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Inter, una maravilla di nome Colidio

Inter, una maravilla di nome ColidioTUTTO mercato WEB
© foto di www.imagephotoagency.it
lunedì 8 gennaio 2018, 08:302018
di Alessandro Rimi

Punta, seconda, trequartista. Veloce, potente, eclettico. Intelligente, umile, iper determinato. Una maravilla. Il nome di Colidio sta emergendo in maniera verticale e neanche troppo sorprendente. Ieri, a San Siro, si è preso da solo la prima Supercoppa Primavera, al termine di due ore frizzanti e cariche di talento, con due gol assolutamente geniali. Non tanto il primo - su ribattuta del portiere della Roma jr - dove di pregevole c’è sicuramente il recupero palla a metà campo e la ripartenza sopraffina, quanto il secondo in rovesciata: un ruggito bellissimo, figlio di una somma di capacità fuori dal normale. Straordinarie, appunto. Da potenziale fuoriclasse.

Alle perle, Facundo, non è nuovo. L’ultima magia l’ha tirata fuori lo scorso novembre contro il Verona, alla prima da titolare con la squadra guidata da Stefano Vecchi. Una giocata decisiva che gli costò pure qualche dolore alla caviglia. Cose che piacciono. Perché quando vivi per buttarla dentro e ti arriva una palla tanto dolce, pensi a tutto meno che a possibili infortuni. Da qui, anche da qui, capisci se un buon giocatore ha la stoffa e la testa per diventare un fenomeno.

Già in primavera il d.s. Piero Ausilio ci vide parecchio lungo. Sul fresco 18enne di Rafaela si stavano da tempo muovendo a fari spenti Juventus (che in estate pareva averlo in pugno), Monaco e Real Madrid. Nel Boca Juniors, club che lo ha formato, segnava gol impossibili. Tanti. Per questo motivo la pretesa era altina - 7 milioni di euro - ma quando vedi il talento, quello vero, bisogna saper osare. E quando tutti a giugno lo vedevano in bianconero, l’Inter e l’agente Giuffrida si sono fiondati dalla famiglia della “Joya”, peraltro di origini campane, con l’intenzione di presentare loro soldi e progetto. Evidentemente Ausilio deve averli convinti in fretta. Come da tradizione.

In fondo l’Inter per gli argentini ha sempre avuto un debole. Da Angelillo (scomparso due giorni fa) a Massei, passando per Zanetti, Simeone e Crespo, fino ai più recenti Cambiasso, Milito e Icardi. A San Siro i piedi latini hanno sempre - o quasi - lasciato il segno. E Colidio può e deve essere uno di questi. Lo avrà pensato anche Steven Zhang che con i suoi stessi occhi ha potuto osservare da vicino quanto ben di Dio offre la Primavera nerazzurra. Emmers e Odgaard sono molto più che pedine utili al futuro, agognato, surplus tanto caro a Sabatini. Sugli elementi di classe bisognerebbe puntarci forte, a prescindere da tutto. Quantomeno provarci. Che non vuol dire buttarli dentro in prima squadra, nei due minuti finali di una giornata storta, ma piuttosto crescerli, studiarli e accompagnarli verso la strada che porta all’Olimpo.

Troppo spesso questo percorso non esiste neppure. Se esiste, prima o poi, finisce per interrompersi precocemente. Il caso Coutinho ne è una dimostrazione lampante e terribilmente amara. D’accordo che col senno di poi siamo tutti apostoli, ma se uno è forte lo è prima e pure dopo. In breve: chi ha gestito il brasiliano ha fallito miseramente. Nelle casse nerazzurre, tra cessione (al Liverpool) e percentuale (post passaggio al Barcellona), sono finiti circa dodici milioni di euro. Nel frattempo si cerca il prestito di Deulofeu perché a Spalletti manca uno che inventi e faccia gol. Paradosso. Guardando all’altra sponda di Milano, mai i rossoneri avrebbero regalato fiducia e presenze a Cutrone, in uno stato diverso rispetto alla profonda crisi degli ultimi anni. Paradosso anche questo laddove, guardando ai grossi club italiani, le risposte del giovane bomber suonano come schiaffi perentori all’attuale gestione dei baby.

Citando Vecchi nel post-partita, il Meazza ha fatto da palcoscenico all’«espressione del miglior calcio giovanile italiano». Farci un pensierino potrebbe rivelarsi cosa buona e giusta. L’Inter necessita più dei Coutinho e meno, molto meno, dei Gabigol e delle relative presentazioni in stile Ronaldo (il fenomeno). Nessuno sconfessi i principi del marketing, sale del business che ruota attorno ai club di calcio, oramai catalogati appieno come aziende avveniristiche. Nondimeno in campo servono i campioni, figure assai distanti dai Joao Mario e dai Brozovic. Espressioni come quelle dipinte sul viso di Colidio, appena dopo i suoi centri alla Scala, non si vedevano da tempo. Sono espressioni che, tradotte, parlano di passione e divertimento. Di sentimento verso quello che è lo sport più bello del mondo. E oggi, molto più di ieri, il sentimento può persino battere le plusvalenze.