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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: quando l'Italia ebbe paura di Ulises de la Cruz

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: quando l'Italia ebbe paura di Ulises de la Cruz
mercoledì 6 maggio 2020, 01:05Serie A
di Ivan Cardia
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche

“Preparo una gabbia per fermare De La Cruz”. Parola di Giovanni Trapattoni. Corre l’anno 2002, l’Italia si appresta ad esordire a Sapporo il 3 giugno. Di fronte, il temibile Ecuador, posizione numero 31 del ranking. Gli Azzurri hanno in rosa gente del calibro di Totti, Del Piero, Vieri. Non Baggio, ma questa è un’altra storia. Pochi giorni prima della partita, il ct individua però un nemico inaspettato, un avversario indomabile, tale da convincerlo a cambiare la propria impostazione tattica. Si chiama Ulises de la Cruz. E questa è in parte la sua storia. Perché è soprattutto la storia di come l’Italia intera, per un breve momento, lo abbia temuto come se fosse una sorta di marziano pronto a bucare la miglior linea difensiva del pianeta.

Pillole di biografia. Ulises de la Cruz nasce a Piquiucho, provincia di Bolivar, nel nord dell’Ecuador, a tre ore di auto dalla capitale Quito, l’8 febbraio 1974. Cresce in una famiglia molto povera, che tra tanti sacrifici riesce a consentirgli di giocare a calcio. È abbastanza bravo, gioca terzino destro, fa carriera: inizia a 17 anni col Deportivo Quito, nel 1995 si trasferisce al Barcelona di Guayaquil e vince il campionato. Lo acquista il Cruzeiro, ma in Brasile non trova spazio e torna in patria. Nel 1998 e nel 1999 vince altri due campionati, con la maglia del LDU Quito. La veste a fasi alterne fino al 2001, quando lo chiama la Scozia: va all’Hibernian, gioca 32 partite e segna 2 gol. In Nazionale esordisce nel 1995, la prima rete la realizza nel 1998 contro il Brasile. E nel 2002 trascina il suo Paese al mondiale nippo-coreano.

Meglio del Brasile. L’Ecuador del 2002 è, in effetti, una squadra talentosa. Guidata dal ct Hernan Dario Gomez, chiude al secondo posto il girone di qualificazione sudamericano. Un punto in più del Brasile di Ronaldo, Ronaldinho e Rivaldo. Meglio fa solo l’Argentina. La stella è Agustín Delgado, oggi ricordato come uno dei calciatori meno convincenti nella storia della Premier League. Tra i protagonisti, il nostro Ulises, che da terzino di spinta fa male alle difese avversarie. E spaventa un mostro sacro come Giovanni Trapattoni.

”Ricorda Pelé”. Il virgolettato, in questo caso, è di Francesco Totti. Che in realtà sdrammatizza le parole del ct. Il Trap, appunto, è preoccupatissimo: ha studiato l’avversario, è pronto addirittura a cambiare modulo. La retroguardia a tre Cannavaro-Nesta-Maldini cambia: l’Italia difende a quattro, con il capitano del Milan dirottato a sinistra per contenere le incursioni del pericoloso terzino ecuadoriano. Sulla stessa catena c’è Cristiano Doni, stella dell’Atalanta: anche lui ha ricevuto indicazioni particolarmente chiare da Trapattoni. Anche lui scherza: “Se mi scappa gli sparo”. Al netto delle battute, tutto il gruppo azzurro ha compreso i dettami del tecnico. Lo stesso Totti si augura: “Speriamo si limiti a quello che abbiamo visto in videocassetta”.

Ulisespsicosi. I quotidiani sportivi seguono la linea dettata da Trapattoni, che rincara la dose: “De La Cruz? Non abbiamo un esterno-ala, scordiamoci Cabrini e Conti, e non possediamo nemmeno una punta che ripieghi sulla sinistra”. La Gazzetta dello Sport tratteggia un colorito ritratto dell’ecuadoriano: “Conquistò Edimburgo con due gol nel derby”. De la Cruz, effettivamente, pochi mesi prima del mondiale ha salvato dalla retrocessione l’Hibernian. Terz’ultimo nel campionato scozzese. E può essere un indizio. La Repubblica lo definisce “temibile”. Il racconto mediatico è concorde, anche perché di Trapattoni, che probabilmente vuole solo mantenere alta la tensione, ci si fida. Nel 2002, inoltre, non è così facile accedere a materiale che documenti le effettive gesta del calciatore sudamericano. Così Ulises De La Cruz diventa un misto tra Cafu, Bruno Conti e Garrincha: un treno inarrestabile, superveloce. I servizi dedicati dalle tv, con le poche immagini di repertorio rinvenibili, confermano questa impressione. Il primo a sorprendersene? Lui stesso. Che aggiunge anche una piccola gaffe: “Il calciatore italiano più forte? Cafu”. Ecco, no.

La partita. E il vero avversario. In campo, Ulises e il suo Ecuador sono poca roba. Doni, reduce da un’annata spettacolare, non disputa una grandissima gara, ma ha gioco facile sul malcapitato avversario, che non preoccupa davvero mai la nostra difesa. L’Italia spazza via la formazione ecuadoriana con un secco 2-0, doppietta di Vieri. E poi continua in ben altro modo una spedizione sfortunata, nonostante molti ritengano tuttora che quella nazionale sia stata una delle più forti nella nostra storia. Inseriti in un girone non impossibile, gli azzurri trovano comunque il modo di complicarselo perdendo contro la Croazia: agguantano il secondo posto, alle spalle del Messico, a cinque minuti dalla fine, grazie al pareggio di Alex Del Piero. Poi volano ad affrontare la Corea del Sud e lì sono veri dolori. Altro che Ulises, ci pensano Byron Moreno e Ahn Jung-Hwan a fermarci.

E de la Cruz? Premier League e politica. Complice la campagna promozionale pre-Italia, e un’annata comunque positiva in Scozia, il nostro eroe approda all’Aston Villa. Resta ai Villans per quattro stagioni, fino al 2006: tanta panchina, un po’ di campo, niente di emozionante. Continua la sua avventura inglese prima al Reading (15 presenze in due stagioni) e poi al Birmingham City. Nel 2009 decide di fare ritorno in patria, dove è in ogni caso un eroe nazionale: il LDU Quito gli offre un contratto senza scadenza. Può giocare finché vuole. E nei confini domestici gli riesce anche abbastanza bene: vince la Copa Sudamericana nel 2009, la Recopa nel 2009 e nel 2010. Appende le scarpe al chiodo nel 2012, dieci anni dopo il mondiale che lo ha visto brevemente fugace spauracchio dell’Italia. Cambia vita: si candida in politica, vuole aiutare il suo Paese. Fa incetta di voti: nel 2013 viene eletto al Parlamento Nazionale con il 60% delle preferenze a livello locale, col Movimiento Alianza PAIS. Un partito di centrosinistra che stravince le elezioni, conquista il 93% dei seggi al Parlamento nazionale. Annuncia politiche popolari, vuole ridare qualcosa alla patria, lavorare nella zona più povera nella nazione, investe i soldi guadagnati anche grazie al mondiale del 2002 per aiutare i più bisognosi. Trascinare i suoi connazionali fuori dagli stenti è la sua missione. Magari, con la stessa potenza di fuoco di cui Trapattoni lo ha immaginato capace in quell’abbaglio collettivo di un 2002 non così lontano, ma che ci sembra appartenere a un’altra epoca.

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