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Inter, il falco e il serpente. Icardi non basta per parlare di scudetto

Inter, il falco e il serpente. Icardi non basta per parlare di scudettoTUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Mascolo/PhotoViews
lunedì 20 novembre 2017, 08:302017
di Alessandro Rimi

No, non parlate di scudetto. Ieri sera davanti ai 52.177 spettatori presenti a San Siro, l’Inter si è presa lo sfizio di scavalcare la Juve (k.o. a Marassi), portandosi a quota 33 punti in graduatoria. Tradotto: secondo posto in solitaria. Ma, per favore, non parlate di scudetto. Piedi per terra, testa bassa, umiltà. Sempre ieri sera, dentro ad un’arena leggermente fresca, l’Inter ha portato a casa la decima vittoria in questo campionato, la sesta al Meazza, allungando la sua imbattibilità a quindici turni. In casa, ad oggi, anche meglio dei quattro scudetti griffati Mancini-Mou. Eppure, siate cauti, volate basso, non parlate di scudetto. In seguito alle tre pause post-nazionale, battute Spal (2-0), Milan (3-2) e Atalanta (2-0). Scorsa stagione, in quattro gare dopo le soste, sono arrivate una vittoria, un pareggio e due sconfitte al Meazza. Impercettibile inversione di rotta, tuttavia, qualora non fosse chiaro, si consiglia forte prudenza e si suggerisce di non parlare di scudetto.

La prestazione dei nerazzurri contro l’Atalanta di Gasp, rientra in un disegno molto più grande di quanto si possa pensare. Un lavoro che mago Spalletti ha iniziato da tempo e che, forse, con buona probabilità, nemmeno lui pensava potesse assumere contorni tanto dolci. Quando arriva la comunicazione dell’undici ufficiale scelto da Lucio, quasi non lo guardi. Tanto è sempre lo stesso. Tanto non cambia nessuno. E invece no. Questa volta, Lucio, fa una piccola modifica che, a caldo, non si comprende appieno. Ad essere onesti neppure a freddo, ma al triplice fischio guardi Santon, ci pensi e dici che in fondo, escluso qualche testardo tentativo di emulare Ronaldo - il fenomeno - quello che doveva fare lo ha fatto. Anzi, non male per uno che nell’ultimo anno ha giocato da titolare soltanto in un’occasione.

Nel primo quarto d’ora e, in generale, per tutto il primo tempo, l’Inter appare leggera, commette un’infinità di errori di impostazione, viaggia quasi esclusivamente in orizzontale. Gagliardini è lo specchio di ciò che si vede: distrazioni a gogò e atteggiamento di chi vuole correre, ma non troppo. Quando Candreva arriva poi a pestarsi i piedi con Vecino, sconfessando ogni principio tattico “spallettiano”, ci si rende conto subito che no, così non va. Nondimento, per la sesta gara di fila (la decima dall’inizio del torneo: dati Opta), i soldati del tecnico di Certaldo vanno in pausa a porta inviolata. Insomma, anche quando gira male, questi qui trovano comunque il modo di farti stare relativamente zitto e guardare con eleganza al futuro prossimo.

E nel secondo tempo, proprio mentre te ne stavi lì a rimuginare sulle tre occasioni vanificate da Icardi, la musica cambia fino a lambire toni vertiginosi. La Beneamata torna in campo arrabbiata, cattiva, cinica, verticale: semplicemente squadra. Come? Te ne accorgi subito. L’ex tecnico della Roma abbassa Borja Valero e compone una linea di centrocampo a tre, con Vecino libero di lanciarsi in progressione. Perisic ripiega da Dio, Skriniar fa a sportellate con chiunque, D’Ambrosio diventa un treno diretto e Icardi, fino a quel momento fallimentare sotto porta come la gente normale, prende coscienza delle sue origini aliene e torna ad essere lui. Il serpente, il falco, l'animale d’area di rigore, insomma. Uno che non si accontenta di fare gol e basta. All’Atalanta non segnano da palla inattiva? Bene: pennellata di Candreva calibrata al millimetro, Toloi a vuoto, e Maurito fa 90 (gol). Prende l’ascensore e infila Berisha da giustiziere puro. Nove giri d’orologio dopo, copia-incolla con traversone gentilissimo di D’Ambrosio e il caso è chiuso. Ora Mario Corso è a meno tre nella classifica all time dei marcatori nerazzurri. Roba da impazzire se si guarda la carta d’identità dell’argentino. I dati dicono che fa un gol a partita: 13 su 13, tutti in area di rigore. Mostruoso, impressionante, letale.

Spalletti si sbarazza dell’Atalanta dopo nove anni. Che va bene la parentesi allo Zenit, ma è comunque un tempo infinito. Ora sa bene che il calendario gli è favorevole: arrivano Cagliari e Chievo prima del big match del 9 dicembre con la Juventus a Torino e, a maggior ragione, non si può e non si deve sbagliare. La vittoria sulla Dea è un tornado di piacere. Perché avanti di due reti la squadra, per la prima volta dopo un tempo incalcolabile, ha saputo gestire da grande. Con la convinzione d'essere superiore al suo avversario sotto tutti i punti di vista. Forte di un obiettivo comune, di una voglia comune e di un cammino condiviso da tutti. Pure da chi non sta trovando spazio. È in arrivo una seconda competizione che, fin dai primordi, rischia di stravolgere i ritmi, con tanto di derby all’orizzonte. A quel punto, sottolinea saggiamente il tecnico, “la rosa va allungata”. Quella rosa che ad agosto ingenerava mugugni, adesso si è fatta protagonista indiscussa dei sogni di molti. A un terzo del cammino, l’Inter è seconda in solitaria a meno due dal Napoli. È imbattuta da quindici turni di campionato e ha pure imparato a non esaltarsi troppo quando non espressamente richiesto o consentito da fattori esterni. Come se non bastasse, là davanti, dimora un essere ancora impossibile da mettere a fuoco. Si sa però che non perdona. Nessuno. E, per adesso, può bastare. Ma non per parlare di scudetto.