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Di Livio: "Capello non mi volle alla Roma"

Di Livio: "Capello non mi volle alla Roma"
domenica 15 ottobre 2006, 14:252006
di Appi .
fonte IL ROMANISTA - www.ilromanista.it

Due anni fa, dopo che erano andati via Ugolotti e Casaroli, tra le panchine del settore giovanile c'era il solo Alberto De Rossi ad aver vestito la maglia della Roma, fermandosi però alla Primavera, prima di scendere in C. L'anno scorso sono rientrati i primi due volti noti, Sandro Tovalieri e Fabio Petruzzi, ed i risultati positivi hanno convinto la società a proseguire il reinserimento di ex giocatori nell'organico del vivaio: quest'estate è toccato ad Angelo Di Livio, che dodici mesi dopo aver appeso gli scarpini al chiodo è tornato dove aveva cominciato, al centro tecnico di Trigoria.
Salve mister. Qual è la sua prima impressione su questa nuova avventura?
«Affascinante, bella ed importante. C'è molta responsabilità, ma è normale entrando a far parte di un settore giovanile come quello della Roma».
La sua esperienza da allenatore?
«Lo scorso anno ho guidato i Giovanissimi Regionali del Delle Vittorie: ragazzi del '91, come quelli che ho trovato adesso con gli Allievi Coppa Lazio della Roma. Li avevo presi verso dicembre, a fine girone di andata; eravamo intorno alla decima posizione, siamo arrivati terzi dietro a Tor Tre Teste e San Lorenzo. Sono arrivato a stagione iniziata perché ero ancora in dubbio se continuare a giocare o no: avevo richieste in serie B e in C, ma ero rimasto troppo male per il modo umiliante in cui si era conclusa l'esperienza con la Fiorentina ed ho deciso di staccare, di tornare a casa e gestire le cose mie in prima persona».
Il Delle Vittorie è suo?
«Sì. È vicino casa mia, facevo un po' di tutto fino a quando non c'è stata la proposta della Roma. Adesso l'ho affidato ad alcuni amici».
Come è nata la possibilità di tornare alla Roma?
«Grazie ai rapporti bellissimi con Bruno Conti, il mio mito di sempre. È sempre stato il mio idolo, visto anche che giocava nel mio stesso ruolo ed ha sempre parlato bene di me nelle interviste, come ovviamente facevo io. Quando stavo al top della carriera diceva che ero una delle poche ali rimaste: faceva solamente due o tre nomi, io c'ero sempre, un altro mi sembra che fosse Zambrotta, quando giocava ancora a centrocampo. Ma c'era anche l'amicizia con Ivano Stefanelli: alla fine è stato lui a farmi la proposta».
Cosa le hanno detto quando le hanno affidato quest'incarico?
«Mi è stato chiesto di preparare i ragazzi nel modo migliore per il prossimo campionato ed io ci sto mettendo cuore impegno e professionalità. Tecnicamente bisogna migliorare tantissimo; la base di partenza già c'è, ma dovremo fare ancora molte esercitazioni. La tecnica si migliora sempre, anche a 27-28 anni: è questa la qualità che mi ha permesso di arrivare lontano nel calcio, visto che molti giocatori, una volta in serie A, smettono di lavorarci, non hanno voglia di impegnarsi per migliorare. La tecnica deve essere il pane di chi gioca. Bruno Conti mi ha anche detto: lasciaglieli fare i colpi di tacco, è giusto che li facciano, si divertono, è fantasia, sono belli da vedere. Molti allenatori spesso chiedono di giocare semplice, ma il calcio è fatto anche di fantasia».
A Trigoria ha ritrovato alcuni ex compagni.
«Fabrizio Di Mauro e Sandro Tovalieri. Mi ha fatto piacere rivederli dopo tanti anni, stanno facendo un bellissimo lavoro. Siamo molto uniti, amici più che colleghi, anche se ci scambiamo parecchie opinioni sul lavoro. Ci eravamo visti parecchie volte l'anno scorso, anche prima di rientrare nella Roma. Ho ritrovato anche il professor Trancanelli, che fa ancora il dirigente accompagnatore della Primavera, come ai miei tempi, e mi ha fatto un grandissimo piacere».
Spalletti lo incontra spesso?
«In questo periodo sì, due chiacchiere ce le facciamo sempre, ma ci eravamo già incontrati parecchie volte quando giocavo. Io seguo i suoi allenamenti, cerco di osservare i suoi modi di fare, i consigli che dà ai giocatori: sono molto importanti per il mio lavoro, cerco sempre di imparare qualcosa. Già dalla scorsa stagione adotto il suo stesso schema, il 4-2-3-1, anche se poi spesso diventa un 4-4-2 mascherato, con uno dei tre che va a fare il secondo attaccante e gli altri due che si trasformano in esterni di centrocampo».
È mai venuto a vedervi giocare?
«Spero che possa farci presto questo onore. Non gliel'ho voluto chiedere, ma lui è una persona perbene e me lo ha già promesso».
Quanti anni era stato nelle giovanili della Roma?
«Otto. Ero entrato che ero bambino, avrò avuto nove o dieci anni: venivo dalla Polisportiva Bufalotta. Ci allenavamo al Tre Fontane, poi siamo passati a Trigoria. In primavera come allenatori ho avuto Benetti, Santarini e Spinosi; con il primo abbiamo anche vinto uno scudetto. Era una squadra molto forte, con tanti ragazzi che sono arrivati in serie A: Desideri, Di Mauro, Baldieri, Tovalieri. Spesso giocavamo al Flaminio. Avevo vinto anche uno scudetto con gli Allievi Nazionali. Ho fatto la preparazione in prima squadra ai tempi di Eriksson e Clagluna, parecchie panchine in serie A, ma non ho mai giocato neppure un minuto, neppure in Coppa».
Dicono sia stato il suo rimpianto più grande.
«Probabilmente sì. Sono andato a giocare in serie C, con la Reggiana; dopo due anni la Roma mi ha lasciato e sono stato costretto a ricominciare quasi da zero, faticando tantissimo per risalire. È stato un addio molto doloroso, non sono stato trattato nel modo migliore: tutti mi dicevano che ero uno dei giocatori più interessanti del settore giovanile, non so spiegarmi perché finì in quel modo. Anche perché, per arrivare dove sono arrivato, sul piano dell'impegno e della professionalità credo di essermi comportato in modo perfetto. Ma ho sempre detto che il calcio è strano: quando meno te lo aspetti può regalarti grandi soddisfazioni. Il motto di non mollare mai è sempre valido, cerco di trasmetterlo anche ai giovani che alleno. La mia storia può essere d'esempio: ho fatto alcuni anni importanti al Padova, in serie B, e mi ha preso la Juventus. Una grandissima soddisfazione, anche se, e spero che non si offenda nessuno, da vecchio tifoso della Curva Sud era una squadra che odiavo dal punto di vista sportivo».


Come è stato accolto alla Juventus un giocatore che veniva dalla serie B?
«Qualche pregiudizio c'era, ma d'altronde la mia carriera si è svolta quasi tutta al Nord, e ormai ci ero quasi abituato. Alcuni compagni ed alcuni suoi colleghi tiravano fuori la vecchia storia che i romani non avevano voglia di lavorare, e la cosa sinceramente mi dava un po' fastidio. Le mie caratteristiche erano ben precise, per fortuna alla fine il campo parlava sempre».
E a Roma un giocatore della Juventus come veniva accolto?
«Purtroppo qui a Roma, anche per il mio modo di giocare, mi ero attirato parecchie antipatie. Spesso quando venivo a giocare mi davano del traditore, una parola che mi seccava perché la verità non era quella. Io avevo fatto fortuna a Torino solo perché a Roma non avevano creduto in me».
Senza contare che lei della Roma era tifoso.
«A quei tempi con la primavera giocavamo di domenica mattina, mangiavo un panino e andavo allo stadio. In Curva Sud, anche se noi del settore giovanile avevamo le tessere per entrare in tribuna. E chiaramente quando sentivo fischi e insulti contro di me mi dispiaceva pensando che fino all'altro giorno stavo lì con loro. Io nel gruppo storico ho tantissimi amici, loro sanno che sono sempre stato romanista, che facevo parte del Vecchio Cucs. Con qualcuno sono rimasto in rapporti anche negli anni migliori, ci vedevamo quando tornavo a Roma. Ma non potevo certo pensare che mi difendessero, che facessero in modo che gli altri la smettessero di fischiarmi. Fa parte del calcio, in campo mi vedevano come un giocatore juventino. Ma se devo dire la verità mi dava fastidio lo stesso».
Quanto è stato vicino a vestire di nuovo la maglia giallorossa?
«Parecchio, e in varie occasioni, a partire dagli ultimi anni con la Juventus. Sono stato avvicinato parecchie volte, ci siamo sentiti spesso con il mio procuratore. Mazzone mi stimava molto, la volta che ci sono andato più vicino in assoluto è stato Capello a dire di no, non ricordo di preciso se era il 2000 o il 2001».
Se era il 2000 le ha fatto perdere la possibilità di vincere lo scudetto a Roma.
«Non è quello: già vestire quella maglia per me sarebbe stata una gioia, come dieci scudetti. Avevo superato la trentina, ma ho giocato ancora per molti anni; sono sicuro che avrei potuto fare benissimo. Capello non mi ha voluto, ha preferito Fuser. Diceva che un altro romano sarebbe stato un problema. Mi ci sono scontrato per una vita con questi pregiudizi, e li ho ritrovati proprio a Roma. Ma poi da che pulpito...».
E invece è rimasto a Firenze.
«A parte quello per Roma, l'amore per Firenze è stato enorme. Purtroppo alla fine mi sono sentito umiliato, avevo fatto tanti sacrifici ed hanno preferito altri a me. Venivo dal Mondiale in Corea e sono sceso in C2, sono stato il capitano della rinascita, siamo risaliti ed ho fatto l'ultimo anno in serie A. Mi aspettavo la riconferma, anche di entrare in società, ma i signori Della Valle non hanno mantenuto le loro promesse. Professionalmente è una città che mi ha dato molto, anche per il mio modo di fare: io sono uno che si affeziona molto alle maglie. Sicuramente Firenze più di Torino, con tutto che lì ho vinto tantissimo».
Non ha un buon ricordo della Juventus.
«Non è stato bello come ci siamo lasciati. Sei anni, e alla fine hanno preso un giocatore al mio posto e mi hanno congedato. Puntarono su Bachini, che alla fine non è che abbia combinato poi molto a Torino, e mi dissero che a trentadue anni ero vecchio. O meglio, neppure me lo dissero apertamente, me lo fecero capire. Da allora ho fatto altri quattro anni di serie A, la Champions League in maglia viola ed un Mondiale a trentasei anni. Diciamo che nella mia carriera nessuno mi ha mai regalato niente, mi sono sempre guadagnato tutto sul campo. Questa è la mentalità che voglio inculcare ai miei giocatori, di comportarsi da protagonisti seri, visto che indossano una maglia importante».
Domanda personale, veda lei se vuole rispondere. Che effetto le fa vedere suo figlio Lorenzo con i Pulcini della Roma?
«È uno dei più piccoli, uno dei tre '97 in un gruppo di '96. Io non volevo che venisse, mi sembrava troppo piccolo; Stefanelli ha insistito tantissimo. Ma sono contento che possa crescere in un ambiente sano come quello della Roma: viene qua con entusiasmo e lavora con un mister come Baroni, che tiene molto all'educazione, al fatto che i ragazzi vadano anche bene a scuola. Lo stesso ambiente che avevo trovato io. La società ha sempre tenuto parecchio all'istruzione, oltre che al lato calcistico; basti pensare che il dirigente della primavera, Trancanelli, è un professore, uno che si occupa molto di queste cose. Qui ci sono cresciuto, il fatto che ci abbia portato mio figlio è la dimostrazione che è un ambiente nel quale ho la fiducia più totale».