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Possanzini: "Anche in C si può giocare a calcio, vi spiego la ipno-zona"TUTTO mercato WEB
domenica 5 maggio 2024, 10:15Girone A
di Marco Pieracci
per Tuttoc.com

Possanzini: "Anche in C si può giocare a calcio, vi spiego la ipno-zona"

Nel giorno del debutto in Supercoppa Serie C Tuttosport ha intervistato il tecnico del Mantova Davide Possanzini, protagonista della promozione in Serie B della formazione virgiliana.

Un anno fa a quest'ora cosa stava facendo? 
"Ero un allenatore disoccupato, o meglio sotto contratto con il Brescia, ma dopo due sole partite alla guida della prima squadra non avevo potuto finire nemmeno il percorso cominciato con la Primavera. Sapevo di avere delle idee, ma non avevo chi era pronto a sposarle".  
 
Tutto cominciò da una chiacchierata col ds Cristian Botturi 
"Mi aveva visto lavorare a Brescia, ci conoscevamo da qualche anno, ma non era detto ci fosse connessione. E invece bastò poco per capire che eravamo sulla stessa lunghezza d'onda. Il calcio dovrebbe essere sempre così. Per le abitudini italiane quanto accaduto a Mantova quest'anno è l'eccezione e non la regola. Perché? A volte si dice "prendiamo quello che fa meno danni" e invece se non vedi il calcio allo stesso modo poi non può funzionare. Dopo il primo incontro con Botturi, lui non sapeva quale sarebbe stato il suo futuro. Gli dissi che l'avrei seguito ovunque. Poi è spuntato il Mantova e ho accettato nonostante il ripescaggio fosse tutt'altro che certo".  
 
Potevate essere in D, vi ritrovate in B dopo aver mostrato un calcio fantastico... 
"Dal primo giorno di ritiro ho capito che i giocatori credevano nelle nostre idee. Un gioco sempre propositivo, senza mai speculare. Alla prima giornata subito il Padova: nell'intervallo dissi a Botturi che se loro erano i favoriti allora anche noi ce la saremmo giocata per il primo posto. Nonostante il progetto fosse triennale e l'obiettivo per il primo anno fossero i playoff".  
 
Com'è nata la ipno-zona? 
"Definizione simpatica che ha dato un giornalista mantovano per descriverci quando a volte teniamo palla e ci fermiamo, accarezzando il pallone con la suola, aspettando che gli avversari vengano a prenderci per trovare spazi alle loro spalle, sfruttando poi il palleggio per andare a far gol. Siamo contenti di aver dimostrato che anche in C si può giocare a calcio, senza ricorrere a lanci lunghi, a difesa e contropiede. In estate il 3-0 sul Brescia in amichevole ci ha fatto capire che la strada era quella giusta".  
 
Ha deciso di rimanere a Mantova, nonostante i rumor reali su Sassuolo, Palermo e persino Napoli fossero reali. È convinto che la ipno-zona funzioni anche in B? 
"Con Botturi e il presidente Piccoli abbiamo creato questo sistema dal nulla e vogliamo vedere fin dove possiamo spingerci. Se dovrò salire di categoria, potrà farlo anche nei prossimi anni".  
 
Il suo calcio è più alla Gasperini, alla Klopp o alla Guardiola-De Zerbi? 
"Cerco di mixare tutto questo. Mi dà fastidio vedere quando gli avversari tengono la palla più di noi, ma non mi piace nemmeno il possesso fine a se stesso. Si sta andando sempre più verso un calcio fisico, si torna ai duelli: allenare gli uno contro uno è importante almeno tanto quanto il palleggio".  
 
Ha più dato o preso nell'esperienza con De Zerbi? 
"Spero entrambe le cose. Essere stato il suo vice per sette anni mi è servito anche per capire tante cose nella gestione dello spogliatoio. Nel mio ruolo avevo più rapporti con staff medico e giocatori poco impiegati".  
 
Quanto le è rimasto dello spirito Toro? 
"Ho cominciato da quel settore giovanile. Mio padre come premio per la promozione dalla quinta elementare mi regalò uno stage estivo a Cesenatico alla scuola calcio di Gigi Gabetto, il figlio di Guglielmo. Mi notarono gli osservatori ed entrai in un mondo magico. Ricordo il primo giorno al Filadelfia, anche se non era bello come oggi. C'era l'abitudine di passarsi le scarpe di pelle di anno in anno: presi quelle usate da Porfido e Bolognese, per me erano le più belle del mondo. Salire a Superga era ogni anno una grande emozione, con Sergio Vatta quel vivaio era un gioiellino e i derby con la Juve sentitissimi sin dai Giovan".  
 
Il suo sogno si fermò in Primavera quando Claudio Sala le disse che non avrebbe mai potuto fare il professionista... 
"Ci andava giù pesante, poi in quel periodo ebbi anche qualche problema fisico. Il percorso di un giocatore dipende anche da chi incroci, per quello cerco di avere sempre un certo tipo di rapporto con i miei ragazzi. Anche certe delusioni ti aiutano però a crescere e ad alzare l'asticella delle tue ambizioni. Certe cose poi ti tornano indietro: il giorno della finale playoff Brescia-Torino, che vinsi da capitano, io ero in campo e lui a fare l'opinionista in tv...".  
 
Cresciuto al Filadelfia, ma Possanzini era ed è ancora juventino... 
«Strano eh? Mio papà era bianconero sfegatato. C’era ad Atene il giorno della finale persa con l’Amburgo, non andò all’Heysel solo perchè c’era una mia recita dopo la quale tornai velocemente a casa per vedere la partita e lo trovai in lacrime sul divano. Oggi guardo ancora la Juve: non sono più tifoso come quando il mio idolo era Baggio, ma se vince sono contento. E lo sono anche quando vince il Toro. Torino dopo le Olimpiadi invernali è diventata ancora più bella, ma lo era anche quando ero un ragazzo: vivevo a Rivoli, frequentavo il liceo Don Bosco, ma appena potevo con i miei compagni e amici facevamo un salto in centro. L’ambizione di tornarci un giorno da allenatore, magari anche solo da avversario, certo che esiste».