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La mossa delle quattro big e il cortocircuito in Serie A: obiettivo campionato a 18
Se Atene piange, Sparta non ride. Mentre Coni e Federcalcio hanno il loro bel daffare nel tentativo di limitare le mire espansionistiche del governo, in Lega Serie A arriva una bomba, mediatica e non. La notizia parte da Roma, non è un caso. È il sequel delle polemiche legate ai mancati sì detti alla società giallorossa, ma oltre al club dei Friedkin coinvolge le tre grandi big del nostro campionato: Inter, Juventus e Milan, in fila per quattro senza resto.
Sfiducia a Casini? Nella lettera inviata in via Rosellini alla vigilia del confronto interno allo sport che poi ne porterà i vertici a discutere col ministro Abodi, non c'è scritto. E alcune delle quattro società coinvolte si affrettano a spiegare che, no, non è una sfiducia: è un modo per dissociarsi, per ricordare al presidente della Lega che quelle proposte da portare al tavolo non sono approvate da tutti. Cambia la forma, non certo la sostanza. Sotto la cenere, è palese, cova una rottura che va oltre le votazioni finali, a maggioranza o pure prese con il diplomatico sì delle quattro in questione, che in verità buona parte del documento l'hanno condiviso. Tranne un punto, centrale: il no alla riduzione del campionato a 18 squadre, appunto.
Cortocircuito in Serie A. Pure di questo se ne parla da tempo, è l'elefante nella stanza in qualsiasi riunione tra i club e il perché è presto detto. Il presidente di Lega va al tavolo con una richiesta su tutte: che la A conti di più, che sia rivisto un sistema di voto per cui C e D possono decidere tutto quello che accade in FIGC. Lo fa in nome del maggior peso - sportivo, economico, di tifoserie - del massimo campionato se rapportato a quelli che gli stanno sotto. All'interno delle venti di A, però, si pretende che valga il principio avverso; eppure, gli altri sedici presidenti stanno a Inter, Juventus, Milan e Roma esattamente come Lega Pro e Lega Dilettanti stanno alla Lega Serie A. Se è democrazia pura, se gli uni non esistono senza gli altri, si va un direzione. Se è democrazia rapportata al peso - sportivo, economico, di tifoserie - si deve andare nell'altra. Il giochino può funzionare in entrambi i casi. Ma non si può seguire il vento.
Sfiducia a Casini? Nella lettera inviata in via Rosellini alla vigilia del confronto interno allo sport che poi ne porterà i vertici a discutere col ministro Abodi, non c'è scritto. E alcune delle quattro società coinvolte si affrettano a spiegare che, no, non è una sfiducia: è un modo per dissociarsi, per ricordare al presidente della Lega che quelle proposte da portare al tavolo non sono approvate da tutti. Cambia la forma, non certo la sostanza. Sotto la cenere, è palese, cova una rottura che va oltre le votazioni finali, a maggioranza o pure prese con il diplomatico sì delle quattro in questione, che in verità buona parte del documento l'hanno condiviso. Tranne un punto, centrale: il no alla riduzione del campionato a 18 squadre, appunto.
Cortocircuito in Serie A. Pure di questo se ne parla da tempo, è l'elefante nella stanza in qualsiasi riunione tra i club e il perché è presto detto. Il presidente di Lega va al tavolo con una richiesta su tutte: che la A conti di più, che sia rivisto un sistema di voto per cui C e D possono decidere tutto quello che accade in FIGC. Lo fa in nome del maggior peso - sportivo, economico, di tifoserie - del massimo campionato se rapportato a quelli che gli stanno sotto. All'interno delle venti di A, però, si pretende che valga il principio avverso; eppure, gli altri sedici presidenti stanno a Inter, Juventus, Milan e Roma esattamente come Lega Pro e Lega Dilettanti stanno alla Lega Serie A. Se è democrazia pura, se gli uni non esistono senza gli altri, si va un direzione. Se è democrazia rapportata al peso - sportivo, economico, di tifoserie - si deve andare nell'altra. Il giochino può funzionare in entrambi i casi. Ma non si può seguire il vento.
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