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Gravina attacca la Serie A: la FIGC vuole fare la riforma con i soldi degli altriTUTTO mercato WEB
martedì 26 aprile 2022, 21:50Notizie
di Redazione Tutto Napoli.net
per Tuttonapoli.net

Gravina attacca la Serie A: la FIGC vuole fare la riforma con i soldi degli altri

Oggi, il Consiglio Federale ha mosso alcuni passi nella direzione della riforma del calcio italiano.

"Il calcio italiano non può cambiare solo con le parole". In estrema sintesi, Gabriele Gravina risponde così a chi gli fa notare che la Federcalcio va da una parte e la Serie A dall'altra. Oggi, il Consiglio Federale ha mosso alcuni passi nella direzione della riforma del calcio italiano. Parola chiave: sostenibilità. Tra le principali novità per perseguirla, l'inserimento dell'indice di liquidità come criterio di ammissione ai campionati. Ed è qui che casca l'asino, lo 0,5 diventa il casus belli.

La Serie A ha votato contro. Rimediando, per la cronaca, anche una figura piuttosto magra sul professionismo femminile, poi derubricata a "malinteso" da Claudio Lotito. Eppure, non chiedeva la luna: indice di liquidità a 0,4 con qualche correttivo in più. Niente da fare, si è scontrata contro quella che il presidente Casini ha definito una "rigidità poco comprensibile". Sul tema, si è astenuta la Serie B: in sostanza, la FIGC decide sul futuro del calcio italiano contro - o senza, nel migliore dei casi - il voto dei suoi due principali campionati. Può farlo perché, come ricorda lo stesso Gravina, a livello politico si può tranquillamente andare avanti contro il parere dei quaranta club più rilevanti del nostro calcio: è, del resto, il corollario di quel fortino elettorale che ha sancito l'intoccabilità dei vertici federali all'indomani del clamoroso fallimento di Palermo. Tanto che, al capitolo resistenze della Serie A, Gravina può ridimensionarle a una "opposizione che se finisce sempre 18-3 diventa complicata". Mai fotografia politica fu più corretta. Ma finisce lì.

Soldi, non voti. Il punto è che questo scenario di politica sportiva non corrisponde al dato economico che le fa da sostrato. In questa contrapposizione, va detto, non ci sono buoni e non ci sono cattivi. I venti club della Serie A non sempre danno grandissima prova di sé. Chi ne ha scoperto di recente le assemblee, come Danilo Iervolino, le ha paragonate a "un'assemblea di condominio dove volano gli stracci". Gli ultimi hanno portato alla rottura con Dal Pino e al rischio commissariamento, manifestazioni di una litigiosità innata. Far ragionare a sistema, in un contesto del genere, è missione quasi impossibile e da non invidiare: anche e soprattutto per questo la riforma, promessa da anni, è ancora ferma allo stadio embrionale. Spesso da via Rosellini arriva il suono di venti voci, ognuna delle quali segue il proprio interesse e non guarda oltre il proprio orticello. Restano, però, le venti voci più ricche: quando, in tempi di lockdown, lo stesso Gravina ricordava quanto il calcio contribuisse al PIL italiano, la massima parte di quei soldi arrivava proprio da quei venti litigiosissimi club lì.

Fino a quando si può tirare la corda? Che messa in altri termini, si può porre come: ha senso riformare il calcio italiano andando in direzione ostinata e contraria rispetto alla sua locomotiva? Fin qui, i venti club di Serie A - anche per i loro evidenti limiti nell'assumere una posizione unitaria - hanno lasciato fare, quando si trattava di politica calcistica. Presi collettivamente, contano meno della Serie C e molto meno della Serie D, ma il problema non è si è quasi mai davvero posto. Tutto può cambiare, nel momento in cui vengono toccati lì dove il dente duole e lì dove contano molto più di tutti gli altri: i soldi. Decidere con quelli degli altri e per quelli degli altri, di solito, comporta grossi rischi, a prescindere da percentuali, maggioranze e opposizioni. Non molti anni fa, non molto lontano dall'Italia e proprio per divergenze di vedute - nonché per i proventi da diritti tv, a oggi un elefante nella stanza - i club della Premier League hanno deciso di separarsi dal resto del movimento calcistico inglese. È uno scenario apocalittico o quasi, ma non è un esempio campato in aria.