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McKennie e il razzismo: “Chiamato scimmia di m***a in Germania. La nazionale ci rappresenti”

McKennie e il razzismo: “Chiamato scimmia di m***a in Germania. La nazionale ci rappresenti”TUTTO mercato WEB
© foto di Matteo Gribaudi/Image Sport
mercoledì 11 novembre 2020, 21:00Serie A
di Ivan Cardia

Combattere il razzismo. È una delle missioni, sul campo da calcio e non, di Weston McKennie, centrocampista statunitense della Juventus. Perché l’ha vissuto in prima persona, in Germania ai tempi dello Schalke 04. Quando, dopo una partita giocata a Drochtersen in DFB Poca, si è avvicinato alla panchina per riprendere i parastinchi che avevo dimenticato di mettere: “C’era questo tizio sugli spalti - racconta in una lunga intervista a Sports Illustrated - mi chiamava una ‘scimmia di merda’ e faceva versi scimmieschi, insieme ad altri insulti razzisti. Ho sempre cercato di non abbassarmi al livello di queste persone, di non dargli attenzione. Ma per me era la prima volta, era così surreale e non sono riuscito a capirlo, non sono riuscito a trattenermi e ho reagito. È stata la mia prima volta. Sono stato chiamato black o scimmia. Ma in quel momento qualcosa è scattato: capita a tutti, non solo sul campo da calcio. E non c’è sempre una recinzione a separarle. È stata la mia prima volta e mi sono reso conto che stava davvero accadendo. Non perché i media lo avessero esaltato, e non è che fossi particolarmente sensibile. Semplicemente, stava accadendo”.

Pronto a usare la sua voce. “Le barriere sono fatte per essere buttate giù “, continua McKennie, che a maggio ha definito un suo dovere impegnarsi dopo la morte di George Floyd: “Sarò sempre fedele a me stesso, sono sempre stato quello che sono. Non cambierò perché parlo con Ronaldo o Buffon. Ovviamente li rispetto, ma non faccio passi indietro per cercare di fare colpo”. Così, in estate McKennie ha lanciato il video Standing for Equality, in collaborazione con Adidas: “Sono tornato a Dallas e avevo paura di guidare di notte. Rappresento una nazione che a volte non mi accetta, soltanto per il colore della mia pelle. Sono un calciatore, e agli occhi di molti posso contribuire allo sviluppo del calcio americano. Ma sono anche un essere umano, non posso far finta di niente e rappresentare così un paese che non mi accetta”. Al punto da poter mettere in discussione la sua voglia di vestire la maglia a stelle e strisce: “Se la nazionale non dovesse supportare il movimento o i calciatori che vivono queste situazioni, direi qualcosa. Ne parlerei con miei compagni e se non mi dovessi sentire a mio agio potrei, sì, perché no, decidere di non partecipare al ritiro”.

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