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La FIGC, Lippi e il conflitto d'interessi: le norme e la possibile via d'uscita

La FIGC, Lippi e il conflitto d'interessi: le norme e la possibile via d'uscitaTUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
martedì 7 giugno 2016, 16:152016
di Ivan Cardia

Marcello Lippi e la FIGC: un matrimonio che rischia di saltare per il possibile conflitto d'interessi tra la posizione dell'ex ct e quella del figlio. Se Lippi senior è stato infatti individuato dal presidente Tavecchio come nuovo direttore tecnico azzurro, il figlio Davide è da anni un agente di primo livello, fra i cui assistiti figura, tanto per fare un nome legato alla Nazionale, quello di Giorgio Chiellini. Una situazione spinosa, tanto che Giancarlo Abete, ex presidente FIGC e oggi vicepresidente UEFA, ha reso nota la richiesta di un parere alla Corte di Giustizia Federale, organo di secondo grado della giustizia sportiva. Un passo quasi dovuto, perché il problema è l'oscurità della normativa da interpretare.

Le norme - Fino al 2015, la normativa sugli agenti di calciatori era appannaggio della FIFA, che gestiva l'esame di accesso alla professione e dettava le regole generali in materia. Dal 1° aprile 2015, la figura professionale dell'agente di calciatori, in nome di una liberalizzazione del settore, è in pratica scomparsa. Niente più esame, niente più necessità di quello che veniva definito "patentino". Le singole federazioni nazionali hanno dovuto a quel punto legiferare in materia e la FIGC lo ha fatto con il Regolamento per i servizi di procuratore sportivo, emanato il 26 marzo 2015. Il cui art. 3, rubricato "principi generali", al comma secondo recita così: "Non possono svolgere l'attività di Procuratore Sportivo i tesserati della FIGC, dirigenti, calciatori o tecnici, e comunque tutti coloro che ricoprano cariche o abbiano rapporti professionali o di qualsiasi altro genere nell'ambito della FIGC o delle società ad essa affiliate". Una norma dettata per i procuratori sportivi e qui vi è il primo punto di chiarire: il conflitto d'interessi, nel caso fosse ravvisato, non ricadrebbe sulla nomina di Marcello Lippi a dt, quanto sulla possibilità per suo figlio Davide di continuare a esercitare la procura di calciatori. Legati o meno all'azzurro: l'articolo non fa alcun riferimento alla nazionalità o al numero di convocazioni degli assistiti, questo è abbastanza chiaro. Come sono chiare anche le relative sanzioni, elencate dal successivo art. 9 comma secondo: "Per le violazioni di cui al presente regolamento, il Procuratore Sportivo è passibile delle seguenti sanzioni disciplinari: sospensione dal Registro per un periodo determinato fino ad un massimo di un anno; cancellazione dal Registro e preclusione da ogni successiva iscrizione in caso di cumulo di violazioni che abbiano comportato la sanzione definitiva della sospensione per un periodo complessivo superiore a tre anni, calcolato in un arco temporale di cinque anni".

Cosa non è chiaro - Tutto il resto, per cavarsela con una battuta. Il problema riguarda la parte finale dell'articolo succitato, laddove esclude dall'esercizio della professione di procuratore sportivo "tutti coloro che ricoprano cariche o abbiano rapporti professionali o di qualsiasi altro genere nell'ambito della FIGC o delle società ad essa affiliate". Tutto fuorché cristallino, ma andiamo con ordine: Davide Lippi, ovviamente, non ricopre alcuna carica all'interno della FIGC o di altre società a essa affiliate, né la ricoprirebbe in futuro. Cosa vuol dire avere "un rapporto professionale o di qualsiasi altro genere nell'ambito della FIGC"? Tutto e niente: Davide Lippi non ha o comunque potrebbe non avere senza grosse difficoltà alcun rapporto professionale col padre Marcello. Per quelli di "qualsiasi altro genere", è tutta un'altra storia. E il peso di Lippi sulle scelte in sede di convocazione pesa poco o nulla: se "nell'ambito della FIGC" viene interpretato come relativo a rapporti familiari con membri della FIGC, la famiglia Lippi si troverebbe davanti a una scelta. O il figlio cambia del tutto lavoro, o il padre deve dire addio al ritorno in azzurro. Sarebbe un'interpretazione estensiva, forse dovuta perché la norma è oggettivamente scritta male, ma soprattutto rischiosa. Perché il riferimento anche alle "società affiliate" alla FIGC coinvolge in teoria qualsiasi club calcistico italiano. E il problema a quel punto non riguarderebbe soltanto Lippi, ma anche un numero abbastanza ampio di agenti.

Cosa succederà - Il parere più autorevole, l'unico che valga davvero la pena sentire, arriverà dalla Corte di Giustizia Federale. Difficile credere che lo staff attuale della FIGC, che peraltro ha scritto la disposizione di cui si discute, non abbia immaginato uno scenario simile. La norma, proprio perché scritta male, lascia qualche margine di manovra: per quanto cavilloso possa sembrare, "rapporti di qualsiasi altro genere nell'ambito della FIGC", non allude necessariamente a rapporti personali con membri o tesserati della FIGC. Se sarà questo il responso o meno, è ancora presto per dirlo. Al momento, l'arrivo di Lippi resterà in stand by per qualche tempo: lo scenario è tutto fuorché chiaro, ma la fumata bianca non è da escludere del tutto.