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Juve: la lezione di Ronaldo, il nodo-Higuain e gli alibi agli avversari. Inter: da Perisic a Icardi, il cambio di rotta dei critici a prescindere (e occhio a centrocampo). Napoli "vede" Cavani. E il Milan sceglie il suo bomber (Morata o...)

Juve: la lezione di Ronaldo, il nodo-Higuain e gli alibi agli avversari. Inter: da Perisic a Icardi, il cambio di rotta dei critici a prescindere (e occhio a centrocampo). Napoli "vede" Cavani. E il Milan sceglie il suo bomber (Morata o...)TUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 17 luglio 2018, 07:352018
di Fabrizio Biasin

“Cristiano Ronaldo fa la cacca anche lui”. Era la grande lezione di vita di mio nonno: “Quando qualcuno ti sembra inarrivabile, lontano, quando hai paura e ti senti in difetto, ricordati che fa la cacca anche lui. In un attimo lo vedrai sotto altri occhi”. Questa grande pillola di filosofia applicata all’esistenza può sembrare banale, ma ha aiutato molti di noi a reggere gli urti della vita.

Il sospetto, però, è che Ronaldo davvero non faccia la cacca come tutti noi.

La grandezza con cui codesto monumento si è presentato alla nostra serie A, la sua tranquillità, il suo essere consapevole di tutto, soprattutto di se stesso, ci ha regalato diverse certezze: la prima è che la prossima stagione non sarà uguale alle altre, ma non perché “con quello lì è inutile giocare” come sostengono talune frignette, semmai perché l’Italia torna ad avere una grande responsabilità, quella dei riflettori puntati.

Parliamoci chiaro: eravamo arrivati al punto che ce la tiravamo tra di noi (“che bella la serie A, il campionato più duro del mondo…”) ma poi chiedevi a uno di Chiasso “hai visto Spal-Crotone?” e quello ti rispondeva “è una nuova serie tv?”. Ora no, ora è tra noi l’unico uomo che non fa la cacca. Forse.

Il suo arrivo, tra l’altro, scatena molti ragionamenti che però vi evitiamo, del resto ieri c’è stato il CR7-day e, diciamolo, ne avete un po' le scatole piene. Tocca aspettare solo qualche mese e capiremo se l’affare è “totale” come sembra, nel frattempo la Juve merita applausi per quel che è riuscita a fare non ieri, ma negli ultimi sette anni. È partita dai parametri zero, quindi ha iniziato ad acquistare giocatori “fatti e finiti”, poi ha osato con Higuain e, infine, ha scelto di non essere più “quella che prova a stare tra le prime 4 società al mondo”, bensì si è iscritta d’ufficio in questo ristrettissimo club. Una sorta di evoluzione della cosiddetta “politica dei piccoli passi” culminata ieri in un calcolatissimo “passo da gigante”.

Codesta azione juventina porta con sé qualche inevitabile effetto collaterale: il primo è che Higuain - per un paio d’anni è parso pure lui un “senza cacca” - ora viene trattato come l’ultimo dei fessi. Andrà via, la decisione è presa, anche perché mai Allegri rinuncerebbe a quel satanasso di Mandzukic. Il Pipita finirà al Chelsea di Sarri? Probabile, ma non ci sono solo i londinesi...

Il secondo effetto collaterale è che Cr7 alla Juve offre un discreto alibi a tutti quanti: “La Juve deve vincere lo scudetto, la Juve deve vincere la Champions, la Juve deve vincere tutto!”. E se vincerà “era scritto”, altrimenti “che fallimento i bianconeri!”. Molto comodo per gli avversari, ma solo se non hanno vere ambizioni.

La serie A, invece, d’improvviso ha ambizioni da vendere.

C’è il Napoli di Ancelotti che per molti è società in affanno perché “non compra i fenomeni”. Il ragionamento è sempre lo stesso: se una squadra è arrivata seconda ha tutta questa necessità di cambiare 32423 giocatori? Io non credo. Al limite ha necessità di comprarne pochissimi e fortissimi. E allora tutti sognano Cavani. Cavani guadagna più di un arrotino, ma meno di Ronaldo. Cavani può tornare a Napoli? È davvero molto difficile, ma l’esigenza di porre qua sopra un titolo acchiappa-clic ci porta a scrivere cose come “nulla è impossibile” o “è stato avvistato a Ventotene”. La verità è che nell’estate di Ronaldo alla Juve davvero nulla ci pare impossibile.

C’è anche l’Inter dei vice-campioni del mondo Perisic e Brozovic. Fateci caso: siccome Perisic ha giocato piuttosto bene in Russia ora non è più “l’Inter deve vendere Perisic per fare plusvalenze ma non ci sono offerte” (formula pre-30 giugno) ma “l’Inter non potrà resistere all’assalto del Manchester” (formula post-Mondiale). Le stesse considerazioni valgono per Icardi.
Se, nonostante tutte le stronzate, siete abituati a leggere queste 4 righe, ben sapete che il sottoscritto ha sempre optato per la formula “Icardi resterà all’Inter perché, oh, gli piace” e “l’Inter ha già deciso di accordare un aumento al suo capitano, ma solo dopo la scadenza della clausola”. Queste cose si stanno curiosamente verificando in totale serenità, ma all’esterno vengono tradotte in “Ecco! Non sono arrivate offerte e l’Inter ha vinto la GUERRA con Icardi!”. Poi vai a vedere e quelli che parlano di “guerra” sono gli stessi che per due mesi hanno parlato di “clamorose zebre nelle foto!” e “certamente Icardi andrà via, in fondo 110 milioni sono pochi. Preparatevi alla fuga!”. Evviva la fuga, evviva il giornalismo che si pesta i piedi da solo.
Ah, certo, poi c’è anche la questione “quali altri giocatori prenderà l’Inter”. La questione “quali giocatori prenderà l’Inter” è quella cosa che porta alcuni a pensare “l’Inter non fa mercato!” perché i 5 che ha già preso, li ha presi troppo presto e ora sono già “scaduti”. Le logiche del mercato sono meravigliose e in ogni caso sì, arriveranno altri due giocatori: un esterno a destra (per Vrsaljko si cerca l’intesa con l’Atletico) e un centrocampista (Paredes e Freuler i nomi più "caldi", ma non sono i soli). E Di Maria? Chi crede a una cosa del genere evidentemente non ha ancora imparato la lezione e si fa fregare da quelli che “Inter su Di Maria!”, ma poi non arriva e allora “Inter beffata!”. Tenetemi alla larga da costoro.

Quanto al Milan non ci sono molte cose da dire e questo è ovviamente un problema. Il fatto che la campagna abbonamenti parta solo oggi dice molto del tempo che si è perso per inseguire un minimo di tranquillità. Quella stessa “tranquillità” è ancora un traguardo lontano, ma come sempre vi invitiamo a non farvi fottere da chi ama generare deliri e continua a disegnare scenari apocalittici. Il Milan non ha problemi insormontabili legati al suo futuro, ma certamente ne ha di consistenti nel presente, soprattutto se rapportati alle esigenze “lavorative” di mister Gattuso. Gattuso pretende (legittimamente) una rosa che lo rispecchi e un attaccante che possa dare “valore” al lavoro della squadra. È evidente che rispetto a quel che appare all’esterno certi ragionamenti possano sembrare assurdi, ma le possibilità di arrivare a uno tra Morata (il contatto è tornato "caldo"), Immobile (solo manifestazione d'interesse) o Higuain (tentativo in corso) restano concrete, a patto che si sblocchi nell’immediato almeno un’altra delle uscite preventivate, oltre a quella di Kalinic (ormai a un passo dall’Atletico: la formula è quella del prestito con obbligo di riscatto a 18 milioni). Su Leonardo che "tornerà in rossonero" ognuno ha la sua visione delle cose: il problema non è capire se “è bravo” (lo è eccome), ma quanto riuscirà a resistere questa volta alla sua irrefrenabile voglia di fare tutto tranne quello che sta facendo.

Adieu. Lo diciamo in francese per celebrare “quelli là”, sì dai “loro”, i cugini, insomma i campioni del mondo bravi e un po' "culoni". Lo facciamo dicendo 4 cose su Deschamps scritte per Esquire: non vincerà “mister sorriso” ma non è decisamente l’ultimo dei fessi.

A Mosca piove. Pare il dispetto che le divinità hanno voluto riservare ai francesi (“avete vinto, ci state sulle balle, almeno beccatevi la pioggia”). Loro, i nostri cugini, se ne fregano assai, intenti come sono a dire “me oui, siamo le campion del mond” e “allons enfants” e tutta un‘altra serie di cose molto francesi che avremmo preferito non sentire e vedere (il tipico servizio “la Francia esplode di gioia” dei tg: che mestizia).

Dovendo in qualche modo celebrarli, scegliamo di farlo puntando tutto Didier Deschamps, che poi è il ct che “loro” non volevano. Dicevano, i vari Antoine e Luc d’Oltralpe: “Preferiamo Zidane!”, “sei un perdente!”, “ti levi di torno subito o tra cinque minuti?” e altre cattiverie assortite, anche queste molto francesi. Lui se n’è fregato abbastanza, ha messo sul piatto gli stessi attributi che a suo tempo sfoderava in campo, ha scelto di essere assai più pragmatico che appariscente e, infine, si è iscritto al club ristrettissimo di quelli che il Mondiale lo hanno vinto sia in campo che in panchina (Zagallo e Beckenbauer gli altri due).

Ai più è parsa una cosa facile, la vittoria mai in discussione di un gruppo che ha tremato per soli 9 minuti in tutto il torneo (gli unici in cui i galletti sono stati sotto, nell’ottavo contro l’Argentina). In realtà il merito è in gran parte di quel signore dai denti aguzzi e consumati, maltrattato “a casa sua” soprattutto per aver perso l’Europeo di due anni fa, in finale contro il Portogallo. Una macchia indelebile per tutti, figuratevi per un francese. Gli dicevano “fesso” e “miracolato”, lui abbozzava e intanto prendeva decisioni complicate del genere “sì ai giovanotti, no ai vecchietti”.

Ne ha convocati 23 e lasciati a casa altrettanti: da Laporte (pagato 65 milioni dal Manchester di Mou) a Lenglet (appena acquistato dal Barcellona per 35), da Zouma a Rabiot, ma anche Kondogbia, Benzema, Coman, Martial, Lacazette e potremmo andare avanti sul serio fino ad arrivare ad “altri 23”. Il fatto è che sarebbe tempo perso, perché nel frattempo Deschamps ha trionfato con i suoi uomini e le sue idee, molto “italiane” tra l’altro.

Ha scelto di puntare alla vittoria costi quel che costi, ha pensato “pazienza se mi diranno che non so cosa sia il bel giuoco”, ha convinto Pogba a svestire i panni dello showman per vestire quelli del calciatore, si è reso conto dopo la prima partita che giocare senza una vera prima punta sarebbe stata la strada migliore per finire all’inferno e, quindi, ha virato per tempo inserendo Giroud. Si è dimostrato umile, insomma, che poi è da sempre la sua grande prerogativa. Dodici anni fa l’Italia vinceva il quarto Mondiale e il suo club più rappresentativo, la Juve, ripartiva dalla serie B. A Torino affidarono la patata bollente proprio a Deschamps: iniziò con grande fatica, ingranò, vinse in carrozza il campionato e, ad obiettivo raggiunto, decise di scendere dalla barca.

No, davvero non è bello e spettacolare, ma è limpido, serissimo e, ora, due volte campione del mondo. I giovani direbbero “tanta roba”.