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“Il Napoli nel Mito”, guida narrativa alla mostra azzurra: i volti raccontati da Raffaele AuriemmaTUTTO mercato WEB
© foto di Vincenzo Balzano
mercoledì 17 gennaio 2018, 15:40Rubriche
di Redazione Tutto Napoli.net
per Tuttonapoli.net
fonte sscnapoli.it

“Il Napoli nel Mito”, guida narrativa alla mostra azzurra: i volti raccontati da Raffaele Auriemma

Dal sito ufficiale

La Storia del Calcio Napoli che diventa un’opera d’Arte. “Il Napoli nel Mito” – Storie, Campioni e Trofei mai visti al Mann” è la prima Mostra che ha portato l’epopea azzurra nel prestigioso Museo Archeologico Nazionale di Napoli. Novantunanni anni di una della squadre più amate e seguite del Mondo scanditi dal racconto simbiotico di un Club e una città unite da un legame eterno e indissolubile.

La Storia del Napoli - illustrata attraverso Trofei, campioni, immagini, momenti salienti ed emozionanti - narrata parallelamente al contesto e alla evoluzione della nostra terra.

Una iniziativa, quindi, sia di valenza  sportiva che sociale, declinata anche da un osservatorio speciale di natura scientifica, accademica e letteraria.

La SSC Napoli è lieta di ospitare quotidianamente gli interventi di giornalisti e scrittori che hanno dedicato uno sguardo particolare ai singoli argomenti pregnanti che costituiscono i temi principali e i capitoli portanti ai quali è ispirata l’intera Mostra.

Un itinerario narrativo che arricchisce e impreziosice un evento unico e senza precedenti.

“Il Napoli Nel Mito”, perché solo la passione azzurra può trasformare la Storia in Leggenda.

Pubblichiamo il settimo capitolo della guida che scandisce la Mostra al Mann con il racconto di Raffaele Auriemma, storico radiocronista azzurro e firma di "Tuttosport"

Mille volti azzurri per un solo racconto: il Napoli 

di Raffaele Auriemma

La storia è ricordo, è memoria, è presenza costante, incancellabile. E’ racconto senza pause, da quando comincia la vita di un club e fino al fischio di chiusura dell’ultima partita. Aspettando che ne cominci una nuova, per rivivere da capo tutte quante le emozioni, indescrivibili e irripetibili. I volti si sovrappongono nell’album dei ricordi, in quella passione sconfinata e conosciuta come “gioco del calcio”, in quel macrocosmo magico chiamato Napoli. Una società sportiva, ma soprattutto una squadra che ha collezionato in quasi 100 anni nomi e storie, poi tramandate di generazione in generazione, attraverso l’eredità cognitiva di chi ha visto, di chi ha letto oppure ha sentito. Indirettamente, ascoltando i particolari da tifosi che hanno avuto la fortuna di esserci quando giocavano quei calciatori che ci rammarichiamo di non aver vissuto come nostri contemporanei. Ma anche direttamente, grazie a racconti diventati epici con le voci gracchianti e familiari di radiocronisti, prima, e telecronisti poi. Un gol, una parata, un difensore che evita una segnatura: diventa complicato distinguere periodi, azioni e formazioni dagli anni Quaranta ad oggi. Ma che fa, tanto per i tifosi, i calciatori sono come figli, fratelli, parenti stretti e diventa complicato etichettare quelli più bravi diversamente da quelli meno dotati. Nel cuore di chi tifa, ognuno dei beniamini occupa la stessa posizione, anche se qualcuno fa battere il cuore più di altri. E le partite si incrociano, in un gioco della passione che ti catapulta in una gara infinita, con una formazione smisurata, nella quale infilare epoche e calciatori che avrebbero potuto giocare insieme, se solo fossero vissuti nello stesso periodo. Sai che sfizio assistere, magari raccontare, un match con Naim Krieziu e Lorenzo Insigne. Ala destra veloce e potente, l’albanese del Napoli anni Quaranta, correva i 100 metri in 11 secondi netti. E tirava forte con entrambi i piedi, la "freccia di Tirana", acquistato nel 1947 per 18 milioni di lire. Si sarebbe divertito con il Magnifico, prodotto della cantera di De Laurentiis, che avrebbe buttato l’occhio sul lato destro per quel proverbiale traversone a scavalcare, che avrebbe permesso a Krieziu di segnare come oggi fa Callejon. Un’alternativa per Dries Mertens? Avrebbe fatto comodo Luis Vinicio, visionato e poi preso nell'estate del 1955 dai dirigenti di quel Napoli, durante una tournée in Europa del Botafogo, per affiancarlo ad Amadei, Jeppson e Pesaola. 'O lione avrebbe ruggito anche adesso, nel 4-3-3 di Sarri, oppure nel “piano B” identificato con il 4-2-3-1. Poteva essere lui l’arma letale per battere la Juventus di Allegri, proprio come fece il 6 dicembre 1959, quando inaugurò il San Paolo con un gol in acrobazia per quel 2-1 sulla Vecchia Signora. Nella narrazione infinita della storia azzurra non sono solo i gol segnati a fare la differenza, ci sono anche le difese arcigne. Dino Panzanato era un baluardo negli anni Sessanta, un veneziano dotato di una ricca dose di “cazzimma” partenopea e col sangue agli occhi quando spuntavano le maglie bianconere. Oggi sarebbe stato colorito ed appassionato il commento a quella rissa che l’1 dicembre 1968 gli procurò l’espulsione e una squalifica record di 9 giornate. Anche Omar Sivori partecipò a quella zuffa costatagli 6 turni di stop e l’addio definitivo al calcio giocato. "Genio assoluto, esplosione anarchica”, il commento al talento dell’argentino che con il brasiliano Josè Altafini avvicinò il Napoli per la prima volta allo scudetto. Li avesse avuti Luis Vinicio, da allenatore del Napoli a metà anni Settanta, probabilmente il tricolore sarebbe arrivato. La regia di Antonio Juliano si sarebbe illuminata come un riflettore con quei due bomber di razza. Totonno era un “napoletano atipico”, capitano a soli 23 anni e con il pregio di aver alzato la prima Coppa Italia del Club a soli 20 anni. Poi ne vinse un’altra nel 1976 e non avrebbe sfigurato nemmeno in quelle portate a casa nel 2012 e nel 2014. Con quanta maestria avrebbe coordinato i movimenti di Marek Hamsik, un “napoletano” nato per caso in Slovacchia, ed Edinson Cavani, titolare della media-gol mai raggiunta in maglia azzurra: 104 reti in tre stagioni. “Campioni d’Italia” avrebbe voluto urlare, felice e sudato Juliano. E ci sarebbe riuscito se nel 1974-75 il Napoli avesse più di una partita in trasferta, a Varese nell'ultima giornata, per quei soli 2 punti di differenza dalla solita Juventus. Una soddisfazione che è riuscito a prendersi Giuseppe Bruscolotti, nel 1987, detentore del record di presenze in maglia azzurra (511 in 16 stagioni) e che aveva in precedenza sfiorato il titolo di campione d’Italia con Rudy Krol al suo fianco in difesa. Era il 1980, era l’alba di una nuova epoca, fatta di qualità ed esperienza internazionale, per condurre un Napoli tecnicamente modesto ad un terzo posto che valeva lo scudetto. Il "tulipano volante" dettò legge fino all’estate del 1984, per poi arrendersi all’usura di quel menisco che lo costrinse a dire basta, e consegnare la "sua" squadra nelle mani di Maradona. Il “re” che avrebbe reso vincente il Napoli di tutte le epoche, quelle passate e quelle ancora da venire. La telecamera si oscura, il microfono si spegne. Aspettando il prossimo fischio di inizio.