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#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Robert Enke, il portiere triste

#iorestoacasa - Le storie della buonanotte: Robert Enke, il portiere triste
martedì 28 aprile 2020, 01:05Serie A
di Ivan Cardia
#iorestoacasa - Tuttomercatoweb.com propone ai suoi lettori delle storie di calcio per tenerci compagnia in queste giornate tra le mura domestiche

I calciatori sono belli, ricchi e famosi. Sono felici, per definizione. Mai tristi. Raccontare di calcio e di vita vuol dire parlare anche di tabù, di veli che abbiamo eretto e oltre i quali non vogliamo scorgere. Tra i tanti, del pallone e della società, c’è quello della depressione. Chi ne soffre, fatica ad ammetterlo. Anche perché gli altri non capirebbero: un po’ di tristezza capita, che sarà mai. Figuriamoci se sei giovane, ricco, famoso. Se sei un calciatore. Se sei il portiere titolare della Germania. Non puoi essere tante cose, ma soprattutto non puoi essere triste.

Questa è la storia di un calciatore triste. È una storia che finisce il 10 novembre 2009, il giorno della morte di Robert Enke. Il giorno in cui un ragazzo di 32 anni, con un conto in banca a sei zeri, il Mondiale 2010 alle porte, i riflettori della Bundesliga sempre accesi su di lui, ha deciso che non poteva più andare avanti. Un martedì sera ha fermato la sua macchina in un parcheggio di Hiimmelreich, un sobborgo di Neustadt am Rübenberge, nella Bassa Sassonia. Ha scritto un biglietto di addio, ha chiesto scusa ai suoi medici e alla sua famiglia per aver nascosto la profondità del malessere che ancora si portava dietro e dentro. Ha lasciato le chiavi attaccate, lo sportello aperto, ha attraverso i binari della ferrovia e si è fermato a metà. Un treno lo ha colpito a 160 chilometri all’ora. È finita lì. Ma come è iniziata?

Robert Enke nasce il 24 agosto 1977 a Jena, in Turingia. È figlio di uno psicologo dello sport, gioca a calcio, fa il portiere. Esordisce tra i professionisti con il Carl Zeiss Jena, l’11 novembre 1995, quasi 14 anni esatti prima del suo suicidio. Debutta in 2. Liga: ironia della sorte, contro l’Hannover 96, che sarà il suo futuro. Sin da subito capisce quanta pressione ci sia per chi indossa i guanti e il numero 1: la sua prima partita arriva perché il titolare, Mario Neumann, ha deluso il tecnico per due gare di fila, due sconfitte contro Duisburg e Bochum. Enke, che ha 19 anni, gioca tre partite e poi si riaccomoda in panchina. Si è fatto notare.

In estate si trasferisce al Borussia Mönchengladbach. Per due anni non gioca neanche una partita con la prima squadra: va in panchina e difende la porta della squadra giovanile. Nel 1998 ha la sua grande occasione, anche se ancora una volta non è una cosa per cui sorridere davvero: Uwe Kamps si rompe il tendine d’Achille, è fuori per quasi tutta la stagione. Enke ha la sua occasione e la sfrutta: è titolare per tutto il campionato, si mette in bella mostra, si parla di lui a livello internazionale, anche subisce più di due gol a partita. Il sapore agrodolce resta. Il lato oscuro della medaglia c’è sempre: la squadra retrocede a fine campionato. Un’altra delusione.

Enke vola in Portogallo. Il suo connazionale Jupp Heynckes lo chiama al Benfica, nel 1999. La concorrenza è alta, i portieri della squadra portoghese sono ben quattro. Enke ha una storia di attacchi di panico, come ha raccontato Ronald Reng nel bellissimo A Life Too Short. Heynckes gli dà fiducia in tutti i modi, anche a costo di alzare la pressione su questo ragazzo fragile: gli affida la fascia di capitano. La risposta è positiva: in quattro stagioni, Enke gioca 77 partite, i tifosi lo apprezzano, anche se il Benfica non riesce a vincere il campionato. E poi c’è Teresa: i due si conoscono dai tempi del liceo, nel 2000 si sposano. Forse anche Robert può essere felice.

Invece arriva il Barcellona. Nel 2002, Enke e il Benfica non trovano l’accordo per il rinnovo del contratto. Il portiere tedesco si trasferisce al Barça. L’avventura inizia con gli auspici peggiori: durante le trattative, incerto sul da farsi, Enke chiama Louis Van Gaal, allenatore dei catalani, per essere rassicurato. “Non so nemmeno chi tu sia” è la risposta glaciale che ottiene. Per qualche strano motivo, dopo un confronto del genere, decide di trasferirsi comunque in blaugrana. Il precampionato è un disastro: Enke non riesce a trovare familiarità con la linea difensiva a quattro, altissima, voluta dal tecnico olandese, che infatti gli preferisce un giovane Víctor Valdés.

L’11 settembre 2002, però, Van Gaal schiera Enke titolare. Non in campionato, in Copa del Rey: di fronte c’è il Novelda, modesta formazione delle serie inferiori. La Spagna si aspetta una facile goleada del Barça, che invece perde a sorpresa 3-2, anche per un paio di errori piuttosto marchiani dello stesso Enke. È uno dei momenti più bui: Van Gaal lo rispedisce in panchina in pianta stabile. “È stato buttato in mezzo ai leoni”, dirà lo stesso Valdés. Teresa gli consiglia di vedere un terapista, Robert soffre di depressione cronica e questo clamoroso fallimento lo butta giù: fare il portiere del Barcellona, assicura, è il lavoro più difficile del mondo. La stagione 2002-2003, per la cronaca, è un disastro per tutta la squadra, e non certo per colpa di Enke. Van Gaal viene esonerato e Antic chiude il campionato al sesto posto. In estate arriva Rijkaard, il fautore della grande rinascita barcelonista, ma Enke non c’è più: va in prestito in Turchia, al Fenerbahçe, dove non gioca quasi mai. L’anno dopo torna in Spagna, sempre in prestito, al Tenerife in Segunda Division. E non gioca neanche lì.

Enke torna in Germania. Lo chiama l’Hannover 96, la squadra contro cui ha esordito. È l’occasione di rientrare a casa, rimettersi alle spalle tante delusioni. E coincide con la felicità più grande: il 31 agosto 2004 nasce Lara, sua figlia. Robert dimentica di aver perso appena tre giorni prima contro l’Arminia Bielefeld: forse l’arrivo di questa bellissima creatura può cambiargli la vita, dargli la felicità o almeno qualcosa che gli assomigli. In campionato continua a giocare titolare, soffre la pressione, continua a consultare uno psichiatra, ma ha un raggio di sole a illuminargli la giornata. Invece il dramma è alle porte.

La tragedia di Lara. La figlia di Robert e Teresa Enke ha una malformazione cardiaca congenita, ha bisogno di cure e soprattutto operazioni, tante operazioni. Un autentico calvario, anche se nelle foto che li ritraggono insieme Robert e Lara sorridono sempre. Il 17 settembre 2006, dopo aver superato, apparentemente con successo, un nuovo intervento, Lara muore. Fin qui abbiamo parlato di depressione e dolore, ma ora non ci soffermiamo: impossibile da descrivere. È il momento più buio in assoluto e con ottime probabilità non ci sono aggettivi per darne una descrizione.

Leila, la rinascita, il Mondiale. In qualche modo, Enke va avanti. A fine 2006 rinnova il contratto con l’Hannover, che in quella stagione lotta per non retrocedere e riesce a chiudere all’undicesimo posto in Bundesliga. Non sappiamo cosa passi nella testa dell’estremo difensore, ma forse questa volta usa il calcio per rifugiarsi, per scappare aspettando di parare un pallone. E lo fa bene: il 28 marzo 2007 gioca la sua prima partita con la Germania, un’amichevole con la Danimarca persa 1-0. Nell’annata successiva, l’Hannover chiude all’ottavo posto in classifica, Enke è uno dei migliori portieri del campionato e la nazionale per lui diventa un’abitudine, anche qualcosa in più: gioca da titolare cinque partite di qualificazione ai Mondiali del 2010. Salutato Lehman, Jurgen Klinsmann deve scegliere, ma ha un’idea abbastanza chiara: preferisce Enke ad Adler e al giovane Neuer, vuole che sia lui il numero 1 in Sudafrica. Forse questo aggiunge ulteriori pressioni, ma è parte di una soddisfazione personale e professionale che il portiere triste ha sempre cercato. E poi Enke ha un nuovo motivo di sorridere: nel maggio 2009 lui e Teresa adottano Leila. Una famiglia può ancora esserci.

La fine. Alla gioia per l’arrivo della nuova figlia adottiva, si mischiano le preoccupazioni: sua moglie ha raccontato come Enke fosse preoccupato che il mondo scoprisse la sua depressione, e che per questo gli potesse togliere anche Leila, dopo che il destino gli aveva sottratto Lara, mai dimenticata. Alla felicità per la scelta di Klinsmann, che gli ha comunicato che sarà lui il titolare ai Mondiali del 2010, si aggiungono le aspettative: l’uomo che ha sempre avuto paura di fallire deve rappresentare la propria nazione, peraltro una delle favorite per la vittoria, davanti a tutto il pianeta. Non possiamo sapere cosa si muova nella testa di questo ragazzo. Possiamo sapere come è andata: poco dopo le 18 del 10 novembre 2009, alla vigilia del suo quattordicesimo anniversario da calciatore professionista, Robert Enke aspetta un treno, in mezzo ai binari. Ha scritto una lettera, ha scritto ai suoi genitori, al suo psichiatra. Ha scritto a Teresa, a Leila. Ha scritto a Lara: oggi padre e figlia riposano, nel cimitero di Empede, a meno di 200 metri di distanza. Leila, l’altra figlia, è rimasta senza papà, ma in compagnia di una madre coraggiosa, che ha dedicato la sua vita e le sue energie a far sì che la lezione, il dolore, il sacrificio non siano dimenticati. Affinché nessuno abbia più paura di dover ammettere la propria depressione e la propria lotta, quotidiana, con fantasmi che esistono anche se non si vedono.

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