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Piqué intervista Buffon: "Da grande studierò da dirigente e allenatore"

Piqué intervista Buffon: "Da grande studierò da dirigente e allenatore"TUTTO mercato WEB
© foto di Daniele Buffa/Image Sport
mercoledì 16 maggio 2018, 21:002018
di Michele Pavese

Alla vigilia della conferenza stampa in cui Gigi Buffon potrebbe annunciare l'addio al calcio, il portale The Players Tribune riporta una particolare e simpatica intervista del difensore del Barcellona Gerard Piqué al numero uno della Juventus. Ecco cosa si sono detti i due fuoriclasse.

Come è nato il tuo amore per lo sport?

"Vengo da una famiglia molto sportiva e inevitabilmente ho capito che fosse quella la mia strada sin da piccolo. Mio padre e mia madre sono stati nazionali di atletica, le mie sorelle hanno giocato a volley e una, a differenza mia, ha vinto la Champions. Ho cercato di farmi valere in mezzo a questa famiglia di sportivi, di far capire di poter fare qualcosa di buono. Poi ho avuto la fortuna di scoprire il calcio e il ruolo di portiere".

Qual è il primo ricordo che ti lega al calcio?

"Avevo quattro anni, era il periodo dei Mondiali del 1982, quelli vinti dall'Italia. Ricordo che non seguivo tanto le partite perché ero troppo piccolo, ma rivedo tutte le persone in sala riunite a vedere e tifare la Nazionale in modo trepidante. Io giocavo in terrazzo e mi divertivo mentre loro esultavano e si disperavano".

A Parma, che all'epoca era una squadra importante, hai esordito contro il Milan. Ricordi che sensazioni hai provato?

"Il Parma negli anni '90 era una delle squadre migliori d'Europa. Vinse due volte la Coppa Uefa e una la Coppa delle Coppe. Quella contro il Milan era una partita importante, eravamo primi a pari punti con loro, che avevano in rosa grandi campioni come Baggio, Weah, Savicevic e Maldini. Ho saputo che avrei giocato la mattina della partita e la cosa bella è che non ricordo di aver avuto paura. Ero felice perché avevo la possibilità di farmi conoscere al mondo, far vedere la mia bravura. In quel momento la felicità superava la paura".

Com'è stato, invece, il tuo debutto in Nazionale?

"Il CT Cesare Maldini mi aveva già chiamato 5-6 volte ma non avevo avuto la possibilità di giocare perché c'erano portieri come Peruzzi e Pagliuca. Ricordo che era lo spareggio per il Mondiale in Francia, Russia-Italia, a Mosca. Dopo 25' Pagliuca subì un colpo e chiese la sostituzione: in quel momento non ero felice, perché il campo era pieno di neve e la partita era importantissima. Comunque sono entrato in campo nel giro di 2 minuti e per fortuna sono entrato subito in partita perché feci una grande parata sulla sinistra dopo cinque minuti. Questo mi ha aiutato. C'è grande orgoglio per essere stato uno dei tre ad aver disputato 5 Mondiali. La strada è stata lunga e solo io so quanta fatica ho fatto a restare a questi livelli. Ci vuole talento ma anche tanta fatica, voglia e passione. Ci sono stati momenti di sofferenza, ma alla fine sono arrivate gratificazioni. Ho partecipato a Mondiali in tutti i continenti, ma avrò il rimpianto di non essere riuscito a giocare il sesto. Sarebbe stato speciale, però bisogna sapersi accontentare. Evidentemente non sono stato abbastanza bravo".

Il momento più alto sicuramente è stato nel 2006.

"È stato un momento speciale per noi italiani. Al di là della vittoria, è stato bello per quello che abbiamo vissuto: in Germania ci sono tanti emigrati italiani e ci hanno fatto sentire sempre come se giocassimo in casa. Se ripenso alla tensione vissuta nella semifinale contro la Germania, sto male. Credo che un uomo non possa essere capace di gestire così tanta tensione, ma alla fine ce l'ho fatta. Dopo la partita di Dortmund pensavamo di aver vinto, siamo stati dei pazzi: a 12 anni di distanza, quando riguardo la rosa di quella Francia, capisco che erano fortissimi, ma noi ci sentivamo già campioni. L'entusiasmo della semifinale vinta ci portò a pensare di poter superare facilmente qualsiasi ostacolo, non avevamo più paura di nessuno. In finale ho avuto meno tensione paradossalmente, anche se ho dormito solo due ore. Emozioni forti, che fai fatica a gestire. Dopo la vittoria del Mondiale non riuscivo ad essere felice totalmente, la gioia è arrivata dopo".

Dopo quella vittoria il livello del calcio italiano è calato. Quali sono le cause?

"Sicuramente qualcosa si è inceppato. Non posso credere che l'Italia non riesca più a produrre e a creare talenti come un tempo. Quando sono andato in Nazionale le prime volte c'erano Baggio, Del Piero, Totti, Montella, Inzaghi, Vieri, un numero inimmaginabile di giocatori forti. Da dieci anni l'Italia è solo una buona squadra, che non riesce a sfornare lo stesso numero di talenti. Così si fa fatica a vincere e a fare risultati. L'orgoglio e il senso di appartenenza ci hanno permesso di reagire dopo i fallimenti del 2010 e 2014, riuscendo a giocare molto bene gli Europei".

La Serie A sembra meno competitiva di un tempo.

"Ci sono campionati come quello francese o spagnolo che hanno sempre esportato tanti giocatori all'estero, ma le Nazionali sono sempre state competitive. Non dipende dai campionati, ma dell'individualità, dal talento. Il campionato forse è di basso livello, il problema è che non produciamo più giocatori forti, che possano andare al PSG o al Real. Non abbiamo giocatori con esperienza, a parte quelli della Juventus. E questo è grave".

Ti sei mai pentito della decisione di scendere con la Juve in Serie B? Ci sono stati momenti in cui potevi lasciare i bianconeri?

"In un primo momento sono stato felice di andare in B. Ci sono uomini e giocatori che hanno la possibilità, attraverso le loro scelte e decisioni, di dare segnali positivi all'esterno, ai tifosi e al mondo dello sport. Era un momento nel quale uno come me doveva dare segnale forte, dovevo mostrare riconoscenza, attaccamento. Non ci sono soltanto popolarità e soldi, ma anche responsabilità. Quello fu un anno "simpatico", mi sono divertito. Poi abbiamo fatto due buoni anni in Serie A, prima di un biennio terribile, dove è venuta meno l'identità. Allora pensai di aver sbagliato la scelta, ma lo dicevo sottovoce perché dovevo mostrare comunque ottimismo. E sono sempre stato convinto che la vita ti ripaghi se ti comporti bene. Quando abbiamo vinto il primo Scudetto con Conte, la felicità è stata enorme. Ma non disputare la Champions per tanti anni è stata dura. Mi sarebbe piaciuta un'esperienza all'estero, mi piace confrontarmi con altri stili di vita e modi di pensare: lo stimolo di provare c'è stato. Ma non volevo abbandonare l'Italia, perché mi piace nonostante tutti i suoi limiti e perché sono un personaggio importante del mondo dello sport".

Chiellini dice che il Buffon migliore lo vedremo nei prossimi anni. Stai pensando o no al ritiro?

"Non ci sono novità. Quando si comincia ad andare avanti con l'età, è giusto valutare mese dopo mese e settimana dopo settimana. Noi dobbiamo essere protagonisti sempre, dobbiamo sentirci bene. Il nostro orgoglio ci impedisce di fare brutte figure. Sono Buffon e voglio esserlo fino all'ultima partita. Sono una persona felice e serena: se continuo, lo farò sapendo di restare in un ambiente sereno, con tanti amici. Se smetterò andrà bene uguale. Sono una persona tranquilla, serena e curiosa: quando smetterò non mi annoierò. Se ti dicessi di non aver paura, forse direi una bugia. L'unico problema sarà abituarsi a fare tutto da solo: finora ho avuto persone che mi organizzavano la vita, domani avrò 24 ore libere e sarà più complicato".

Cosa vorresti fare nel futuro?

"Vorrei studiare, fare corsi formativi per diventare dirigente, direttore sportivo e allenatore. A quel punto sceglierò una strada e andrò dritto".

Senza il calcio saresti stato una persona migliore o peggiore? Cosa avresti fatto?

"Sarei diventato un professore di educazione fisica, seguendo le orme dei miei genitori. Mi è sempre piaciuto stare in mezzo ai ragazzi. Il calcio mi ha reso migliore perché mi ha fatto capire che il gruppo è la cosa più importante, è bello condividere vittorie e sconfitte con altre persone, ti fa diventare meno egoista. Questo è il bello della vita. Quando diventi popolare ci sono aspetti positivi e negativi: finisci sui giornali e vieni criticato per gli atteggiamenti sbagliati, però questo ti porta a migliorarti e a comportarti meglio. Così si diventa una persona migliore".