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Coronavirus: le vite cambiano, lo sport chiude, i numeri spaventano. Ma il nostro avversario è destinato a perdere (il “quando”, però, dipende da noi)

Coronavirus: le vite cambiano, lo sport chiude, i numeri spaventano. Ma il nostro avversario è destinato a perdere (il “quando”, però, dipende da noi) TUTTO mercato WEB
© foto di Alessio Alaimo
martedì 10 marzo 2020, 08:40Editoriale
di Fabrizio Biasin

Ma sì, oggi in prima persona che tanto i formalismi se li porta via il vento.
Dopo 15 anni di editoriali sul calcio scritti con estrema leggerezza (eufemismo, sono un cretino) faccio un doveroso passo indietro: non c’è niente da ridere.
E non ho nemmeno intenzione di parlare di palloni che rotolano, squadre che vincono e perdono, trasferte, partite da recuperare, sogni scudetto che svaniscono, altri ancora in piedi, classifiche e così via.
Scusate, ma davvero non è il momento.
Questo spazio è da sempre parecchio seguito e il merito è di chi l’ha messo in piedi, sua maestà l’editore Andrea Pasquinucci. Oggi va sfruttato per dire una cosa che avete già sentito e vi hanno già detto, ma magari non vi è ancora entrata in testa: state a casa, non uscite, rintanatevi tra le vostre quattro mura. Non è una cazzata detta “tanto per” è una questione di sopravvivenza e, davvero, non è mia intenzione creare allarmismo da quattro soldi, ma tant’è, è così.
Scrivo da Milano e, forse, chi non risiede in Lombardia o in una delle famose “zone a rischio” non ha ancora percepito la gravità della situazione e pensa “sì, ok, ma ora non esageriamo”. E invece no, è proprio il momento di dire le cose come stanno: la faccenda coronavirus è una rottura di balle che non ammette indifferenza, pressapochismo, soprattutto non va d’accordo con l’imbecillità di chi, ancora oggi, pensa di vivere una straordinaria e ampissima “vacanza pasquale”.
Non siamo in vacanza, siamo in stato di emergenza e, per fortuna, chi gestisce le cose a livello sanitario sa quello che fa e lo fa incredibilmente bene. Ecco, magari ci sono più problemi a livello politico, ma per le straordinarie polemiche “un tanto al chilo” ci sarà tempo a virus mandato affanculo (sì, l’ho scritto in francese).
Nel frattempo chiude tutto lo sport, quantomeno quello “di squadra”. Ci ha pensato il presidente del Coni a rompere gli indugi dopo giorni e giorni passati a giocare allo scaricabarile. Ci siamo arrivati tardi, ma ci siamo arrivati (oggi “il calcio” riunito in seduta straordinaria annuncerà lo stop).


Capiamoci, non si tratta solo di tutelare gli atleti ma anche di dare un senso alle cose: in questo momento il calcio e i suoi fratelli non sono e non possono essere un priorità, soprattutto se contribuiscono a lanciare messaggi sbagliati (i contatti forzati, gli assembramenti dei minchioni che non capiscono a che punto siamo, altre cazzate). Molti si domandano: “Se il campionato non termina si assegna lo stesso lo scudetto o si annulla tutto? Chi retrocede?” e davvero in questo momento una risposta non c’è, né ha senso porsela.
Andiamo a concludere. Noialtri italiani siamo fatti bene, la gran parte di noi ha capito quello che sta succedendo e si comporta in maniera sensata (anche perché, diciamolo, ci stanno dicendo di stare a casa, mica di spaccare le pietre nel Sahara a Ferragosto), altri devono lavorare “per forza” e stringono i denti, altri ancora (quasi tutti) stanno perdendo un sacco di soldi ma si mordono la lingua perché “non c’è alternativa”. E poi ci sono i minchioni, quelli che se ne fottono, quelli che rischiano di ammorbare (nel vero senso della parola) gli altri, quelli che pretendono l’aperivirus e la sciata in compagnia. Ecco, se per il Covid19 un vaccino si troverà, per quelli, i fessi, non c’è niente da fare. Del resto ci siamo abituati.
Fine. Portiamo pazienza. Presto torneremo a insultarci come sappiamo per il pallone che rotola, per ora abbiamo un solo avversario, fetente, invisibile e comunque destinato a perdere. Il tempo della “partita” lo decidiamo noi: più stiamo rintanati, prima ce lo leviamo dalle balle. Ciao.
Ps. Vi vedo: non mangiate troppo su quei divani bisunti che poi sono cazzi.

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