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Trasformare la difficoltà in opportunità: la sfida del mercato (in Italia)

Trasformare la difficoltà in opportunità: la sfida del mercato (in Italia)TUTTO mercato WEB
© foto di Federico De Luca
giovedì 16 aprile 2020, 08:23Editoriale
di Luca Marchetti

E se trovassimo il modo di poter trasformare le difficoltà economiche che arriveranno nei prossimi mesi in opportunità?
Il mercato cambierà: non soltanto per i prezzi dei giocatori e per le contrattazioni. Questo è fin troppo ovvio. Caleranno i prezzi medi (le star forse si manterranno in standard elevati), caleranno i salari medi. Ma cambierà probabilmente anche il modo di approcciarsi al mercato delle società italiane.
Ci saranno due strade per risparmiare: fare un ottimo scouting, e quindi cercare sempre di anticipare i concorrenti, non solo sul cartellino ma anche sull’età. Oppure non comprare.
E’ qui che arriverebbe il cambio culturale. Perché finora il trend dell’Italia è stato un trend molto esterofilo, il più esterofilo del Big5. Almeno questo è quello che emerge dallo studio del CIES, che ha analizzato per tre anni tutti i giocatori dei campionati più importanti in Europa per cercare di capire quanti esordienti erano stati acquistati da paesi stranieri (e quindi eventualmente da dove) e quanti invece formati direttamente nel paese in cui hanno esordito.
Ebbene: la nostra Serie A è la più sbilanciata verso l’acquisto. Infatti neanche il 25% degli esordienti di questo periodo proviene dal settore giovanile di una squadra di A. Poco più del 12% arriva da una squadra promossa. Tutto il resto, ovvero quasi il 63% una società di serie A lo acquista all’estero.
Un dato che potrà modificarsi nel futuro. Magari assottigliarsi fino a capovolgersi direttamente, come succede in Spagna, dove il 50% dei giocatori che esordiscono in Liga proviene da un settore giovanile. Non possiamo certo dire che in Liga non funzioni il sistema calcio. Ma in Liga funzionano da anni le seconde squadre, che invece in Italia non hanno attecchito. Un progetto portato avanti (finora) soltanto dalla Juventus, ma che chissà con questo nuovo ordine economico potrebbe anche interessare altre società importanti che potrebbero proprio favorire il proprio settore giovanile.


Visto che le categorie inferiori (B o C) rappresentano circa il 9% dei giocatori che arrivano in serie A (e come “Nazione” è seconda soltanto alla Premiship inglese, ma davanti a nazioni di esportatori come Argentina, Brasile e Olanda), si potrebbe sfruttare ancora di più, questo potenziale. Intanto continuando a far crescere e ad alzare il livello nelle categorie inferiori che soffriranno anche più della A la crisi economica che investirà il paese. E poi investendo nel settore giovanile e cercando di creare giocatori che poi possano giocare anche in categorie superiori. Alla lunga potrebbe guadagnarci anche la Nazionale Italiana.
Ed è vero che ormai per essere titolari nella Juventus (o nell’Inter) bisogna avere un livello molto alto, difficilmente raggiungibile se non con una buona dose di talento. Ma nonostante questo far crescere i propri giocatori nel miglior modo possibile significa sostenere e far fruttare l’investimento. E non vale solo per la grandi squadre.
L’esempio più incredibile arriva dalla SerieB inglese. Il Brentford ha deciso, dal 2016, di non prendere più giocatori in prestito dalle big. Mai più. E’ vero si è negato la possibilità di avere qualche talento in squadra (pagato dal proprietario) ma ha capito che farebbe solo il gioco di altri. E quindi si è messo in proprio. Ora i giocatori li va a cercare lui, in paesi calcisticamente non troppo battuti. Oppure negli scarti dei grandi club. Ha creato una squadra B. E in questi anni oltre a lottare per la promozione (quest’anno per esempio prima che scoppiasse la pandemia era in zona playoff) ha incassato 100 milioni di euro, con le cessioni dei propri prodotti.
Insomma: è certamente un unicum, ma potrebbe diventare una strada. Magari non per guadagnare i 100 milioni ma per non doverli spendere…

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