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TMW RADIO - Scanner: "Il sistema calcio ha bisogno di interventi strutturali”

TMW RADIO - Scanner: "Il sistema calcio ha bisogno di interventi strutturali”TUTTO mercato WEB
venerdì 24 novembre 2017, 19:112017
di Giulio Dini

Scanner: Oltre il calcio giocato, oltre il calcio parlato, oltre la semplice apparenza... con l'avvocato Giulio Dini e Francesco Benvenuti. Ospite Marco Iaria e Marco Bellinazzo.

Dal commissariamento della Figc, allle parole di Malagò, ai tanti effetti collaterali a seguito dell'uscita dell'Italia dai Mondiali.

CRISI delle serie minori nel nostro calcio
"Parliamo di crisi perché la Serie B conta molte squadre che fanno fatica ad arrivare infondo all'anno, effettivamente i contributi che percepiscono dalla Serie A non sono sufficienti, salvo il paracadute alle retrocesse, che si trasforma comunque in un bonus notevole per permettere di nuovo la scalata per la Serie A. La Serie C è diventata ormai da tempo una categoria in gravissima sofferenza che vede troppe squadre sparire. Abbiamo visto squadre di grandissimo nome per la categoria ed importanza, come Venezia, Siena, Como, Maceratese, Mantova, Messina. Negli ultimi 5 anni sono 9 i club che hanno salutato la categoria e per questo si parla di crisi”.

La Lega Pro prevedeva allora due livelli, prima divisione e seconda, si è trasformata in una lega unica, ma dai dati credo non sia bastato e non basti per andare avanti, come ha dimostrato il caso ultimo questo anno.
“Il Modena credo sia stato un fuoco di paglia perché la riduzione da 90 club a 60 facendo una serie unica, eliminando la distinzione tra serie C1 e C2, ha portato un miglioramento solo il primo anno: si era passati dai 7 fallimenti del 2013/14 ai 4 de 2014/15, quasi il 50% in meno ma poi la situazione è nuovamente precipitata e siamo tornati alle 8 non iscritte del 2015 alle 5 del 2016 e le 6, compreso il Modena in itinere di questa stagione sportiva. Questo è un sistema che ha bisogno di interventi strutturali”.

Dove deve andare a pescare un club di Serie C per sopravvivere in un campionato di fatto che ha portato 6 squadre l'anno in media a lasciare la compagnia...?
“Vediamo cosa si sta facendo, cioè come le istituzioni pensano di poter affrontare il problema, l'intervento strutturale e che dovrebbe essere affrontato dal mio punto di vista , riguarda lo status del calciatore: i veri costi per i club sono l'organico, la prima squadra,sono costi elevatissimi a cui non possono far fronte gli introiti che possono derivare dal numero degli spettatori o dalle sponsorizzazioni. Salvo poche realtà, il calcio è popolato da club che rappresentano piccole città o cittadine ed è chiaro che non è possibile contare su introiti significativi, si parla di una media spettatori di 1000 e in molti casi è una previsione generosa”.

"La commissione grandi rischi è una commissione voluta dal presidente Carlo Tavecchio ed è composta da giuristi, magistrati, giornalisti, operatori del mondo del calcio, con l'incarico di curare gli aspetti deboli di questo sport e non solo, il problema della sopravvivenza delle categorie minori, ma anche l'affermazione del calcio femminile, gli episodi di violenza, la regolarizzazione contabile dei club nella gestione corrente. Sull'efficienza della commissione ognuno può avere la sua opinione. Dal mio punto di vista la commissione è uno strumento “per dire abbiamo dei problemi, lo so li siamo monitorando ma non li affrontiamo”. La commissione serve per poter sostenere di averci pensato a tempo debito, con questo non voglio esprimere un giudizio su quello che è stato l'operato del presidente federale, perché sicuramente il segnale è positivo, ma adesso il calcio ha bisogno di provvedimenti”.

Qual è la proposta per riformare?

“La commissione ha ipotizzato una proposta che parte della Serie A, che vede una riduzione della massima serie a 18 squadre, una riduzione ancor più corposa di Serie B a 18 squadre, precedendo il nome di B1 e la creazione di una B2 a 36 squadre due gironi da 18 e la creazione di una nuova categoria l'Elite, una categoria ibrida e intermedia, per poi andare al vero e proprio campionato dilettanti divisa in 162 squadre. L'idea forte è quella ridurre il numero dei partecipanti ed individuare una categoria una zona grigia di passaggio tra quello che è il dilettantismo e quello che è il professionismo. Credo quasi che questa Serie D possa, diciamo, con una regolamentazione diversa, essere quella che la commissione ha denominato Elite”.

Marco Iaria della Gazzetta dello Sport
“Una riduzione dei club professionistici indipendentemente dalle modalità è indispensabile, perché il sistema così come è concepito non è sostenibile, lo dicono i numeri crudi dei bilanci, basti pensare che tra A, B e Serie C la perdita si attesta sui 600 milioni di euro all'anno. Una perdita consistente che poi anno per anno deve essere ripianata dagli azionisti. Lo dicono le esperienze che vivono in prima persona i tifosi, con squadre che spariscono, se prendiamo per esempio gli ultimi 30 anni ne sono sparite circa 170, gran parte concentrare in Lega Pro. E' un problema questa serie, diciamo il nodo visto anche l'ultimo caso del Modena delle ultime settimane. Il sistema è banale, le risorse che attualmente produce il sistema calcio, derivano dai diritti Tv della Serie A, adesso arrivati ad 1 miliardo e 300 milioni all'anno e poi a cascata si riflettono sulle altre categorie sul concetto della mutualità, queste risorse non bastano per garantire la sopravvivenza e la sopravvivenza aziendale di tutte le società professionistiche che non riescono ad auto alimentarsi con fonti proprio come lo stadio e il commerciale. Visto che all'orizzonte non si prevede una crescita del fatturato, se non quella tendenziale di tutto il mercato, non c'è alternativa alla riduzione dei club. Un paniere più ridotto di club, consentirebbe una redistribuzione delle risorse in modo che tutto sia più sostenibile. Ovviamente queste risorse devono essere elargite a progetto e non ha pioggia, il nodo sta qui, perché l'altro elemento è la crisi di talenti che sta attraversando il calcio italiano, derivante dal fatto che in proprio in un era di boom dei diritti televisivi, con derivante pioggia di denaro arrivata nelle casse delle società, le stesse società hanno avuto una visione miope se non in rare eccezioni, non hanno convertito queste entrate in investimenti a lungo termine che non fossero per pagare i trasferimenti o gli stipendi dei calciatori. Il risultato è la crisi di talenti, una non capacità di far crescere i talenti che arrivano dai settori giovanili, e che possano continuare a crescere in un ambiente competitivo. La Gazzetta tra le dieci proposte che ha lanciato per cambiare il calcio italiano dopo l'eliminazione degli azzurri, si spenda per la creazione di squadre B, seconde squadre di quelle di Serie A da collocare idealmente in Serie C.
Il campionato di Serie C bisognerebbe farlo passare dai 60 club a 40 per il ragionamento che facevo prima. Questo percorso dovrebbe essere accompagnato contestualmente da una riduzione di club di Serie A e B. Poi gli standard di iscrizione ai campionati dovrebbero essere elevati, basta deroghe sugli stadi anche a rischio di sacrificare realtà che si sono conquistate sul campo una promozione. Le società vanno disciplinate, è vero che il calcio è diventato un business, un'industria che produce complessivamente 3,7 miliardi di euro l'anno, però che è un'industria di interesse nazionale, con una componente pubblica non irrilevante. Non ha una gestione imprenditoriale, si pensa al vantaggio presunto immediato, senza pensare che nel medio o lungo termine ci possano essere vantaggi maggiori. Manca questa lungimiranza. C'è una norma che obbliga le società e reinvestire nei vivai il 10%, ma degli utili e per tante società sono una chimera e invece dovrebbe essere sull'imposta del fatturato e lì ci sarebbe la certezza assoluta di investimenti in maniera considerevole sui vivai e alle infrastrutture, non solo stadio ma i centri di allenamenti, alla formazione, quello che serve alle società per trasformarsi in aziende”.

Dini: “C'è una norma in Francia nella distribuzione dei diritti televisivi, fa riferimento in quota percentuale a quelli che sono stati gli investimenti nelle strutture, io semplificherei la cosa, destinando una percentuale di quanto viene riconosciuto ai club ala creazione di strutture”.