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Gli eroi in bianconero: Jonathan ZEBINATUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
venerdì 19 luglio 2019, 10:30Gli eroi bianconeri
di Stefano Bedeschi
per Tuttojuve.com

Gli eroi in bianconero: Jonathan ZEBINA

Pionieri, capitani coraggiosi, protagonisti, meteore, delusioni; tutti i calciatori che hanno indossato la nostra gloriosa maglia

«Sono nato a Parigi da padre caraibico e madre francese. I miei fratelli ed io siamo nati nel XIV Arrondissment poi, anche per motivi economici, ci siamo trasferiti nella Banlieue. Il pallone è stato la mia prima passione, fin da quando ero piccolissimo. Ho anche giocato a tennis, imparato judo e, nel frattempo, studiavo solfeggio per suonare il sax, ma ho dovuto lasciare, perché l’allenatore mi ha detto che toglievo troppo tempo al calcio. Non aver continuato con la musica è un mio grande rimpianto. Comincio nella Banlieue con una squadra giovanile nazionale, poi sono andato per quattro anni a Cannes, alla scuola calcio che ha formato gente come Zidane, Vieira, Micoud».

L’esordio avviene l’8 marzo 1997 nella partita casalinga del Cannes, la squadra in cui milita, contro il Metz, gara valida per il campionato francese, conclusasi sul punteggio di 0-0. La stagione 1996-97 si conclude con sei presenze in campionato, nel quale comincia mettersi in luce.

L’anno successivo il miglioramento è notevole e le sue presenze in campionato si moltiplicano: alla fine del torneo sono ventuno: «Fin da allora avevo la passione dei film. Giocavo di sabato e la domenica la passavo regolarmente al cinema. Guardavo praticamente tutti i film, a parte l’horror che proprio non mi piace. La paura è una sensazione che non amo. Il bello del cinema è poter provare qualsiasi emozione. Esci dalla sala felice, triste, perplesso, ma la paura proprio non la cerco».

Durante il calciomercato estivo del 1998, il giovane difensore francese è prelevato dal Cagliari. In Sardegna disputa le successive due stagioni dal 1998 al 2000: «Il presidente Cellino, uno che ama scommettere, era convinto che fossi un cavallo vincente ed ha scommesso su di me. Gli devo molto, grazie a lui è cominciata la mia carriera. Il primo anno è stato fantastico, siamo arrivati a ridosso della zona Uefa, il secondo un disastro, siamo retrocessi, anche se ho avuto un rendimento soddisfacente. Tra gli allenatori ricordo soprattutto Óscar Tabárez: un grande. Forse troppo educato, uno stile che nel calcio di oggi non sempre paga».

Caldeggiato da Fabio Capello, in estate avviene il suo trasferimento alla Roma. La prima stagione in giallorosso è trionfale: totalizza ventidue presenze, vince lo scudetto e la Supercoppa italiana: «Sono molto orgoglioso di essere stato il più giovane francese ad aver vinto il campionato in Italia. Avevo solo ventidue anni. Ho giocato tanto, riuscendo a crearmi un varco tra compagni più esperti, come Aldair, Zago e Samuel».

Dal 2001 al 2004 disputa altre sessantasei partite in Serie A, dieci in Coppa Uefa, diciotto in Champions League e, proprio nella sua ultima stagione nella capitale, mette a segno il suo primo goal ufficiale in massima serie italiana, nella partita contro la sua futura squadra, la Juventus. Jonathan è un difensore eclettico che può giocare sia come terzino sia come centrale difensivo. Abbastanza veloce e dotato di buona tecnica, ha l’abitudine a eccellere nella confidenza con le proprie doti e i suoi errori (ribattezzati Zebinate) fanno spesso infuriare i tifosi giallorossi, che cominciano a contestarlo: «Da questa punto di vista non è filato sempre tutto liscio. Molti calciatori cercano di ingraziarsi i tifosi con atteggiamenti particolarmente calorosi in campo, e per questo diventano idoli della curva. Non ho mai cercato di piacere per forza a qualcuno. E comunque mi rendo conto che al pubblico non piaccio particolarmente. Perché non sono ruffiano. E perché non mi piace far cose che non ho voglia di fare. Nella vita a volte bisogna sacrificare il proprio io ed essere diplomatici, ma sul campo non posso fingere. So che bisognerebbe salutare i tifosi a fine partita, ma se loro nei miei confronti si sono comportati male sotto la curva non ci vado. La tensione, però, è stata alimentata dai media. La pallina da tennis si è trasformata in una gigantesca palla di neve».

Nell’estate del 2004 scade il suo contratto con la Roma e la società bianconera lo acquista a parametro zero, con un contratto fino a luglio 2009. Zebina ha così la possibilità di seguire Capello a Torino. Alla prima stagione colleziona ventiquattro presenze in Serie A e sei in Champions League, conquistando un nuovo scudetto. Nella stagione successiva il suo rendimento non è ottimale anche per colpa di continui problemi fisici. Inoltre, il rapporto con la dirigenza bianconera non è dei migliori a causa della sua richiesta, giudicata sproporzionata dalla società, del raddoppio dell’ingaggio. Non riesce a farsi amare nemmeno dai tifosi juventini, che gli rimproverano scarso impegno. A fine campionato, anche se con poche presenze, contribuisce alla conquista del ventinovesimo scudetto della Juventus.

Appassionato di arte, nel 2006 apre una galleria d’arte a Milano: «Ho deciso dopo una serie di eventi e di incontri. La scelta è stata un caso: passeggiando per Brera ho trovato un posto molto buio in Via Fiori Chiari, con un arredo particolare in stile anni Sessanta: ma da subito ho visto la luce, un potenziale straordinario. E a fianco la lapide che ricorda che lì è vissuto Piero Manzoni, uno dei più grandi artisti italiani del scorso secolo».

Nell’estate dello stesso anno è operato a causa di un’ernia inguinale e decide di rimanere in bianconero, nonostante la retrocessione in Serie B. Ma si ripropongono presto i problemi con la dirigenza e, nonostante affermi di essere stato costretto a rimanere a Torino, decide di rimanere e rispettare il contratto, superando anche le ire dei tifosi, oramai contrari a concedergli altre possibilità. Disputa, comunque, un buon campionato che gli vale la riconferma per la stagione successiva e l’allungamento del contratto fino al 2011. La Juventus conquista la Serie A ma Zebina conferma il carattere bizzoso, colpendo con una manata un addetto allo stadio durante la gara contro il Cagliari, che gli costa una squalifica di quattro turni e 15.000 euro di multa. A causa di problemi con l’allenatore Ranieri e l’ennesimo infortunio patito a gennaio, disputa solo sedici gare in campionato.

Domenica primo marzo 2009: a poco più di tre mesi dall’intervento al tendine d’Achille del ginocchio sinistro, il difensore francese torna in campo per una gara ufficiale. Non i compagni, ma con i ragazzi della Primavera impegnati nello scontro al vertice del campionato contro la Sampdoria. Un test vero che Zebina affronta con impegno, rimanendo in campo la bellezza di quasi settantacinque minuti e sfiorando anche il goal con un destro finito alto di poco. Una gara ufficiale (dopo alcuni test amichevoli in estate) che mancava dal 17 maggio scorso quando, scherzo del destino, prese parte a Sampdoria-Juventus, ultima giornata del campionato 2007-08. A fine gara, Jonathan può esprimere tutta la sua soddisfazione: «È stata un’esperienza davvero positiva, sono molto contento di aver ritrovato il mio equilibrio fisico. Ora sto bene e questa partita con la Primavera mi ha permesso di ripartire. Oggi per me è un altro punto di partenza, inizia una nuova carriera. Questa prestazione è di ottimo auspicio per tornare presto nel gruppo e dare il mio contributo per la conquista degli obiettivi che ci siamo prefissi».

Jonathan, nonostante i buoni propositi, riesce a scendere in campo solamente otto volte. Non va meglio il campionato seguente: solamente sedici presenze e un goal, il primo e unico in maglia bianconera, l’11 marzo, contro il Fulham in Europa League. Così, il 31 agosto 2010 rescinde il suo contratto con la Juventus. «Se un giocatore si presenta in ritardo due o tre volte e tu pensi di voler ancora giocare con lui, perché ne hai bisogno, allora cominciano i problemi. In Italia l’importanza di un investimento finanziario per un giocatore non è più importante della condotta dello stesso. Questa è la grande differenza con la Francia. Alla Juventus conta di più la mentalità dei soldi. Ho visto grandi giocatori eccedere, ma in questi casi si veniva subito richiamati all’ordine e se non imparavi la lezione venivi messo sul mercato. Questa è la cultura dei grandi club», affermerà qualche anno più tardi.