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Eriksen: lo shock vissuto a San SiroTUTTO mercato WEB
martedì 15 giugno 2021, 07:22Editoriale
di Gian Luca Rossi
per Linterista.it

Eriksen: lo shock vissuto a San Siro

Ci sono eventi che non ti riguardano direttamente ma ti segnano, al punto che poi ricorderai per sempre dov’eri e cosa stavi facendo nell’attimo in cui si sono verificati. Pensate all’attentato alle Torri Gemelle di New York: a vent’anni di distanza ognuno di voi sa dov’era e cosa stava facendo in quel momento. Dell’arresto cardiaco a Christian Dannemann Eriksen in Danimarca-Finlandia mi ricorderò per sempre, perché la coincidenza che mi riguarda è davvero beffarda. Nello stesso momento in cui il suo cuore si fermava al Parken Stadion di Copenaghen, io giocavo a calcio per beneficenza a San Siro con la Nazionale Artisti TV e una Selezione di Medici per contribuire all’acquisto di defibrillatori, apparecchi salvavita come quello che ha riportato in vita Eriksen.
Per noi dilettanti occasionali del pallone, che stavamo giocando nel Tempio di San Siro felici come bimbi, fin lì era stata una giornata bellissima. Per i miei infortuni pregressi ero stato in campo solo un quarto d’ora con la maglia numero 22 di Diego Milito nel giorno del suo 42° compleanno e avevo pure segnato un gol sotto la Curva Sud, dedicandolo da buon interista alla Curva Nord.
Poi è arrivata la notizia-shock. Ci siamo fermati tutti aggrappandoci ai telefonini per saperne di più. Ho seguito ogni commento sui social, anche di molti colleghi, ma io non me la sentita di scrivere alcun pensiero fino a tarda sera, quando ho smesso di farmela sotto dopo aver constatato che Eriksen si era davvero ripreso.
Eriksen per alcuni interminabili istanti è morto e la prima cosa che mi è venuta in mente è il rischio terribile che corriamo noi ‘dopolavoristi’ giocando a calcio in età da vegliardi, senza preparazione e controlli. Se di morire in campo, perché di questo si è trattato, può capitare anche al professionista iper-controllato e iper-assistito, perdonatemi, ma non c’è più legge, non c’è più scienza che tenga.
Poi Eriksen si è ripreso, ha tranquillizzato tutti e io ho preso a guardarlo come uomo, come sopravvissuto, ma non riesco più ad immaginarmelo come calciatore professionista della mia Inter.
Per me Eriksen è nato due volte: il 14 febbraio all’anagrafe e il 12 giugno. Forse da adesso festeggerà due compleanni. O almeno, così farei io.
Tra le decine di professionisti della cardiologia interpellati, alcuni anche da me a caldo a San Siro, tutti concordano nel celebrare il miracoloso ritorno alla vita dell’uomo, non del calciatore professionista, fino a quando esami approfonditi che dureranno settimane non chiariranno una volta per tutte cosa sia davvero successo al suo cuore.
Al Rigshospitalet di Copenaghen, eccellenza ospedaliera del Paese, circondato dall'affetto della moglie Sabrina e dei genitori, Eriksen ha già cominciato l’interminabile serie di test specifici e a chiedere tempo è prima di tutti il suo amico e agente Martin Schoots.
Tutto il mondo vuole bene ad Eriksen: lo abbiamo capito dalle dediche di tutti i compagni di Nazionale e dell’Inter. Lukaku e Hakimi sono stati addirittura commoventi, seguiti da tanti altri suoi colleghi, uniti nel motto: “Eriksen stay strong!”
Tutti i cardiologi affermano che se Eriksen ha avuto un'aritmia ventricolare importante in Italia non avrà più l'idoneità per giocare. E nemmeno in Inghilterra, ha aggiunto Sanjay Sharma, professore di cardiologia sportiva ed ex medico di Eriksen nei suoi anni al Tottenham.

Il dottor Sharma ha ricontrollato in modo certosino tutti gli esami svolti confermando che nulla, assolutamente nulla, poteva lasciar presagire per Eriksen un evento mortale, perché di evento mortale si è trattato, come quello di Copenaghen.
Anche davanti ad esami tranquillizzanti, quale medico se la sentirebbe di restituirgli l’idoneità per tornare a giocare ad altri livelli?
E in Italia lo screening non è comune a tutte le parti del mondo: da noi i protocolli sono più severi che in qualunque parte del mondo, per fortuna, mi viene da dire.
Un cuore sano, a parere di illustri cardiologi, non va in fibrillazione ventricolare e non accusa aritmie maligne tanto gravi da poter essere fatali. E la vita viene prima di ogni altra cosa. L’elenco degli atleti deceduti in passato a causa di problemi cardiaci è importante: i calciatori Renato Curi, Giuliano Taccola, Piermario Morosini, Miklos Feher, Marc Vivien Foé, Antonio Puerta, Phil O’Donnell, Daniel Jarque, Naoki Matsuda, Bernardo Ribeiro, Patrick Ekeng, Davide Astori. Poi il cestista Luciano Vendemini. Alcuni nomi sono sconosciuti al grande pubblico ma non certo ai medici, perché costituiscono precedenti di riferimento per la cardiologia sportiva. Ma ci sono stati atleti che, pur soffrendo di gravi problemi al cuore, magari anche senza la terribile esperienza dell’arresto cardiaco, sono tornati miracolosamente alla vita: Lionello Manfredonia, Felice Natalino, Fabrice Muamba, David Ginola e Patryk Dziczek, polacco della Salernitana, quest’ultimo per ragioni non eminentemente cardiache, in attesa di un’idoneità mai arrivata. Senza dimenticare Nwakwo Kanu e Khalilou Fadiga, fermati a causa di malformazioni cardiache prima ancora di rischiare la vita in campo. Giancarlo Antognoni subì un arresto cardiaco dopo uno scontro di gioco con il portiere Silvano Martina in Fiorentina-Genoa del 22 novembre 1981 e poi tornò a giocare. Il portiere Iker Casillas è tornato ad allenarsi dopo un infarto ed è rimasto in rosa al Porto per un’altra stagione, anche se non è mai più sceso in campo. Come tutti loro, Eriksen è tornato al di qua della linea della vita, ben più importante di quelle dei campi di calcio.
Per il momento, forse per sempre, va bene così. Ed è già moltissimo!