Le parole di Malagò e la coscienza di Tavecchio
Giovanni Malagò ha parlato da uomo di sport. Da dirigente vero. A schiena dritta, senza timore di snocciolare verità scomode per qualcuno, chiare e necessarie per altri. Anzi, per molti. Perché specifica, il numero uno del Comitato Olimpico Nazionale Italiano, che "non ci sono strumenti procedurali e giuridici per commissariare la FIGC e Carlo Tavecchio". Poi, però, parla anche di "diritti e doveri sportivi" e di "coscienza". Quella che avrebbe dovuto portare il numero uno della Federazione calcistica italiana a dimettersi già, al triplice fischio di Italia-Svezia.
La gestione Tavecchio ha lati positivi, è innegabile. Ma il calcio vive di risultati e l'Italia è fuori dal Mondiale, per la prima volta dal '58 e allora c'erano solo sedici squadre nella massima kermesse intercontinentale. L'Under 21 continua a non conseguire risultati ed è ancora fuori dalle Olimpiadi. Il calcio femminile è lontano anni luce dalla dimensione raggiunta da altre nazioni e le Leghe di A e B sono ancora senza presidente.
Quella di Carlo Tavecchio è una gestione fallimentare e la punta dell'iceberg raggiunta a San Siro è la goccia che deve far traboccare il vaso. Malagò ha usato parole dure, durissime. Nette e settarie. "Fossi in lui mi dimetterei ma è padrone del suo destino e di assumersi le responsabilità della propria scelta", ha detto. "Se riterrà di essere l'uomo opportuno per portare avanti il nuovo corso della FIGC, farà altrettanto". L'addio al Mondiale di Russia 2018 dovrebbe dare, da solo, la giusta risposta.