La lezione di vita di Jurgen Klopp sul Coronavirus
Jurgen Klopp ha il cappellino da baseball e la barba lunga. Ha la tuta. E' l'uomo di strada con una grande capacità nel suo mestiere, quello di allenatore. Sa gestire gli uomini, sa schierarli in campo. E' un vincente ed è pure simpatico, che non guasta coi tifosi, coi media, col pubblico. Jurgen Klopp, però, cappellino e barba fatta male, è un uomo. Che ha i suoi pregi, i suoi vizi, le sue virtù, e che con queste vive e convive. Coi principi di chi non mette piedi in staffe altrui, di chi non fa invasioni di campo. Nella conferenza stampa di oggi ha dato una lezione di vita a molti, ai tuttologi, a chi crede di poter discernere d'ogni cosa con cognizione e capacità.
A Cesare quel che è di Cesare, a Jurgen quel che è di Jurgen e ai virologi, ai politici, quel che è loro compito. Klopp ha detto che "non importa ciò che ha da dire chi è famoso" e tornano alla mente le parole di pochi giorni fa del professor Giorgio Palù, presidente uscente della società europea e italiana di Virologia. "Una volta si diceva che tutti erano Commissari tecnici della Nazionale di calcio. In questi giorni tutti erano virologi. Parlavano infettivologi, parassitologi, epidemiologici, psicologi, dottorandi e persino soubrette dello spettacolo come Alba Parietti. I virologi, in Italia, sono 200. E non aggiungo altro". Ci vorrebbero più Klopp, più Palù. E meno tuttologi.