì che a farne le spese non sia il Milan stesso.
Medesime riflessioni dovrebbe fare la "vecchia" proprietà, attaccata a un eventuale progetto "giovane e italiano" che potrebbe anche avere un senso, ma non ora. A gennaio il Milan non ha bisogno di "giovani", semmai di certezze: un centrocampista con esperienza, un difensore in grado di rimpiazzare i titolarissimi, una punta se Bacca andrà via. Non servono miliardi, servono le idee e la libertà di metterle in pratica. Solo così il Diavolo potrà inseguire fino all'ultimo il terzo posto: un obiettivo concreto che solo quattro mesi fa pareva un sogno per visionari.

Fine. Come anticipato vi lascio con una storia a me molto cara. Speravo di non doverla mai raccontare, ma le recenti cronache sportive mi hanno convinto a procedere oltre i confini dell’auto-sputtanamento. Buona lettura, se vi va.

(Twitter: @FBiasin @ilsensodelgol Mail: ilsensodelgol@gmail.com).

Questa è la storia (vera) di Kahled.

Ve la racconto perché tutti “dovete sapere” e perché può essere utile a molti, anche e soprattutto ad alcuni club di serie A.

Un tempo facevo l’allenatore. Tipo Mazzarri, ma senza laser in faccia (non esistevano).

Era il 1998.

Non era una questione di “sacro fuoco”, ma di rimborso spese: 300.000 lire al mese per gestire i Giovanissimi della Guanzatese. Capirete che a 20 anni sono soldi che uno non può rifiutare.

Si trattava di allenare 25/30 ragazzini assatanati e di tenere a bada i rispettivi genitori. Erano delle iene (i genitori) e vi assicuro che le 300.000 erano stra-meritate.

Ma non perdiamo di vista la “questione Kahled”.

Erano gli anni d’oro della Guanzatese, gloriosa società di Guanzate, che poi è il paese confinante con Appiano Gentile, che poi è il paese che ospita l’attuale e drammatico “pippodromo nerazzurro”.

Ma non perdiamo di vista la “questione Kahled”.

Il sottoscritto praticava uno scolastico 3-5-2, come Mazzarri ma senza Jonathan. Anche in questo caso non era una questione di “credo nel 3-5-2”, ma di “se provo a spiegare a dei dodicenni la diagonale difensiva nel 4-4-2 sacchiano, mi sputano nella borraccia e perdo il loro rispetto”. In compenso avevo grandi idee per gli allenamenti: tiri a freddo, corsa fortissima attorno al campo per 10 minuti, stretching, partitona bestiale di 90 minuti 13 contro 12 con portiere volante: non erano partite, era lo Sbarco in Normandia, solo con un pallone in mezzo. Chi restava in piedi era convocato per la partita di campionato.

Un giorno tal Pillo, 11 anni, mi fa:

- Mister, cazzo ci fai fare lo stretching che non abbiamo un muscolo, non ci serve a un cazzo di niente.

Gli ho risposto:

- Come ti permetti, porta rispetto e fai dieci giri di campo fortissimi per punizione!

Ma poi all’allenamento successivo ho tolto lo stretching e allungato la partitona di dieci minuti.

Ma non perdiamo di vista la “questione Kahled”.

I ragazzini, bene o male, mi volevano bene. Avevano i loro problemi di droga, devastante bullismo, prostituzione e onanismo come tutti, ma non li facevano pesare. Altri erano figli di ricchi e dovevano giocare anche se erano delle seghe, perché i genitori sull’onda lunga di Tangentopoli pagavano sanguinose quote doppie e triple per far valere il loro status. Se tenevi fuori i figli dei potenti capitava che il presidente ti dicesse “Biasin, hai presente la 300.000?”. Io: “Sì”. Lui: “Non mi sembra che tu ce l’abbia molto a cuore, il figlio del notaio Bernacchi si è fatto due tempi al gelo e gli è venuto lo scorbuto. La madre è inviperita e minaccia di non farci spedire i piumini per l’inverno. Senza piumini siamo fottuti”. Un’altra volta mi fa: “Allora, Biasin, l’avvocato Marozzi, padre del Carletto, ha acquistato 5 blocchi da venti biglietti della lotteria di Natale a mille lire cadauno. Il primo premio della lotteria di Natale è una tostiera della De Longhi che alla Standa costa 15.500 lire. Ora, Biasin, tu i calcoli li sai fare: secondo te Marozzi ha speso centomila lire per vincere la tostiera De Longhi o per vedere suo figlio che imita Masinga del Bari che fa il trenino dopo il gol?”. Io: “Ma, pres, Morozzi è una sega colossal…”. Lui: “Niente ma! Ti dico solo una cosa Biasin: la trecentomila s’allontana…”.

Avete presente che tra i piccoli esiste il terzo tempo? Vi diranno che l’hanno inventato per creare fratellanza e altre cazzate, in realtà è nato per ovviare al problema “figli dei ricchi da far giocare per forza”.

Ma non perdiamo di vista la “questione Kahled”.

Tra i magnifici 30 c’era tal Kahled. Con Kahled non c’era un gran rapporto: a lui non fregava un cazzo del calcio, veniva solo perché le alternative erano il judo o il corso di chitarra. A dispetto del suo fare da stronzetto e al fatto che se gli dicevo

- Kahled! Cazzo! Corri fortissimo anche tu o sabato non ti faccio venire!

Lui mi rispondeva:

- Ma ti vedi? Hai vent’anni e sei qui per il rimborso spese. Cosa ti daranno, 400.000 lire? Mi fai tristezza.

Era ottimista, Kahled.

Il suo essere strafottente, abbinato al mio essere ventenne frustrato, mi portavano a prendere decisioni orrende tipo lasciarlo sempre in panchina nonostante fosse una discreta mezz’ala. La scusa era “è un cattivo esempio per gli altri”. Lui non diceva mai “beh”: si sedeva, guardava gli altri, si cambiava, tornava a casa.

Un martedì di febbraio, me lo ricordo ancora oggi, arrivò la Pertosse, che non era il nome originale di una squadra avversaria, ma una malattia altamente contagiosa. La combo “freddo cane + caldaia rotta” fu fatale: 20 bambini con la pertosse e il presidente imbestialito. “Biasin, porca la troia, se la caldaia è rotta non me li spedisci fuori! Ti devi inventare la seduta tattica in palestra! Il 4-4-2 sacchiano, la diagonale, queste puttanate qua! Qui i genitori dei ricchi ci fanno causa!”. Io: “Eh ma pres, lo scopro alla fine se la caldaia funziona o no, e poi che fighette del cazzo questi qui…”. Lui: “Io te lo dico, ho chiamato l’idraulico per la caldaia. Sai quanto mi ha chiesto? Trecentomila. Fai tu…”.

Fatto sta che al sabato mi vedo costretto a schierare Kahled titolare in una partita decisiva per le sorti del campionato: ci si giocava il quarto posto, mica pizza e fichi.

Nel pre-partita carico Kahled: “Ascolta Kal, so che tra noi non corre buon sangue, ma oggi hai l’occasione per dimostrarmi che mi sono sempre sbagliato e che ti meriti questa maglia. Dai cazzo Kahled!”. E lui, serafico: “Ok mister”.

Ve la faccio breve.

Al minuto 5 Kahled si invola lungo la fascia destra, ne salta uno, ne salta due. In tribuna il padre di Morozzi e la moglie del notaio Bernacchi si lasciano andare ad un “minchia!”. Kahled pare Di Livio dei tempi d’oro, salta un terzo avversario e fa partire una sassata: gol. La squadra è in estasi, lo osanna, la madre del giovine dice “E io che volevo portarlo a judo! Mammamia figlio mio benedetto! Me batte il coraçon!”. Io, dalla panca: “Bravo Kahled! Lo sapevo! Lo sapevo!”. Ma lui non si scompone, niente, neanche un “olè”.

Si ricomincia. Al minuto 12 Kahled riparte sulla destra, sembra lo slalomista azzurro Fabrizio Tescari, li fa fuori tutti come fossero gusci di pistacchi, arriva nei pressi del portiere, scavetto, euro-gol, 2-0. Il campetto esplode. Alcuni genitori con cappotti importanti si arrampicano sulle recinzioni come fossero dei Genny la Carogna qualunque, il presidente corre dietro alla panchina e mi fa: “Oh, testa di cazzo! Dove l’avevi tenuto fino ad ora?? Questo lo vendiamo all’Aldini Calcio e ci facciamo un milione!”. Lui, Kahled, torna a centrocampo in silenzio.

Si ricomincia. Al minuto 17 Kahled si abbassa sulla linea dei difensori. Pare indemoniato. Strappa il pallone al centrale difensivo Matteis che rimane basito, quindi si invola sulla sinistra: ne salta uno, due, si alza il pallone in palleggio e colpisce al volo: palo gol e 3-0. Viene giù tutto. L’allenatore degli avversari si avvicina, mi stringe la mano e mi fa: “Ma tu all’allenamento gli fai fare la corsa fortissima e poi? Me lo dici? Minchia se siete forti!”. Il padre di Matteis, inizialmente risentito, chiama il figlio a bordo campo e gli dice “Cazzo, hai visto come si fa? Quello lì finirà all’Aldini, mica come te! Tu sei uno da terzo tempo!”. Capitan Morozzi si toglie la fascia da capitano (costata al padre 7 blocchetti di biglietti della lotteria di carnevale) e gliela porge: “E’ tua, Kahled, te la meriti”. Lui fa cenno di no con la testa e a quel punto succede qualcosa di incredibile. Kahled alza le braccia al cielo, esulta, ma con compostezza. Poi inizia a corricchiare verso di me. Sorride. Per la prima volta da quando lo conosco è felice. Mi si fa incontro, il resto della squadra a ventaglio dietro di lui. Grida “Miiiiisteeeerrrr!! Miiiisteeerrrrr!!”. E io, desideroso di abbracciarlo: “Kahleeeeddd!!! Kahleeedd!!!!”. E lui, ormai a un passo da me: “Miiisteeeeeer! Suka testa di cazzo, sei un fallito di merda”. E gli parte il più grande gesto dell’ombrello mai visto in natura.

Cala il gelo. I genitori allibiti. Chiedo il cambio immediato con Piperno, il figlio del lattaio con una rara forma di scoliosi. Kahled si incammina verso lo spogliatoio, si gira verso di me e dice a mezza bocca: “In questa società non capite un cazzo, un cazzo…”. Non l’ho mai più rivisto.

Ora, questa storia non ha uno straccio di morale, ma qui lo dico e qui lo nego: attenti alla prima da titolare di Gabigol.