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Ibrahimovic a 360 gradi: Milan, Balotelli, Leao, Lukaku e il futuro. Tutte le sue parole

Ibrahimovic a 360 gradi: Milan, Balotelli, Leao, Lukaku e il futuro. Tutte le sue paroleTUTTO mercato WEB
© foto di DANIELE MASCOLO
lunedì 16 ottobre 2023, 00:45I fatti del giorno
di Alessio Del Lungo

Zlatan Ibrahimovic si conferma un personaggio mai banale. Lo svedese, ex attaccante del Milan, ha parlato al Festival dello Sport a Trento ed ha toccato tutti i temi che potevano riguardarlo: dal suo passato e il suo rapporto con Raiola fino al paragone tra Balotelli e Leao, senza dimenticarsi della situazione di Sandro Tonali, accusato di essere implicato nello scandalo scommesse. Dopo la visita a Milanello non potevano mancare due battute anche sul Milan, squadra con cui ha un legame particolare, sul suo futuro, sul periodo in Premier e sullo scontro con Lukaku. Di seguito tutte le dichiarazioni dello svedese raccolte da TMW:

Sull'inizio della sua carriera: "Da bambino facevo tanti casini, ero sempre in giro a giocare a calcio. Ero anche bravo a scuola. Ovunque andavo io portavo il pallone perché giocavo ovunque, era la mia passione. Facevo anche tanti casini poi si cresce e si matura. All’Ajax l’inizio fu difficile perché tutti si aspettavano che potessi essere il nuovo Van Basten. Ma non ero pronto, era la prima volta fuori dalla Svezia e sentivo tante pressioni anche perché il mio fu un trasferimento record e spesero tanti soldi per acquistarmi dal Malmoe. Ho tenuto duro, lavorato bene e piano piano mentalmente sono diventato forte. Il secondo anno è andato bene e il terzo anno ho fatto il battesimo a tutti".

Su Raiola, questo il ricordo di Ibrahimovic: "Amsterdam per me è stata la città in cui ho conosciuto Mino Raiola. Ci siamo posti inizialmente in maniera arrogante entrambi. Il primo incontro fu ad un ristorante giapponese, arrivai ben vestito. Lui ordinò per 8 persone. Mi mise davanti a me i numeri dei più grandi attaccanti: Vieri, Shevchenko, Trezeguet, Inzaghi. Le statistiche di Ibracadabra non erano eccezionali. Lui mi disse con quei numeri non poteva vendermi ad una big. Poi per me divenne tutto: amico, papà, confidente. Siamo cresciuti insieme, le nostre carriere sono andate di pari passo. Siamo diventati forti insieme, i più forti di tutti. Io nella mia categoria e Mino nella sua. Ricordo che mi disse al primo incontro se volevo diventare più forte o più ricco. Io dissi che volevo diventare più forte e lui disse che andava bene così sarei diventato anche ricco. Gli ultimi momenti con lui sono stati difficili da vivere, sono state tante le emozioni. Provavo a portare a lui un po’ di positività ed energia cercando di non fargli pensare alla malattia. Lui lavorava per i suoi giocatori e non per i club. Mi ha sempre messo davanti a tutto ma non solo con me, è stato un generoso. Era forte Mino".

Sui suoi anni alla Juventus: "In Italia iniziai nella Juventus di Fabio Capello. Mi diceva che mi avrebbe tirato fuori tutto l’Ajax che avevo dentro. Mi dissi fra me e me ‘iniziamo bene’. Voleva da me più concretezza e da quel giorno sempre, ogni giorno, con Italo Galbiati lavoravamo sempre nei tiri in porta. Capello diceva che la mia tecnica era superiore a Van Basten ma non avevo i suoi movimenti. Abbiamo lavorato su questo aspetto. Trezeguet è stato intelligente perché ha saputo sfruttare bene il lavoro che facevo in campo. Lui faceva tanti gol a me sinceramente mi mancavano. Poi ho capito la mentalità del calcio italiano dove bisogna saper giocare bene e segnare. Dissi a Trezeguet che da quel momento in poi anche io avrei giocato più avanti. Gli scudetti della Juventus sono 38 perché abbiamo lottato ogni giorno dimostrando che eravamo i più forti in Italia. Non sono 37, gli scudetti della Juve sono 38".

Poi su Balotelli: "Quando un ragazzino ha la possibilità di sfruttare il suo talento per creare il futuro e perde le occasioni è un peccato. Balotelli ne ha avute tante e le ha perse tutte. Questa è la verità. Rafael Leao non è Balotelli, quel colpo di tacco sbagliato qualche partita fa è una roba geniale. Se segna così sei un genio. E quella cosa fa capire perché Leao è lì e Balotelli ed in tribuna".

Ancora sulla sua carriera in nerazzurro e non solo: "Dopo la Juve ero più vicino al Milan ma parlavo anche con l’Inter. Il Milan doveva aspettare però di passare il preliminare di Champions League. L’Inter capì la situazione e arrivò prima. Con l’Inter segnai di tacco, in tutti i modi. Mi sentivo completo, forte, anche se sapevo di non aver raggiunto ancora il top. Mancini mi diede fiducia e responsabilità, mentre quando arrivò Mourinho la situazione cambiò. Quella squadra, come la mia Juventus, aveva il potenziale per vincere la Champions League. Prima del mio arrivo l’Inter non vinceva lo scudetto da 17 anni, sono rimasto nella storia del club per questo. Dopo andai al Barcellona, ho vinto anche lì dei trofei che non avevo mai vinto prima. Era un sogno andare in quella squadra perché era la più forte in assoluto, la più forte del Mondo. Ero carico e volevo crescere ancora di più per affrontare nuove sfide che potessero essere un test ulteriore anche per me stesso. Volevo mettere alla prova la mia qualità per vedere quale era la mia forza. I primi sei mesi andarono bene, nei successivi meno. Ma da qualcosa di negativo esce sempre qualcosa di buono. In campo le cose non sono andate bene però sono cresciuto e migliorato mentalmente. Della semifinale contro l’Inter ricordo una sfida tosta: a Milano perdemmo 3-1, ma ci fosse stato il VAR chissà come sarebbe finita. In casa vincemmo 1-0 ma non bastò. Il calcio però è così, tutti si aspettavano che avremmo vinto facile ed invece abbiamo perso. La Champions League speravo di poterla vincere con il Barcellona perché era una squadra troppo forte, troppo dominante. Era l’occasione giusta".

Su Tonali: "Quando sbarcò al Milan Tonali era arrivato dal Brescia e aveva appena realizzato il suo sogno. Nel primo anno era troppo tifoso, gli dissi che così non andava bene. Doveva fare un ulteriore passo ed essere decisivo per far felici i tifosi. Si vedeva da subito che era forte, ma giocare nel Brescia con tutto il rispetto non è come giocare al Milan. Altre pressioni, altra mentalità, altri obiettivi. Al Milan se perdi io sono il primo che arrivo a dirtelo, poi l’allenatore, il club e i tifosi. Chiaro che serve del tempo per crescere, così come devono essere d’aiuto i compagni. Il calcio è sempre uno sport collettivo non è individuale".

Ancora su Tonali e il caso scommesse: "So poco di questa storia, non avevo mai notato nulla di strano in lui. Però non si giudica prima di non sapere tutto. Se davvero è malato del gioco bisogna aiutarlo perché è come una droga. Anche io ho giocato al casinò perché ognuno fa quello che vuole con i suoi soldi. Però bisogna capire la situazione".

Su chi è più forte tra lui e Leao: "Chi è più forte tra i due? Zlatan ha creato Leao. Con Paolo Maldini ho un buon rapporto ed ho avuto modo di conoscere la persona. Cresceva come dirigente e non era una situazione facile. Anzi, tutto il contrario. Era sempre presente tutti i giorni, parlava con l’allenatore ed i giocatori. Sul mercato non era facile muoversi, il budget era limitato. Maldini per me ha fatto un grande lavoro perché abbiamo vinto e quando si vince significa che tutti hanno fatto il proprio. Mi spiace quello che è successo perché è una bandiera del Milan. Nel calcio però le cose possono cambiare ma per il Milan ha fatto cose ottime sia da calciatore che da dirigente".

Ancora sul Milan: "L’ultimo scudetto del Milan è stato quello che mi ha dato più soddisfazione rispetto a tutti gli altri. La squadra non era favorita, forse nemmeno da primi 4 posti. Zero super star e anche io non ero abituato a una squadra del genere. Era tutto il contrario del Milan in cui avevo giocato. Non era una situazione facile anche a livello societario, ma noi da dentro eravamo sempre uniti. Chi non era pronto a lavorare giorno dopo giorno e fare sacrifici è andato via e piano piano si è creato un gruppo meraviglioso. C’era un’atmosfera troppo bella. Non eravamo fenomeni, lo ero solo io. Zero super star ma tutti hanno aiutato il compagno a crescere. Giocare senza tifosi nell’anno del Covid ha aiutato la crescita, poi una volta al top i tifosi ci hanno dato una carica in più e diventavamo sempre più forti. Il miglior gruppo che ho avuto da calciatore. Dopo la partita con il Sassuolo un gran casino, vedevo alcuni miei compagni e membri dello staff piangere di gioia. Fu per me un'emozione perché capii che ero riuscito a mantenere la promessa fatta quando tornai. Le prime volte che entravo nello spogliatoio chiedevo: 'Alzi la mano chi ha giocato in Champions'. Oppure: 'Alzi la mano chi ha vinto trofei'. Zero. Ma dissi che quello era l’anno giusto per vincere. Presi da parte Tomori e gli spiegai che vincere al Chelsea è una roba vincere al Milan è un’altra cosa, un’altra storia. La sera che festeggiammo mi disse che avevo ragione".

Sul suo futuro: "Quanto è passato da quando mi sono ritirato? 3-4 mesi? Ho una libertà totalmente differente. Sto facendo cose per me stesso. Non ho un boss che mi dice cosa fare o cosa seguire. Sto prendendo tempo per capire cosa voglio fare. Ci sono più offerte ora che quando giocavo. Se entro in qualcosa voglio fare la differenza, essendo me stesso. Non voglio entrare in una situazione come simbolo. Entro, inizio da zero e faccio quello che riesco a fare. Poi ovvio, c'è anche la tua immagine da personaggio. Vediamo cosa succede, qualcosa succede. Ho avuto qualche meeting col Milan. Il boss, l'altro boss. Parliamo. Vediamo dove si arriva. È il momento di conoscerci. Poi se uno può portare qualcosa fa effetto, se non può portarlo non fa effetto. Se mi danno il contratto per continuare a giocare fa effetto. Scherzo (ride, ndr). Vediamo".

Sulla prima parentesi al Milan: "I calciatori devono seguire gli allenatori che fanno tanta tattica, ma al contempo non devono seguirli del tutto. C’è tempo per impararla, anche dopo, la tattica non è importante. Nel 2010 andai al Milan: per me non era un momento facile perché l’allenatore voleva vendermi e il presidente no. Il Milan quando venne a giocare il trofeo Gamper chiese di me, ricordo che nel tunnel che portava al campo tutti i loro calciatori mi dicevano che dovevo tornare a Milano con loro. Finita la partita venne nello spogliatoio Ronaldinho, mi prese la mano e mi disse che dovevo tornare a casa con lui al Milan. Poi venne il boss, Adriano Galliani. Mia moglie con tutto il rispetto non sapeva chi fosse, mi chiese chi era e cosa voleva, gli dissi che era il big boss del Milan e che voleva portarmi lì. Mia moglie mi disse cosa stavamo aspettando ancora. La sera andammo a cena, Galliani voleva pagare con la carta del Milan ma non funzionava. Gli dissi che non funzionava perché aveva speso tutto per me".

Su Berlusconi e non solo: "Avevo un buon rapporto con Silvio Berlusconi. Uomo carismatico, sa entrare nel cuore delle persone. Era mister Milan, ha cambiato la storia del calcio e del club. Mi ha dato felicità e gioia, mi ha riportato il sorriso dopo Barcellona. Da lì il rapporto è cresciuto e parlavamo di tante cose, mi diceva anche come dovevo giocare e come mi dovevo muovere in campo. Mi stimolava. A Parigi è stata un’avventura complicata. Io sinceramente non volevo andare via dal Milan, li avevo ritrovato la felicità. Prima di andare in vacanza dissi a Galliani che volevo incontrarlo e chiesi a lui di promettermi che non mi avrebbe venduto. Andai in vacanza. Dopo 3 settimane mi chiamò Mino ma non risposi. Quando rispondo dico subito che non voglio lasciare il Milan, ma lui aveva già fatto tutto con il PSG. Gli ho detto ‘no no, Ibra non va al PSG’. Avevano venduto me e Thiago Silva. Ho provato ad immaginarmi con la loro maglia, chiamai subito Leonardo e gli dissi onestamente che non potevo giocare in campi dove c’erano duemila persone. Ero abituato a 80.000 persone. Però poi piano piano mi convinsi ma alle mie condizioni. Nel contratto chiesi alcune clausole e condizioni assurde, dentro di me dicevo che non avrebbero mai accettato. Dopo due ore era tutto fatto. Raiola mi fece la battuta e mi disse ‘vuoi anche la bici?’ E risposi di si, anche la bici'".

Sul suo trasferimento in Premier: "A 35 anni c’è stata la possibilità del Manchester United in cui arrivò Mourinho. Però avevo 35 anni e chiesi a tanti calciatori se era giusto andare in Premier League a quell’età. Sentii cinque giocatori e tutti mi dicevano di non andare perché se avessi fatto male si sarebbero dimenticato tutti di quanto fatto in precedenza. Allora presi la decisione: vado. Era la mia situazione. Gli altri camminano sull’acqua, io sul fuoco. Sono queste le situazioni e le sfide che mi caricano. In Inghilterra mi criticavano, dopo due mesi erano tutti dalla mia parte. In quella stagione in nazionale segnai in rovesciata. Come il tacco di Rafael Leao, se segni in quella maniera sei un genio. Io segnai in rovesciata, geniale. Andai a giocare anche in America. Quando sono andato via guardavano il baseball, ora con Messi di nuovo il calcio".

Sullo scontro con Lukaku: "Mi dispiace che non ci sia stato un altro incontro fra noi, mi dispiace molto. Gioca nella città del Papa? Sta giocando per me... (ride, ndr). Lo conosco, ho giocato un anno con lui. Non era così come quando è successa quella situazione. Non mi aspettavo quell'atteggiamento, lo conosco da Manchester. In Italia ti fanno diventare qualcosa che non sei, è colpa vostra, dei giornalisti. Lo avete fatto sentire qualcosa che non è, allora forse lui si sente il re di Milano e del campionato. Stava facendo bene, ma lì non ho capito. Lui fa le cose per la sua squadra, ma non era da lui. Romelu non è un ragazzo cattivo, ma è successa questa cosa. Poi ho detto: 'Se giochiamo un'altra partita vediamo che succede'. Non è personale. Mi ha sorpreso, quello che ha fatto non è da lui. Quello che ho fatto io sì (ride, ndr)".

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